Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33357 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22057-2019 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DE VINCENTIS;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO POLLAIOLO, 5, presso lo studio dell’avvocato DOMITILLA NICOLO’, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1336/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata in data 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. F.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Benevento, le Assicurazioni Generali s.p.a., quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lei subiti in un sinistro stradale conseguente al comportamento scorretto di un automobilista rimasto non identificato.

A sostegno della domanda espose che, mentre stava percorrendo la strada provinciale tra ***** e *****, si era trovata all’improvviso la propria mezzeria di marcia invasa da un veicolo che, provenendo dalla direzione opposta, stava effettuando il sorpasso del veicolo condotto da tale D.M.. Per evitare l’urto frontale, ella era stata costretta a scartare sulla destra verso una stradina laterale, senza riuscire però ad evitare lo scontro con un muro di contenimento in cemento, che le aveva causato gravi danni personali con una lunga degenza ospedaliera.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale, fatta espletare una c.t.u. e sentiti alcuni testimoni, rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attrice soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza dell’H marzo 2019, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del giudizio di secondo grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre F.M. con atto affidato ad un solo motivo.

Resiste con controricorso la Generali Italia s.p.a., in qualità di successore delle Assicurazioni Generali.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-biS c.p.c., e la società controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., per incongruità degli argomenti, per aver considerato come prova il verbale dei Carabinieri e per aver fatto scorretta applicazione dei principi in ordine alla valutazione delle prove.

La censura contesta, in particolare, la valutazione di inattendibilità dell’unico teste compiuta dalla Corte d’appello e la preferenza accordata alla ricostruzione del fatto risultante dal rapporto dei Carabinieri.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, 25 gennaio 2012, n. 1028, e l’ordinanza 5 giugno 2018, n. 14358).

1.2. Nella specie la Corte d’appello, con un accertamento motivato in modo congruo e privo di vizi logici, ha rilevato che l’unico teste D. non era da considerare attendibile perché, pur avendo dichiarato nella sua deposizione resa per iscritto di essere stato presente sul luogo del sinistro, in realtà i Carabinieri non lo avevano identificato sul luogo e nell’immediatezza del fatto. Il teste, invece, aveva reso la sua deposizione solo tre mesi dopo l’accaduto. Oltre a ciò, sul luogo dell’incidente non era stata rinvenuta alcuna traccia di frenata, il che risultava logicamente incompatibile con la versione dei fatti resa dalla parte appellante.

A fronte di questa ricostruzione la ricorrente, mentre ribadisce una serie di considerazioni in punto di fatto già ritenute non credibili dai due giudici di merito, insiste nell’affermare che il teste avrebbe dovuto essere considerato credibile e che quanto affermato dai Carabinieri non potrebbe fare fede ai sensi del citato art. 2700, non trattandosi di fatti avvenuti in loro presenza. Si tratta, in definitiva, di una censura che, oltre a non cogliere pienamente la ratio decidendi della sentenza in esame, tende a riproporre il vizio di motivazione secondo una formulazione ormai non più vigente e che sollecita questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.

2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 3, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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