Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Decreto n.33349 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10346-2020 proposto da:

K.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA MANDRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (C.F. *****), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4062/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata l’01/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Venezia, pubblicata il 1 ottobre 2019, con cui è stato respinto il gravame proposto da K.K. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo veneto. La nominata Corte ha negato che avesse fondamento la domanda di protezione internazionale proposta dal detto appellante.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente solleva preliminarmente una questione di legittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013, artt. 69-72 che ha convertito, con modifiche, il D.L. n. 69 del 2013, riguardante l’istituzione dei giudici ausiliari delle corti d’appello, in relazione agli artt. 3 e 25 Cost., art. 102 Cost., comma 1, e art. 106 Cost., commi 1 e 2. L’istante rileva come la sentenza sia stata pronunciata da un collegio integrato da un giudice ausiliario Viene che questa Corte, con due diverse ordinanze, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei richiamati articoli osservando come dalla legge istitutiva del giudice ausiliario presso la corte di appello non emergerebbero le ragioni eccezionali e i limiti temporali che la Corte costituzionale individuò per le supplenze dei magistrati onorari nei collegi del tribunale con le pronunce nn. 99 del 1964, 156 del 1963 e 103 del 1998.

La questione è stata già affrontata dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2, il D.L. n. 69 del 2013, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72 convertito, con modificazioni., in L. n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32. Le disposizioni censurate, secondo il giudice delle leggi, violano il parametro evocato, il quale delinea un sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso, come strumentale all’indipendenza della magistratura, non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107 Cost., comma 1), evitando ogni discriminazione, anche di genere, e assicurando la qualificazione tecnico-professionale. Nella prospettiva di una salvaguardia dell’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello, visto l’apporto dei giudici ausiliari allo smaltimento o al contenimento dell’arretrato del contenzioso civile, la Corte ha tuttavia ritenuto che la reductio ad legitimitatem possa attuarsi “con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire”, avendo riguardo ai tempi di riforma della magistratura onoraria, la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025, “così riconoscendo alla disciplina censurata – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale” (Corte Cost., sent. n. 41 del 2021).

La ravvisata incostituzionalità delle richiamate norme non spiega conseguentemente incidenza nel presente giudizio.

2. – I motivi di ricorso sono rubricati come segue.

Primo motivo: nullità della sentenza per violazione del diritto di essere giudicato dal giudice naturale e precostituito per legge e per difetto di costituzione del giudice; violazione degli artt. 25 e 102 Cost., dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. n. 13 del 1941, art. 10.

Secondo motivo: violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione al punto del provvedimento in cui si rappresenta che il ricorrente non è credibile, senza che il giudice abbia condotto adeguata indagine istruttoria al fine di vedere smentite o confermate le incongruenze riscontrate, e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Terzo motivo: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla pronuncia sulla domanda relativa alla concessione dello status di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. b).

Quarto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte col D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018.

3. – Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente lamenta che il collegio di appello sia stato integrato da un magistrato del Tribunale di Verona, assegnato alla Corte di appello di Venezia in forza di un progetto per la definizione del contenzioso in materia di immigrazione e di un provvedimento di attuazione del detto progetto con i quali il Presidente della Corte veneta ha disposto l’applicazione dei giudici civili provenienti da tutti i tribunali del distretto alla terza sezione civile della detta Corte per comporre il collegio in materia di immigrazione. Viene osservato che le suddette misure organizzative non sono state approvate dal Consiglio superiore della magistratura.

In tema di costituzione del giudice competente in materia di protezione internazionale, la circostanza che la causa sia stata decisa dal collegio con la partecipazione di un magistrato applicato in forza di un apposito provvedimento organizzativo non approvato dal Consiglio superiore della magistratura, non comporta tuttavia la nullità della decisione, sia perché il magistrato applicato non può essere considerato persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, sia perché l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forma non può essere pronunciata in assenza di espressa comminatoria di legge; né rileva la mancata approvazione del provvedimento da parte del C.S.M., posta la natura esecutiva e non retroattiva della pronuncia dell’organo di autogoverno (Cass. 26 aprile 2021, n. 10964).

4. – Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.

La Corte di appello ha evidenziato: che, per un verso, il racconto del richiedente, incentrato sulle rivendicazioni relative alla proprietà di un terreno da parte di alcuni familiari dello stesso, non evidenziava la messa in atto di vere e proprie forme di persecuzione ai danni di quest’ultimo; che, per altro verso, la vicenda narrata risultava non credibile. A quest’ultimo riguardo il giudice distrettuale ha conferito rilievo alla mancata rappresentazione, da parte dell’appellante, di circostanze afferenti i rapporti con la propria famiglia di origine, all’omessa indicazione di dettagli quanto all’episodio relativo all’uccisione del padre, alla contraddittorietà ravvisata nella scansione temporale dei fatti narrati.

Il ricorrente oppone che “dalla lettura del verbale si evince una stringata intervista nel corso della quale il Giudice, anziché porre domande più puntuali in ordine agli aspetti contraddittori (…) ha preferito tacciare di incoerenza e di non credibilità il signor Kofi”. Lamenta, in particolare, che da una lettera sottoscritta da un proprio amico emergerebbe l’attualità del rischio di persecuzione e che, inoltre, la Corte di appello non avrebbe considerato il fatto, “dichiarato dal ricorrente ed allegato negli atti processuali” che egli non aveva mezzi sufficienti per permettersi di pagare un intervento della polizia, e quindi di sporgere denuncia a fronte delle minacce ricevute.

Come è evidente, la sentenza impugnata, con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), (menzionata nella rubrica del secondo motivo) ha speso una doppia ratio decidendi: la prima è fondata sull’assenza di credibilità del racconto, la seconda sulla non riconducibilità della vicenda narrata a una fattispecie di persecuzione.

La prima ratio non è stata efficacemente censurata. Vale ricordare che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; cfr. pure Cass. 2 luglio 2020, n. 13578).

Il ricorrente ha bensì prospettato, col terzo motivo, l’omesso esame di un fatto decisivo: ma la deduzione è riferita a un profilo inerente alle ragioni che gli avrebbero impedito di rivolgersi alla polizia – che assume rilievo con riguardo alla seconda delle richiamate rationes decidendi; infatti la circostanza varrebbe a spiegare come “l’alto grado di corruzione della polizia ghanese” (cfr. ricorso, pag. 7) implicherebbe che ci si trovi in presenza di una situazione in cui rappresentanti dello Stato “non possono o non vogliono fornire proteione” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 5, lett. c). Anche a voler prescindere dal deficit di autosufficienza che presenta la deduzione del fatto sopra indicato (giacché il ricorrente non spiega come lo stesso fosse stato allegato e provato nel corso del giudizio di merito), occorre considerare che tale deduzione non afferisce al tema della non credibilità del ricorrente: tema che riflette un giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede se non attraverso le censure sopra richiamate, che non sono state però sollevate. Ne’ vale opporre l’avvenuta produzione, nel corso del giudizio di merito, di un documento che avrebbe fornito “principi di prova scritta” (pag. 23 del ricorso) quanto alle minacce subite dal ricorrente. Anzitutto il motivo non riproduce nemmeno per stralci salienti il documento in questione, per il che sul punto si delinea un patente difetto di autosufficienza (cfr. Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469). In secondo luogo – e comunque -, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42) e dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).

Esclusa l’ammissibilità delle doglianze espresse con riguardo al giudizio di credibilità, l’impugnazione della ratio decidendi basata sulla non configurabilità in jure di atti persecutori risulta preclusa. Infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

5. – Il quinto motivo, relativo alla protezione umanitaria, è inammissibile.

Il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe omesso di considerare come, in ragione delle reiterate minacce dei parenti e dei soprusi già subiti ad opera dei detti familiari, egli sarebbe esposto al rischio personale avente ad oggetto la compromissione di diritti inviolabili. Deduce, inoltre, che la Corte avrebbe erroneamente omesso di considerare, quali fattori concorrenti, idonei a fondare riconoscimento della protezione umanitaria, gli elementi allegati con riferimento alla propria integrazione sociale.

Sennonché, la non credibilità della vicenda narrata dall’istante precludeva, all’evidenza, di valorizzare il rischio che ad essa si correla. Il motivo di ricorso pare poi non avvedersi che la Corte di merito ha ritenuto insufficiente, ai fini dell’accesso alla indicata forma di protezione – la quale esige l’apprezzamento dell’inserimento del richiedente nel paese di accoglienza – il dato del semplice svolgimento, in Italia, di una qualche attività lavorativa: attività che, del resto, lo stesso ricorrente riferisce (pag. 30 del ricorso) non permettergli di provvedere al proprio mantenimento e che, proprio per tale ragione, ben difficilmente può dirsi espressiva di una vera e propria integrazione sociale.

6. – Il ricorso è respinto.

7. – Non è luogo a pronuncia sulle spese.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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