LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11531/2015 proposto da:
S.R., (in proprio e nella qualità di esercente la potestà
genitoriale sulla figlia minore M.V.), M.R., M.M.A., M.B., M.M., tutti nella qualità
di eredi di M.S., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;
– ricorrenti –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO MARINUZZI, che lo rappresenta e difende;
COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50/A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARIA FERRARI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2239/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/04/2014 R.G.N. 12089/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Napoli, pronunciando sull’appello proposto dagli eredi di M.S. nei confronti del Comune di Napoli e dell’INPS (quale successore dell’INPDAP), confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda dei suddetti intesa a far accertare il diritto del loro dante causa ad ottenere l’indennità premio di servizio, maturata per l’attività lavorativa prestata dal M. al Comune di Napoli, quale operatore ecologico, fin dal 6.11.1976, ed a sentir condannare l’INPS ed il Comune di Napoli al pagamento di tale indennità agli eredi del M. ai sensi della L. n. 152 del 1968, art. 3, oltre al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi dai ricorrenti;
2. la Corte territoriale riteneva che, nonostante le modifiche legislative e gli sviluppi giurisprudenziali (compresa la sent. Cost. n. 763/1988 in riferimento all’illegittimità della L. n. 152 del 1968, art. 2), L. n. 152 del 1968, art. 3, continuava a prevedere che affinché i superstiti dell’iscritto possano beneficiare dell’indennità in esame era necessario che l’iscritto fosse deceduto durante il rapporto di lavoro o entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in tale ultimo caso, l’indennità premio nella forma diretta;
3. la Corte rilevava che tali requisiti non fossero presenti nel caso di specie in quanto il defunto iscritto, M.S., non aveva mai fatto richiesta dell’indennità premio di servizio ed era deceduto dopo più di dieci anni rispetto al termine dell’attività di lavoro; infatti il M., già sospeso dal servizio con decreto sindacale n. 184 del 1981, era stato dichiarato decaduto dall’impiego con decorrenza 4.3.1992 (ai sensi della L. n. 16 del 1992, art. 1, comma 4 quinquies) ed era morto il *****;
4. rilevava che le numerose missive rivolte dal M. al Comune di Napoli non fossero mai state finalizzate ad ottenere l’indennità premio di servizio ma, anzi, alla reintegra sul posto di lavoro e che quindi non potessero essere considerate ai fini interruttivi della prescrizione del diritto ad ottenere l’indennità premio di servizio;
5. la Corte, non ritenendo sussistenti i presupposti legittimanti il diritto di conseguimento dell’indennità premio di servizio da parte degli eredi del M., riteneva assorbito il motivo concernente la dimostrazione dell’essere eredi legittimati al conseguimento dell’indennità in questione;
6. la Corte precisava, inoltre, che il diritto all’indennità premio di servizio corrisposta dall’ex INADEL è assoggettato a termine quinquennale, decorrente dal primo giorno successivo all’inutile spirare dei 120 giorni L. n. 533 del 1973, ex art. 7, dalla data di collocamento a riposo dell’interessato;
7. ricorrono per la cassazione della sentenza gli eredi del defunto M.S. affidato a tre motivi;
8. il Comune di Napoli e l’INPS (ex INPDAP) hanno presentato difese con rispettivi controricorsi.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 152 del 1968, artt. 2 e 3 e del D.L. n. 359 del 1987, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
lamentano l’errata interpretazione dei requisiti richiesti L. n. 152 del 1968, ex art. 3, a seguito delle modifiche legislative e della sentenza di illegittimità costituzionale n. 763/1988, ritenendo che i requisiti di legge siano stati semplificati alla luce di queste modifiche, nel senso che ai sensi dell’art. 3 di tale legge per ottenere l’indennità premio di servizio è sufficiente che il personale interessato sia iscritto da almeno un anno all’INADEL, che la risoluzione può avvenire per qualsiasi motivo e che l’indennità spetta ai superstiti in maniera incondizionata;
2. con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2704 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
lamentano la contraddizione del giudice di primo grado in riferimento al considerarli dapprima eredi e poi nell’affermare che non era stata documentata la loro qualità di eredi in giudizio;
denunciano inoltre la decisione in quanto, comunque, era stata depositata la documentazione necessaria e sufficiente per tale dimostrazione che, quali “documenti precostituiti”, sono esigibili in ogni fase e grado del processo;
3. con il terzo motivo censurano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
sostengono che il termine prescrizionale del diritto non è decorso perché più volte interrotto dalle missive inoltrate al Comune di Napoli oltre che dal giudizio davanti al TAR Campania, e che dunque che si debba ritenere esplicita ed oggettiva la volontà del defunto M. ad ottenere indennità premio di servizio;
4. il primo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;
4.1. occorre premettere che il M. era stato assunto dal Comune di Napoli in data 6.11.76;
era stato sospeso dal servizio in data 9.2.90 ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91 (“91. Sospensione cautelare obbligatoria. L’impiegato sottoposto a procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal servizio con decreto del Ministro; ove sia stato emesso mandato od ordine di cattura, l’impiegato deve essere immediatamente sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell’ufficio”);
quindi era stato dichiarato decaduto dal servizio con decorrenza 4.3.92 ai sensi della L. 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, comma 4 quinquies;
tale provvedimento nell’immediatezza non risulta essere stato impugnato;
si evince dallo stesso ricorso che il M., a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 197 del 1993 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, comma 4 octies, introdotto dalla L. 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui, mediante rinvio al comma 4 quinquies, prevede la destituzione di diritto, anziché lo svolgimento del procedimento disciplinare ai sensi della L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9 – aveva chiesto (con atti di diffida e messa in mora presentati fino al 2000 e quindi con ricorso proposto al TAR Campania – RG n. 7191/2000 -) di essere riammesso in servizio;
nessun provvedimento di riammissione in servizio risulta, tuttavia, intervenuto e, dunque, in mancanza di elementi in senso contrario, deve ritenersi che il M. fosse cessato dal servizio in data 4.3.1992;
lo stesso era poi deceduto in data *****;
4.2. oggetto di causa è l’indennità premio di servizio;
4.3. come è noto l’indennità premio di servizio, (i.p.s.), è una somma di denaro corrisposta all’atto della cessazione dal servizio e prevista per i dipendenti degli Enti locali, del Servizio sanitario nazionale e degli altri enti iscritti al fondo di previdenza ex INADEL, assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 che abbiano risolto, per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale;
si tratta di una indennità già istituita con L. 2 giugno 1930, n. 733, per porre il dipendente cessato dal servizio ed in attesa di pensione in condizione di far fronte alle difficoltà economiche insorgenti al momento e per effetto della fine del rapporto di impiego;
negli anni successivi l’istituto ha subito una evoluzione sia per volontà del legislatore, sia per effetto della giurisprudenza, che ha in parte anticipato ed in parte sollecitato nuove discipline;
il D.L. 2 novembre 1933, n. 2418 (art. 8), ha esteso il diritto di percepire l’indennità in parola anche al personale sanitario e salariato degli enti iscritti all’Istituto previdenziale nonché ai superstiti del personale stesso;
con la L. 13 maggio 1950, n. 120, sono state introdotte aggiunte e modifiche alla previgente disciplina;
la L. 22 giugno 1954, n. 523, ha reso possibile la ricongiunzione dei servizi resi dall’iscritto alle dipendenze dello Stato con quello reso agli enti locali;
la L. 8 giugno 1966, n. 424, ha abrogato le disposizioni che prevedevano la perdita o la riduzione della pensione e di ogni altra indennità a carico dell’INADEL per effetto di condanne penali o di provvedimenti disciplinari;
l’indennità de qua ha così cominciato a perdere la sua caratteristica istituzionale di premio alla fedeltà dimostrata dal dipendente negli anni di lodevole servizio e ad assumere quella di trattamento di fine rapporto correlata alla capitalizzazione dei contributi all’uopo versati;
una disciplina pressocché completa è stata poi apprestata dalla L. 8 marzo 1968, n. 152, che ha sancito il definitivo acquisto di tale menzionato carattere;
la L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, ha dettato le condizioni per il riconoscimento della stessa stabilendo innanzitutto, al comma 1, che: “A partire dalla data da cui ha effetto la presente legge, l’iscritto all’Istituto ai fini del trattamento di previdenza, che cessi dal servizio con almeno due anni completi di iscrizione, consegue il diritto alla indennità premio di servizio” e fissando, alle successive lett. a, b e c, i criteri per tale riconoscimento;
il suddetto comma 1, lett. a, b e c, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il dipendente iscritto all’INADEL consegue il diritto all’indennità premio di servizio qualora abbia almeno due anni di iscrizione all’ente ed abbia prestato servizio per un periodo variabile da quindici a venticinque anni, secondo la causa di cessazione dal servizio medesimo: v. Corte Cost. 30 giugno 1988, n. 763);
sono state, così, caducate le condizioni limitative del diritto rispetto al periodo di iscrizione ed agli anni di servizio maturati (ciò in considerazione della generale parificazione dei trattamenti di fine rapporto attuata dal legislatore – v. la L. n. 29 del 1979, art. 6 – e delle previsioni di cui all’art. 9 di tale L. n. 29 del 1979, nonché della L. 29 ottobre 1987, n. 440, art. 22, di conversione del D.L. 31 agosto 1987, n. 359, reiterativo del non convertito D.L. n. 167 del 1987, che hanno previsto che l’indennità premio di fine servizio erogata ai dipendenti degli enti locali – CPDEL – e agli iscritti INADEL è dovuta in misura corrispondente agli anni di servizio prestati e valutabili ai fini della misura di detta indennità, così come avviene per i dipendenti statali e i loro superstiti relativamente all’indennità di buonuscita);
nel tempo sono confluiti nell’INPDAP (istituito con il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479) l’ENPAS, l’INADEL, l’ENPDEP e le Casse pensionistiche gestite dagli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro;
quindi, a seguito dell’estinzione dell’INPDAP e dell’ENPALS le relative funzioni sono state trasferite all’INPS, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, ex art. 21, convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214;
4.4. il diritto all’i.p.s. (o alla sua riliquidazione o al suo aggiornamento nel tempo) si prescrive dopo cinque anni dal momento in cui è sorto, sia per gli iscritti sia per i loro superstiti;
in tal senso questa Corte si è già espressa affermando che: “La prescrizione del diritto all’indennità premio di servizio corrisposta dall’INADEL è soggetta al termine quinquennale del R.D. 2 novembre 1933, n. 2418, ex art. 19, norma non abrogata dalla L. 8 marzo 1968, n. 152, che, pur ridisciplinando la materia, non detta alcuna disposizione sulla prescrizione e stabilisce, all’art. 19, l’abrogazione delle sole norme in contrasto o incompatibili con la nuova disciplina. Il termine quinquennale di prescrizione decorre dal primo giorno successivo all’inutile spirare dei 120 giorni della L. 11 agosto 1973, n. 533, ex art. 7, dalla data del collocamento a riposo dell’interessato, atteso che non è prevista alcuna specifica istanza per ottenere l’indennità premio di servizio” – cfr. Cass. 29 dicembre 2011, n. 29916;
la prescrizione può essere interrotta da qualsiasi atto rivolto all’INPS (già INPDAP) dal quale possa rilevarsi l’intenzione di avvalersi del diritto stesso;
4.5. la L. n. 152 del 1968, art. 3, disciplina, poi, il diritto all’indennità di servizio in favore dei superstiti stabilendo, al comma 1, che tale diritto spetta qualora l’iscritto muoia in attività di servizio ovvero entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in quest’ultimo caso, l’indennità premio nella forma diretta, purché l’iscritto stesso, in entrambe le ipotesi, abbia maturato una anzianità di almeno 15 anni utili ai fini della pensione indiretta a carico degli istituti di previdenza gestiti dal Ministero del tesoro ed un periodo di iscrizione, agli effetti del trattamento di previdenza dell’INADEL, non inferiore a due anni completi;
la suddetta norma individua, poi, le categorie di superstiti aventi diritto alla indennità premio di servizio;
anche su questa norma è intervenuta la Corte costituzionale ma solo con riferimento alle categorie dei superstiti ed alla possibilità della successione ex lege (v. sentenze 6 agosto 1979, n. 115; 14 luglio 1988, n. 821, 31 luglio 1989, n. 471);
nessun intervento del giudice delle leggi ha riguardato il comma 1 di detta disposizione e, per quanto in questa sede rileva, la previsione del diritto all’i.p.s. qualora l’iscritto muoia in attività di servizio ovvero entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in quest’ultimo caso, l’indennità premio nella forma diretta;
4.6. nel caso in esame il M. è deceduto in data ***** e dunque dopo 10 anni dalla cessazione del servizio (avvenuta, come detto, il 4.3.1992);
già questo rende infondata la pretesa dei superstiti atteso che il diritto in loro favore è previsto, come diritto proprio (ancorché per una indennità da attribuirsi in forma indiretta), solo nel caso che l’iscritto muoia in attività di servizio ovvero entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in quest’ultimo caso, l’indennità premio nella forma diretta;
4.7. i ricorrenti, invero, invocano proprio la previsione di cui al D.L. 31 agosto 1987, n. 359, art. 22, convertito con modificazioni in L. 29 ottobre 1987, n. 440 – cui fa riferimento la Corte Cost. nella sentenza n. 763/1988 sopra citata – che all’art. 10, stabilisce che: “In deroga a quanto stabilito in materia di indennità premio di servizio dalla L. 8 marzo 1968, n. 152, per il personale iscritto da almeno un anno all’INADEL, al momento della risoluzione del rapporto, comunque motivata, e indipendentemente dal conseguimento del diritto alla pensione, spetta all’interessato o ai superstiti l’indennità di fine servizio in relazione agli anni maturati”;
sostengono che la prevista deroga abbia travolto anche la previsione di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 3, rendendo di fatto incondizionato il diritto dei superstiti;
4.8 in realtà la norma di cui all’art. 22 (intitolata “Contributi e prestazioni previdenziali”) ha un ambito di applicazione circoscritto alla definizione del monte contributivo per il conseguimento dell’i.p.s. e non tocca la disposizione specifica di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 3, che individua specificamente i requisiti per il riconoscimento dell’indennità in favore dei superstiti (iure proprio);
il D.L. n. 359 del 1987, citato art. 22, ha, infatti, soltanto eliminato alcune condizioni limitative previste dalla L. n. 152 del 1968 (in tal senso è anche la pronuncia della Corte Cost. n. 763/1988 sopra citata) per il conseguimento del diritto all’indennità premio di servizio (biennio di iscrizione e durata minima del servizio tale da far conseguire il diritto a pensione), in nulla innovando, in particolare, il sistema dei termini per il conseguimento dell’indennità da parte dei superstiti;
4.9. sotto tale profilo la domanda degli odierni ricorrenti è infondata sol che si consideri che mancava il presupposto di cui al citato art. 3 del decesso del M. entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito l’indennità premio nella forma diretta;
4.10. ma la domanda era infondata anche a voler considerare che quella proposta fosse stata un’azione iure hereditario;
nel caso in esame, infatti, la Corte territoriale, sulla base di un accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, ha affermato che nessun atto interruttivo da parte del de cuius ai fini dell’ottenimento dell’i.p.s. vi fosse stato dalla data di cessazione dal servizio a quella del suo decesso avendo, al contrario, il predetto solo presentato istanze di riammissione in servizio, antitetiche rispetto ad una volontà di ottenere i benefici in relazione alla cessazione del 1992;
5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile riguardando una questione ritenuta assorbita dalla Corte territoriale;
6. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;
7. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
8. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.700,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021