Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33394 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4557-2020 proposto da:

S.J., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE RIBECCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO anche per la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Crotone, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1965/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 14/10/2019 R.G.N. 1972/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. PONTERIO CARLA.

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da S.J., cittadino del Bangladesh, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente aveva allegato di aver lasciato il proprio Paese per il timore della vendetta di alcune persone che erano state accusate da padre di furto ed avevano ripetutamente cercato di vendicarsi e di estorcere denaro.

3. La Corte territoriale, esclusa la necessità di una nuova audizione del richiedente, ha rilevato come a fondamento della domanda di protezione fosse stata addotta una vicenda incoerente e priva di qualsiasi riscontro e che comunque il ricorrente non avesse chiarito le ragioni della mancata richiesta di protezione alla locale autorità di polizia. Ha negato l’esistenza dei presupposti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria. Ha negato la protezione umanitaria non risultando “neppure allegata la sussistenza di un’emergenza nel suo Paese tale da non offrire alcuna garanzia di vita qualora vi facesse ritorno”.

4. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

6. Col primo motivo di ricorso è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Mancata attivazione dei poteri istruttori e mancata considerazione della grave pericolosità dell’area di provenienza del ricorrente.

7. Premesso che la valutazione di scarsa credibilità del ricorrente potrebbe incidere solo sulla sussistenza del fumus persecutionis e non avrebbe rilievo per le altre forme di protezione, si sostiene che la valutazione di non credibilità è stata eseguita senza il rispetto dei canoni di procedimentalizzazione legale; che la Corte d’appello, nel ricostruire la situazione del Bangladesh, non ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria in quanto ha utilizzato fonti non esattamente identificate e non aggiornate, risalenti al 2013-2015.

8. Il motivo è fondato.

9. Anzitutto, osserva il Collegio come la valutazione di credibilità del racconto del richiedente la protezione internazionale, da condurre nel rispetto dei canoni legalmente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non integra solo un apprezzamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice del merito, ma è censurabile in cassazione anche sotto il profilo della violazione di legge (v. Cass. n. 151 del 2021).

10. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha omesso di articolare la valutazione di credibilità del richiedente in relazione a ciascuno dei parametri di attendibilità rilevanti ai sensi del citato art. 3, comma 5, omettendo di applicare i canoni legali di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale e di rispettare la struttura ‘procedimentale’ e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle dichiarazioni.

11. La sentenza impugnata si limita ad una generica valutazione di carenza dei requisiti di veridicità di cui all’art. 3, comma 5 cit., senza alcun riferimento specifico alle circostanze narrate dal ricorrente in sede di audizione, riportate nel ricorso in esame (pag. 2), con deposito del relativo verbale.

12. Il mancato rispetto del modello legale di lettura delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo porta a ritenere fondata la censura in esame.

13. Riguardo alla dedotta violazione del dovere di cooperazione istruttoria, questa Corte ha chiarito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3 se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

14. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.

15. E’ quindi onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

16. Con la precisazione che, per i presupposti della protezione sussidiaria di cui alla lett. c) dell’art. 14 cit., a differenza delle altre forme di protezione, non rileva alcuna personalizzazione del rischio sicché il richiedente non è onerato della prova sulla sua storia personale, eccetto quanto sia necessario per la verifica del Paese o regione di provenienza, ed incombe sul giudice l’obbligo di accertare anche d’ufficio se in quel territorio la violenza indiscriminata in presenza di conflitto sia di intensità tale da far rischiare a chiunque vi si trovi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona (v. Cass. n. 13940 del 2020; n. 14350 del 2020; n. 16122 del 2020), senza che assuma rilievo la valutazione di non credibilità.

17. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale si è limitata a richiamare, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per ritenere che la condizione attuale della Nigeria, Paese di origine del richiedente, non fosse interessata da conflitti armati interni ed internazionali, fonti informative incomplete e non aggiornate (risalenti agli anni 2012 – 2015).

18. Col secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per non avere la sentenza impugnata eseguito la doverosa comparazione tra l’integrazione socio lavorativa del richiedente, comprovata dalla documentazione in atti, e la condizione di vulnerabilità in cui lo stesso di troverebbe in caso di rimpatrio per mancanza di legami familiari e per il pericolo di essere vessato dai suoi persecutori.

19. Col terzo motivo è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e motivazione apparente, per non avere la Corte di merito tenuto conto del conseguimento di una occupazione lavorativa a tempo indeterminato da parte del richiedente, documentata in atti (v. copia della comunicazione obbligatoria unificato unilav. del 24.10.18, depositata unitamente al ricorso per cassazione), quale elemento da valutare rispetto alla compromissione dei diritti e delle libertà fondamentali nel Paese di provenienza.

20. Anche il secondo ed il terzo motivo, che si trattano congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati in quanto la decisione della Corte di merito non focalizza correttamente gli elementi costitutivi del diritto alla protezione umanitaria (respinta sul rilievo che non fosse “allegata la sussistenza di un’emergenza sanitaria o alimentare nel suo Paese tale da non offrire alcuna garanzia di vita qualora vi facesse ritorno”) e di conseguenza omette del tutto la valutazione del grado di integrazione sociale in Italia del richiedente e l’esame dei documenti attestanti l’occupazione lavorativa a tempo indeterminato del predetto (v. comunicazione obbligatoria unificato unilav del 24.10.2018, depositato unitamente al ricorso per cassazione).

21. Per le ragioni esposte, accolti i primi due motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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