LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4521-2020 proposto da:
***** SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO BENINI;
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ***** SRL IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1782/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 18/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/6/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Ancona dichiarava il fallimento di ***** s.r.l. in liquidazione su istanza della curatela del fallimento di ***** s.r.l. in liquidazione.
2. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza pubblicata in data 18 dicembre 2019, rigettava il reclamo presentato dalla compagine debitrice, ritenendo che i bilanci prodotti non solo fossero inidonei a fornire la prova dell’esenzione dal fallimento per mancato superamento delle soglie dimensionali, ma fornissero addirittura la prova diretta dell’avvenuto superamento del limite previsto per l’attivo per l’anno 2016.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso ***** s.r.l. in liquidazione prospettando due motivi di doglianza. Gli intimati fallimento di ***** s.r.l. in liquidazione e fallimento ***** s.r.l. in liquidazione non hanno svolto difese.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di difesa previsto dall’art. 24 Cost., del principio del giusto processo di cui all’art. 101 Cost., e del principio del contraddittorio stabilito dall’art. 101 c.p.c.: la Corte d’appello, malgrado gli atti costitutivi delle controparti, contenenti complesse questioni di natura tecnico-contabile, fossero stati resi visibili soltanto sei giorni prima dell’udienza, aveva negato alla reclamante la possibilità di avvalersi di un termine a difesa.
In questo modo la società debitrice non aveva avuto modo di superare le eccezioni avversarie e corroborare i propri assunti difensivi con ulteriori elementi di prova, a dimostrazione del mancato superamento dei limiti di non fallibilità previsti dalla L. Fall., art. 1, comma 2.
5. Il motivo non è fondato.
L’odierna ricorrente assume che la ritardata visibilità degli scritti difensivi avversari, contenenti numerose e complesse questioni tecnico-contabili, e l’omessa concessione di un termine per note conclusive, al fine di poter compiutamente replicare agli argomenti così illustrati, avrebbero mortificato il suo diritto di difesa, impedendole di dimostrare attraverso altri strumenti probatori il mancato superamento delle soglie di fallibilità.
Il collegio del reclamo, nell’osservare che, stanti l’inattendibilità dei bilanci depositati e l’assenza di ulteriori prove riguardanti la veridicità degli stessi, doveva ritenersi non raggiunta la prova del mancato superamento delle soglie di fallibilità stabilite dalla L. Fall., art. 1, comma 2, ha sottolineato che la reclamante avrebbe potuto produrre simili prove “già dinanzi al Tribunale o al più tardi in sede di proposizione del reclamo”.
Così intendendo sostenere che la situazione a cui la parte intendeva sopperire era stata determinata dalla tardività della sua iniziativa difensiva, assunta solo in sede di reclamo.
Ora, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, artt. 6 e 13), impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.), di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del giudizio e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.), e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2), dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass., Sez. U. n. 26373 del 2008; nello stesso senso Cass. n. 11287 del 2018, Cass. n. 15106 del 2013). Non si presta così a censure la decisione della Corte d’appello di negare la concessione del termine a difesa richiesto, in quanto, nell’ambito di un procedimento in cui non sono normativamente contemplati termini e modalità previsti in altri ambiti processuali (come la possibilità di chiedere un termine per controdeduzioni) e dove il contraddittorio è garantito dalla possibilità per le parti di essere sentite in udienza ed effettuare successive produzioni (Cass. n. 8769 del 2012), la richiesta di predisporre note conclusive costituiva un’attività processuale superflua, non solo perché incongrua rispetto alla struttura dialettica del processo, ma anche perché volta a sopperire a una situazione che era stata determinata dalla tardività dell’iniziativa difensiva, assunta solo in sede di reclamo e non integrata a seguito della costituzione delle controparti.
La reclamante infatti – che comunque aveva potuto prendere visione delle costituzioni avversarie – ben avrebbe potuto produrre ulteriore documentazione, oltre i bilanci considerati inattendibili, al momento della proposizione del reclamo e addurre difese supplementari in udienza, sicché non era affatto indispensabile la concessione di nuovi termini per lo svolgimento di attività difensiva aggiuntiva o di rinvii incompatibili con il principio di ragionevole durata del processo; tanto più che già la sentenza dichiarativa di fallimento – come affermato dallo stesso ricorrente (p. 3) – aveva dato atto che non risultava provato il possesso congiunto dei requisiti stabiliti dalla L. Fall., art. 1.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la falsa applicazione della L. Fall., art. 1, comma 2, e, nel contempo, si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo del giudizio: la Corte d’appello avrebbe offerto una motivazione contraddittoria e insufficiente rispetto al giudizio di inattendibilità dei bilanci relativi agli esercizi 2017 e 2018, dato che non aveva spiegato come la redazione di un bilancio non liquidatorio avesse influito sulle poste in contabilità in maniera rilevante ai fini della verifica del superamento delle soglie di fallibilità.
Il rilievo della mancata contabilizzazione di alcuni debiti tributari risulterebbe, oltre che in parte erroneo, anche irrilevante, perché il computo di queste poste non avrebbe comunque condotto al superamento della soglia di legge relativa all’esposizione debitoria.
Il collegio del reclamo, infine, aveva ritenuto che la svalutazione di alcuni crediti risultasse ingiustificata, senza considerare che questa operazione era stata correttamente riportata e spiegata nel verbale dell’assemblea di approvazione del bilancio.
7. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
7.1 La doglianza lamenta, quanto all’attivo, la mancata valorizzazione degli argomenti offerti nel verbale assembleare di approvazione del bilancio, al cui interno era stato indicato che “la perdita è dovuta in gran parte alla svalutazione operata da parte del liquidatore di oltre il 40% di tutti i crediti commerciali iscritti a bilancio”.
In realtà la Corte d’appello ha chiaramente ritenuto che simili indicazioni non avessero alcun rilievo, laddove ha sottolineato che il criterio prudenziale nella valutazione dei rischi richiedeva l’indicazione delle circostanze che facevano dubitare dell’esigibilità del credito non con riguardo alla globalità dei crediti, ma tenendo conto della particolare qualità di ogni singolo debitore.
Sul punto il profilo di doglianza in esame intende quindi dolersi, più che di un omesso esame delle spiegazioni contenute nel verbale di assemblea, di un esame delle stesse non conforme alle sue aspettative e in questo modo si pone al di fuori dei limiti propri del canone di critica previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che riguarda il tralasciato esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non si estende all’esame inappagante per la parte di tale fatto, che rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito.
7.2 La censura così proposta dal ricorrente deduce inoltre, in apparenza, una violazione di norme di legge, ma mira, in realtà, a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 5987 del 2021, Cass., Sez. U., n. 34476 del 2019, Cass. n. 29404 del 2017, Cass. n. 19547 del 2017, Cass. n. 8758 del 2017).
7.3 La ritenuta infondatezza delle censure mosse rispetto al computo dell’attivo per l’anno 2016, quantificato in misura tale da superare il limite stabilito dalla L. Fall., art. 1, comma 2, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le critiche relative all’attendibilità della classificazione del passivo, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 11493 del 2018, Cass. n. 2108 del 2012).
8. In forza dei motivi sopra illustrati, il ricorso deve essere rigettato.
La mancata costituzione in questa sede delle parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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