LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9945/2012 R.G. proposto da:
Romanoni e Peruzzotti s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Due Macelli n. 66, presso lo studio legale e tributario associato DLA Piper, rappresentata e difesa dall’avv. Bruno Giuffre’ e dall’avv. Antonio Tomassini giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorso –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 138/27/11, depositata il 25 novembre 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 giugno 2021 dai Consigliere Giacomo Maria Nonno.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza n. 138/27/11 del 25/11/2011 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Romanoni e Peruzzotti s.r.l. (di seguito RP) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese (di seguito CTP) n. 78/03/10, la quale aveva respinto il ricorso della società contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2003;
1.1. l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione dell’acquisto, da parte di RP, del diritto di usufrutto sulle quote di La Quiete s.r.l., con conseguente maturazione di un rilevante credito sui dividendi maturati: operazione complessivamente ritenuta fittizia dall’Agenzia delle entrate;
1.2. la CTR dichiarava inammissibile l’appello della società contribuente sul presupposto che lo stesso era fondato sulle medesime argomentazioni spese nel giudizio di primo grado;
2. avverso la sentenza della CTR RP proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
3. l’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio con controricorso;
4. a seguito del deposito di istanza di sospensione D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, ex art. 6, comma 10, conv. con modif. nella L. 17 dicembre 2018, n. 136, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo e, successivamente, veniva depositata rituale istanza di fissazione del ricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. con l’unico motivo di ricorso RP deduce la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto l’inammissibilità dell’appello proposto avverso la sentenza della CTP;
1.1. il motivo, che denuncia, a dispetto del riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, un error in procedendo, è inammissibile per difetto di specificità;
1.2. come noto, l’atto di impugnazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (cfr. Cass. n. 18679 del 27/07/2017; Cass. n. 14784 del 15/07/2015);
1.3. invero, secondo l’opinione reiteratamente espressa da questa Corte, “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. n. 22880 del 29/09/2017; Cass. n. 21621 del 16/10/2007; Cass. n. 20405 del 20/09/2006);
1.4. con specifico riferimento, poi, alla censura proposta, “nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci” (così da ultimo, Cass. n. 32954 del 20/12/2018);
1.5. ciò in ragione del carattere devolutivo pieno dell’appello nel processo tributario, costituente un mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 32838 del 19/12/2018; Cass. n. 30525 del 23/11/2018; Cass. n. 1200 del 22/01/2016), sicché l’onere di specificità dei motivi può ritenersi assolto anche allorquando la ricorrente si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni già dedotte in primo grado (cfr. Cass. n. 24641 del 05/10/2018);
1.0. del resto, “nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve esser interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione” (Cass. n. 707 del 15/01/2019);
1.7. ciò premesso in punto di diritto, nel caso di specie la CTR ha fatto sostanzialmente applicazione dei menzionati principi, evidenziando non solo che i motivi di appello riproducono pedissequamente i motivi del ricorso in primo grado (circostanza, di per sé irrilevante), ma anche la circostanza per la quale “non è dato rilevare nell’atto di impugnazione quali siano le contestazioni rivolte al percorso argomentativo della sentenza impugnata”;
1.8. in altri termini, la ricorrente – indipendentemente dal riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o n. 4, avrebbe dovuto far emergere, in questa sede di legittimità, come il requisito di specificità dei motivi di appello sia stato soddisfatto, riportando le argomentazioni all’uopo svolte, correlandole con le motivazioni della sentenza gravata, in tal modo offrendo dimostrazione di aver adeguatamente contestato il fondamento logico-giuridico della decisione, sfavorevole alle tesi di RP;
1.9. tutto ciò non è stato fatto dalla società contribuente, che non ha riprodotto – né direttamente, né indirettamente – il contenuto dell’atto di appello, con ciò impedendo a questa Corte ogni controllo al riguardo;
2. in conclusione, il ricorso va rigettato e la società contribuente va condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 1.247.366,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 13.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021