Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33363 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26519/2020 r.g. proposto da:

H.S., (alias M.S.H., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Francesco Tartini, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via del Casale Strozzi n. 31, presso lo studio legale Barberio.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto, n. cronol. 8324/2020, del TRIBUNALE DI VENEZIA depositato il 29/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2021 dal Consigliere Dott. CAMPESE Eduardo.

FATTI DI CAUSA

1. H.S., (alias M.S.H.), nativo del Pakistan, ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, contro il decreto del Tribunale di Venezia del 29 settembre 2020, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In particolare, quel tribunale ritenne: 1) i fatti narrati dal richiedente comunque inidonei a giustificare le sue richieste di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); 2) insussistenti, nel Pakistan, Stato di provenienza del ricorrente, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), dell’appena menzionato D.Lgs.; 3) parimenti insussistenti fatti o accadimenti giustificativi della invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, in relazione al diniego della protezione sussidiaria:

1) “Violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35-bis, comma 9, per omessa o comunque incompleta indicazione delle fonti consultate rispetto alla situazione della sicurezza del Paese d’origine”;

2) “Nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente in conseguenza dell’omessa o comunque incompleta indicazione delle fonti consultate rispetto alla situazione di sicurezza nel Paese di origine”.

1.1. Quanto, invece, al diniego di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, denunciano:

3) “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: la situazione di insicurezza interna del Pakistan quale presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria – Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

4) “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e 35-bis, comma 9, per omessa o comunque incompleta indicazione delle fonti, rispetto alla situazione generale di insicurezza del Paese di origine, nonché per l’omessa comparazione tra la sua attuale situazione in Italia e la prospettiva di rientro in Pakistan”.

2. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano fondati nei limiti di cui appresso.

2.1. Posto, invero, che il tribunale lagunare ha negato lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), perché, sostanzialmente, ha ritenuto non ricorrerne i rispettivi presupposti alla stregua delle stesse dichiarazioni dello H. (il quale aveva riferito di aver lasciato il proprio Paese di origine in cerca di maggior fortuna, in quanto i suoi genitori erano anziani e la sua famiglia viveva in condizioni di ristrettezza economica. Cfr. pag. 3 del decreto impugnato), deve rimarcarsi che quello stesso giudice, – pur riportando informazioni assunte da un Report Amnesty International del 2016 descrittive di un “livello di allerta”, in Pakistan, definito come “particolarmente elevato per quanto riguarda possibili attentati, soprattutto ai danni di edifici governativi e militari”; dell’elevato rischio di sequestri; di gravi episodi di violenza settaria, altresì dando atto che “Le Autorità locali, in caso di disordini, impongono il coprifuoco in alcune aree e, in alcune occasioni, tutti gli stranieri sono stati evacuati” dalle aree ivi indicate, ha affermato, poi, che, “in tale contesto di sicura precarietà, il ricorrente non ha, tuttavia, dedotto elementi valutabili al fine di considerare che, in caso di rientro nel Paese di origine, sia esposto al rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”. Pertanto, ha ritenuto non ravvisabile “il presupposto della protezione sussidiaria alla luce dei motivi prettamente economici posti dal ricorrente alla base del suo espatrio e di quanto evidenziato dalle fonti maggiormente accreditate (ex multis, acleddata.com) sull’assenza di un conflitto armato generalizzato in Pakistan nei primi mesi del 2020”.

2.2. Orbene, questa Corte ha ripetutamente chiarito che, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, peraltro, quel giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (cfr., ex multis, Cass. n. 22232 del 2020; Cass. n. 13255 del 2020; Cass. nn. 9230-9231 del 2020; Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 13449 del 2019; Cass. n. 11312 del 2019).

2.2.1. In altri termini, lo straniero che chieda il riconoscimento della suddetta forma di protezione sussidiaria non ha l’onere di presentare, tra gli elementi ed i documenti necessari a motivare la domanda (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1), quelli che si riferiscono alla sua storia personale, salvo quanto sia indispensabile per verificare il Paese o la regione di provenienza, perché, a differenza delle altre forme di protezione, in quest’ipotesi non rileva alcuna personalizzazione del rischio, sicché, una volta che il richiedente abbia offerto gli elementi utili alla decisione, relativi alla situazione nello Stato o nella regione di origine, il giudice deve accertare anche d’ufficio se effettivamente in quel territorio la violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato sia di intensità tale da far rischiare a chiunque vi si trovi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, senza che alcuna valutazione di non credibilità, che non riguardi l’indicazione dello Stato o regione di provenienza, possa essere di ostacolo a tale accertamento (cfr. Cass. n. 20342 del 2021; Cass. n. 13940 del 2020).

2.2.2. Il requisito dell’individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della CGUE (sentenza 17 febbraio 2009, in C465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (cfr. Cass. n. 16202 del 2015; Cass. n. 14283 del 2019; Cass. n. 14350 del 2020; Cass. n. 20342 del 2021).

2.2.3. Ne consegue che l’onere di allegazione del richiedente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), diversamente dalle ipotesi di protezione sussidiaria cd. individualizzanti, previste dall’art. 14, lett. a) e b), del detto decreto, è limitato alla deduzione di una situazione oggettiva di generale violenza indiscriminata, – dettata da un conflitto esterno o da instabilità per il solo fatto di rientrare nel Paese di origine – disancorato dalla rappresentazione della propria vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio, sicché, ove correttamente allegata tale situazione, il giudice, in attuazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertarne l’attualità con riferimento alla situazione oggettiva del Paese di origine e, in particolare, dell’area di provenienza del richiedente, attraverso lo specifico richiamo a fonti informative aggiornate alla data della decisione contemplate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (cfr. Cass. n. 20341 del 2021).

2.3. Alla stregua dei suesposti principi, quindi, il decreto oggi impugnato deve considerarsi, in parte qua, munito di motivazione meramente apparente, avendo indicato fonti assolutamente non aggiornate (Report Amnesty International risalente 2016) rispetto al momento della decisione del tribunale (settembre 2020), oppure delle quali nemmeno ha indicato l’anno di riferimento (cfr. il riferimento al sito “*****”), laddove, invece, lo H. aveva indicato COI più recenti (Report EASO 2017) – il cui contenuto, oggi, pure ha riprodotto in ricorso – potenzialmente idonee a condurre, sul punto, ad un esito differente del giudizio.

2.3.1. Va solo rimarcato che, come sostanzialmente desumibile da Cass. n. 29056 del 2019, sussiste una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI (come accaduto nella specie), ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o meno aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio.

3. I descritti terzo e quarto motivo, contestando il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, possono considerarsi assorbiti.

4. Il ricorso, dunque, va accolto, nei limiti suddetti, in relazione ai primi due motivi, assorbiti gli altri, ed il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio della causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione collegiale, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i primi due motivi di ricorso, dichiarandone assorbiti gli altri. Cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione collegiale, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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