LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19143-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, già EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI CALISI, ERSILIO GAVINO;
– ricorrente –
contro
T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio dell’avvocato MARIA CARLA VECCHI, rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELE PIAZZA, ANGELO PAONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 334/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 17/03/2017 R.G.N. 84/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. BUFFA FRANCESCO.
RITENUTO IN FATTO
CHE:
Con sentenza del 17.3.17, la corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del tribunale di Chiavari che aveva accolto l’opposizione ad avviso di vendita nell’ambito di esecuzione forzata basata su 28 cartelle esattoriali e 24 intimazione di pagamento per l’iscrizione a ruolo per oltre Euro 4.911.394 per tributi e contributi previdenziali.
In particolare, rilevato che non v’era prova delle notifiche delle cartelle presupposte, la corte territoriale ha ritenuto irrilevante che le intimazioni non erano state opposte tempestivamente.
Avverso tale sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate-Riscossione per quattro motivi, cui resiste con controricorso il contribuente.
Con ordinanza interlocutoria n. 7085/19 la causa è stata trasmessa dalla Sesta sezione alla Terza Sezione civile e quindi, con decreto del Presidente di quest’ultima Sezione, la causa è stata rimessa alla Sezione Lavoro.
Le parti hanno quindi depositato memorie; il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
Con i primi due motivi di ricorso si deduce violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 24,25,49 e art. 50, comma 2, artt. 76 e 78, per avere ritenuto necessaria la produzione delle notifiche delle cartelle, sebbene l’opposizione al giudice ordinario (possibile solo ove non vi sia stata notifica dell’atto presupposto) non consente di recuperare i vizi degli atti precedenti all’iniziata esecuzione (e tanto più che qui vi era una intimazione di pagamento ritualmente notificata e non impugnata);
Con il terzo motivo si deduce violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 2718 e del artt. 24,25 e 49, art. 50, comma 2 e art. 57, nonché D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, per impossibilità di contestare vizi di atti precedenti rispetto a quello notificato e non impugnato nei termini, ed anche perché la giurisdizione del giudice adito (piuttosto che quella delle commissioni tributarie, trattandosi anche di crediti tributari) presuppone proprio che non vi sia stata notifica degli atti precedenti il pignoramento. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione per mancata considerazione di 5 fatti decisivi e in particolare dell’intimazione notificata prima del pignoramento e non impugnata nei termini, dell’avviso di vendita, dell’estratto della posizione debitoria, di 2 sentenze di commissione tributaria sugli estratti di ruolo e l’iscrizione ipotecaria con relativo giudicato sulla questione della notifica della cartella.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono fondati nei limiti di seguito indicati.
La corte territoriale non ha infatti considerato che le intimazioni di pagamento per cui è causa sono state ritualmente notificate e non sono state impugnate nei termini di legge (per i crediti tributari, nei termini D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 e, per i crediti previdenziali, nel termine ex art. 617 c.p.c.).
Ciò importa da un lato (sebbene le parti non facciano questione di giurisdizione) che, essendo iniziata l’esecuzione, della controversia -che riguarda sia crediti tributari che crediti contributivi previdenziali- è stato correttamente investito il giudice ordinario anche per la parte relativa ai crediti tributari, per i quali peraltro trovano applicazione i limiti alle azioni oppositive D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 57; dall’altro lato, che la parte, non impugnando le intimazioni, si è preclusa la possibilità di far valere vizi relativi alle fasi precedenti del procedimento (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6675 del 02/06/1992, Rv. 477495 01), quale ad esempio il vizio dell’asserita omessa notifica delle cartelle, non potendo conseguentemente impedire la prosecuzione dell’esecuzione sulla base del ruolo esattoriale (che funge da titolo esecutivo) ed il successivo pignoramento.
In altri termini, una volta notificate ritualmente al debitore le intimazioni di pagamento che riportavano i numeri delle cartelle e del ruolo, l’eccezione di non conoscenza delle cartelle avrebbe potuto essere svolta mediante ricorso in sede tributaria ovvero per i crediti contributivi innanzi al giudice del lavoro, ma non in sede esecutiva, in quanto essa era successiva alla notifica delle intimazioni che non erano state opposte, con conseguente incontestabilità del diritto della parte a procedere all’esecuzione ed a portarla a compimento (e, per i crediti tributari, anche per i limiti legali alle opposizioni ex art. 57 cit.).
Ne deriva che l’opposizione all’iniziata esecuzione (fondata sul ruolo esattoriale e senza che eventuali vizi di atti successivi della procedura abbiano in alcun modo inficiato il diritto di agire in executivis) è infondata.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata.
Non essendo necessari altri accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’opposizione, non essendo contestabile il diritto della parte a procedere all’esecuzione, mentre nessun altro vizio dirimente della procedura risulta esser stato lamentato.
Spese secondo soccombenza.
PQM
la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda in opposizione.
condanna il controricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida per compensi professionali in Euro 27.000 per il primo grado, 19.000 per l’appello e 25.000 per il giudizio di legittimità, oltre -per ciascun grado- a Euro 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021