LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11764-2020 proposto da:
O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO UGO MELANO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 1407/2020 del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 4/3/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/6/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Torino, con decreto del 4 marzo 2020, rigettava il ricorso proposto da O.E., cittadino della Nigeria proveniente dall’Edo State, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.
In particolare, il Tribunale, una volta ritenute non credibili le dichiarazioni rese dal migrante (il quale aveva raccontato che, dopo essere stato coinvolto in un incidente nel quale una donna era morta sul colpo, si era allontanato dal suo paese per sfuggire alle violenze dei fratelli quest’ultima), ha negato che all’ O. potesse essere riconosciuta anche la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), giacché la situazione della zona di origine del ricorrente non poteva essere qualificata come una situazione di violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato.
Non poteva essere concessa – a parere dei giudici di merito – neppure la protezione umanitaria, in assenza di una situazione riconducibile al concetto di serio motivo umanitario.
2. Ha proposto ricorso per cassazione contro tale pronuncia O.E., affidandosi a tre motivi di impugnazione.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, commi 3 e 5, artt. 4,5,6 e 7, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27: i giudici di merito – a dire del ricorrente – hanno compiuto un’errata valutazione della credibilità del ricorrente, esaminando in maniera atomistica gli elementi della narrazione ed omettendo una disamina complessiva della vicenda, senza applicare in favore del migrante il beneficio del dubbio.
Il giudizio di credibilità, inoltre, è stato espresso malgrado non si fosse proceduto all’audizione personale del richiedente asilo nel contraddittorio fra le parti.
Il difetto di credibilità, infine, sarebbe stato fondato su clausole di stile utilizzabili per una molteplicità indeterminata di casi, con una motivazione di carattere meramente apparente.
4. Il motivo è inammissibile.
4.1 Giova osservare, in primo luogo, che la procedimentalizzazione legale della decisione in ordine all’affidabilità delle dichiarazioni del migrante, secondo i criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non prevede l’obbligo di una sua audizione in presenza di contraddizioni, incongruenze o assenza di dettagli all’interno del racconto e quale condizione per la valorizzazione di queste circostanze in termini di inattendibilità.
Al contrario, la norma stabilisce che il giudice possa direttamente valutare l’affidabilità delle dichiarazioni del migrante tenendo conto della loro coerenza e plausibilità, della mancanza di contraddizioni con informazioni generali e specifiche pertinenti al caso che siano disponibili (lett. c) e dei riscontri effettuati (lett. e).
4.2 Ciò posto, va detto poi la valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. n. 20580 del 2019).
Il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove – all’esito dell’esame delle dichiarazioni fatte dal migrante nell’allegato al modello C3 e avanti alla commissione territoriale e con una motivazione tutt’altro che apparente, che ripercorre i termini della vicenda narrata nelle diverse occasioni e i profili di contraddittorietà o non plausibilità del racconto, rappresentando compiutamente l’iter logico-intellettivo seguito dal collegio per arrivare alla decisione – ha rilevato, come previsto dall’appena citato art. 3, comma 5, lett. c, che il racconto offerto dal richiedente asilo non era stato adeguatamente circostanziato, risultava contraddittorio e non appariva plausibile in diversi punti sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata.
Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono, infatti, all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).
5. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 7, lett. f), art. 8 e art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8: il Tribunale – a dire di parte ricorrente – ha esaminato la domanda di protezione internazionale nell’ottica della credibilità soggettiva del richiedente asilo, dimenticando di adempiere il proprio dovere di ampia indagine, completa acquisizione documentale anche ufficiosa ed esaustiva valutazione della situazione reale del paese di provenienza; il mancato adempimento di questo dovere avrebbe impedito ai giudici di merito di apprezzare adeguatamente la situazione di violenza indiscriminata e diffusa attualmente esistente in tutta la Nigeria.
6. Il motivo è inammissibile.
Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075 del 2018).
Il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame una nutrita serie informazioni sulla situazione in Nigeria, le ultime delle quali risalgono al novembre 2018.
La critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale (facendo leva anche su decisioni di merito non recenti di segno contrario), malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 32064 del 2018).
Non assumono, infine, alcuna rilevanza situazioni (quale la pericolosità della situazione politico-sociale, caratterizzata da violenze diffuse e dalla ripetitività nel tempo delle stesse, addotta nel motivo in esame) che, per la loro intrinseca diversità dalla condizione tipizzata dalla norma, non sono ad essa riconducibili, dato che il rischio di danno grave cui si riferisce il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza (Cass. n. 14350 del 2020).
7. Il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione del art. 5 T.U.I., comma 6, e art. 19 T.U.I., del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.P.R. n. 394 del 2004, art. 28, comma 1, lett. d): il Tribunale – in tesi del ricorrente – ha negato la protezione umanitaria senza considerare in maniera adeguata da una parte la temporanea impossibilità del migrante di rimpatriare in Nigeria, a causa dell’insicurezza del paese, dall’altra la situazione di inserimento sociale del ricorrente in Italia e la sua condizione di vulnerabilità per le violenze subite in Libia.
8. Il motivo è inammissibile.
Il collegio di merito, lungi dall’attribuire alla non credibilità delle dichiarazioni rese valenza ostativa, di per sé, al riconoscimento della protezione in discorso, ha constatato come le emergenze istruttorie non dimostrassero alcun profilo di vulnerabilità del richiedente asilo, poiché il racconto reso non poteva essere valorizzato a tal fine, stante la sua non verosimiglianza, la situazione del paese di origine non appariva tanto grave da porre la totalità dei suoi cittadini in condizioni di vulnerabilità e nessun elemento dimostrava l’inserimento sociale e lavorativo in Italia.
A fronte di simili accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. n. 8758 del 2017).
Da un esame del provvedimento impugnato e del motivo di ricorso non risulta poi che la questione della detenzione in Libia sia mai stata sottoposta al vaglio del giudice di merito.
Il che comporta l’inammissibilità di tale profilo di doglianza, posto che è principio costante e consolidato di questa Corte (cfr., fra molte, Cass. n. 7048 del 2016, Cass. n. 8820 del 2007, Cass. n. 25546 del 2006) che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.
9. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021