LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11915-2020 proposto da:
H.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA SANTILLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4132/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/6/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Milano, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del 24 luglio 2018, rigettava il ricorso proposto da H.P., cittadino del Pakistan proveniente dalla regione del *****, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.
2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata in data 15 ottobre 2019, confermava tale statuizione, ritenendo che non vi fosse alcun elemento che consentisse di ravvisare in capo al migrante il concreto timore di subire una persecuzione personale e diretta in caso di rientro nel suo paese di origine o il rischio di essere incarcerato o sottoposto a tortura.
L’insussistenza di una situazione di conflitto tale da mettere a serio rischio la vita della generalità dei cittadini impediva, inoltre, il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
Il modestissimo percorso di integrazione e le condizioni del paese di origine non consentivano, infine, di ravvisare profili di vulnerabilità che giustificassero il riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Ha proposto ricorso per cassazione contro questa pronuncia H.P., affidandosi a cinque motivi di impugnazione.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4.1 Il primo motivo di ricorso si duole dell’omesso esame della condizione prospettata dal ricorrente, analoga alla schiavitù per debiti, in cui il P. si era trovato nei confronti del proprio C., al cui servizio aveva lavorato per dieci anni in maniera pressoché gratuita e nei confronti del quale aveva maturato un debito che non era più in grado di ripagare, dopo che il veicolo acquistato con il finanziamento aveva avuto un incidente.
Queste circostanze di fatto dovevano essere esaminate al fine di verificare il ricorrere dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, a causa dell’esistenza di una condizione di schiavitù per debiti, o della protezione sussidiaria, in ragione delle minacce di morte rivolte nei confronti dell’ H. dal C. per l’ipotesi in cui il debito non fosse stato restituito.
4.2 Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 14, in quanto la Corte distrettuale ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato pur in presenza di una condizione di sfruttamento lavorativo equiparabile a una riduzione in schiavitù e integrante una grave violazione dei diritti umani fondamentali.
4.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione dei parametri normativi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), al fine di verificare la credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo, dato che la Corte distrettuale non ha compiuto alcun vaglio circa l’attendibilità del racconto e si è limitata ad affermare che la fattispecie in esame non rientrava fra quelle idonee a riconoscere una forma di tutela.
4.4 Il quarto motivo denuncia la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto la Corte d’appello ha respinto la domanda di protezione senza accertare le caratteristiche del sistema legale operante nel paese di origine e l’esistenza di un’effettiva capacità di protezione interna.
La Corte di merito, inoltre, ha indicato le informazioni di cui si era avvalsa in modo assolutamente vago, impedendo la loro identificazione, e comunque utilizzando materiale non aggiornato né direttamente concernente la regione di provenienza.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati, nei termini che si vanno a illustrare.
5.1 Il ricorrente ha rappresentato, nel corso della propria audizione in sede amministrativa e in giudizio, di essersi trovato in una condizione di lavoro coatto, che lo legava indissolubilmente al proprio c., e di essere esposto alla vendetta di quest’ultimo, stante l’impossibilità di restituire il debito contratto per l’acquisto di un veicolo.
La Corte d’appello, pur registrando il tenore delle dichiarazioni del richiedente asilo, si è limitata a constatare la mancanza di elementi “concreti” o “certi” che integrassero le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).
Si tratta, all’evidenza, di un disconoscimento della possibilità di valorizzare le dichiarazioni del migrante che, oltre ad essere del tutto immotivata, non corrisponde affatto ai criteri previsti a questo riguardo dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, infatti, non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs., art. 5, comma 3, lett. c)), da accertarsi anche mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di verificarne la situazione reale (Cass. n. 26921 del 2017).
La Corte di merito, perciò, una volta saggiata la credibilità del racconto offerto in coerenza con i criteri all’uopo stabiliti, avrebbe dovuto verificare, alla luce di informazioni relative alla situazione del paese di origine e alla specifica condizione del richiedente così accertata, l’esistenza di circostanze di fatto che potessero eventualmente essere ricondotte ai presupposti previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7,8 e 14, e legittimassero il riconoscimento dello status di rifugiato, in conseguenza di una situazione di riduzione in schiavitù (tenuto conto che una simile condizione derivante da soggetti non statuali configura una situazione di persecuzione, rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, che impone al giudice di verificare in concreto se lo Stato di origine sia in grado di offrire alla persona minacciata adeguata protezione; Cass. n. 6879 del 2020, Cass. n. 17186 del 2020, Cass. n. 29142 del 2020), o della protezione sussidiaria, a causa del rischio per l’ H. di essere ucciso o sottoposto a trattamento inumano o degradante in caso di rimpatrio (ove lo Stato di origine non sia in grado di offrirgli, in caso di pericolo, adeguata protezione).
5.2 Non è fondato, invece, il quarto motivo nella parte in cui censura le modalità con cui non è stata riconosciuta la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
In vero, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei propri poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e tramite la consultazione di “fonti informative privilegiate” (vale a dire di informazioni tratte da fonte internazionale aggiornata, qualificata ed autorevole; cfr. Cass. n. 3357 del 2021), se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075 del 2018).
La Corte d’appello ha escluso la sussistenza nella regione del ***** di una situazione di conflitto che metta a serio rischio la vita della generalità dei cittadini sulla base di informazioni internazionali aventi simili caratteristiche (avendo preso in esame un documento della commissione nazionale per il diritto di asilo e un rapporto EASO) ed espressamente citate risalenti agli anni 2016 e 2017.
L’odierno ricorrente assume, genericamente, che queste informazioni non fossero aggiornate.
Una simile critica risulta inammissibile in questa sede.
Difatti, il ricorrente che voglia censurare l’inadeguatezza delle modalità con cui si è dato corso al dovere di cooperazione istruttoria, nel caso in cui il giudice di merito abbia reso note le fonti consultate mediante l’indicazione del loro contenuto, della data di risalenza e dell’ente promanante, è tenuto ad allegare nel ricorso le fonti alternative ritenute idonee a prospettare un diverso esito del giudizio (v. Cass. n. 7105 del 2021).
6. Rimane assorbito il quinto motivo di ricorso (concernente il ricorrere dei presupposti per ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria), non essendovi necessità, allo stato, di provvedere in merito alla forma di protezione internazionale minore richiesta in subordine dal ricorrente.
7. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, quest’ultimo nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbito il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021