LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4118/2020 proposto da:
O.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO PRATICO’;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1032/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/06/2019 R.G.N. 2467/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 1032 del 2019, ha confermato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa sede con il quale era stata respinta la domanda di protezione internazionale ed umanitaria, proposta da O.J., cittadino della Nigeria.
2. Il richiedente aveva dichiarato, in sintesi, di avere lasciato il proprio paese poiché aveva saputo, alla morte del padre, che quest’ultimo era un Principe di un culto che prevedeva la successione da parte del primogenito (nella fattispecie suo fratello) o, in assenza, del secondogenito (lui), pena la morte in caso di rifiuto; aveva specificato che sia lui che suo fratello, essendo di religione cristiana, si erano recati dal loro Pastore che aveva consigliato loro di emigrare per non accettare la nomina.
3. A fondamento della decisione la Corte di merito, premessa la inattendibilità delle dichiarazioni, ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c), nonché la protezione umanitaria per la mancata allegazione di profili di vulnerabilità.
4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione O.J. affidato a tre motivi.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c) e art. 14, comma 1, lett. b), per avere la Corte territoriale escluso il diritto alla protezione sussidiaria in ragione esclusiva del fatto che esso richiedente, secondo quanto dal medesimo dichiarato, sarebbe stato oggetto di minacce in un contesto di violenza meramente privata.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), nonché il grave difetto di motivazione (meramente apparente), per avere la Corte di merito negato l’esistenza di una situazione di violenza rilevante ai sensi dell’art. 14 lett. c) D.Lgs. n. 251 del 2007, senza alcuna indicazione circa le informazioni sul paese di origine (COI) utilizzate per la decisione.
4. Con il terzo motivo, in relazione alla domanda di protezione umanitaria, il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché del vizio motivazionale per assoluta carenza di motivazione (solo apparente) e per l’omesso esame della situazione sociopolitica del paese di origine e di altri fatti decisivi prospettati.
5. I primi due motivi, da trattare congiuntamente perché interferenti, sono fondati e vanno accolti.
6. In primo luogo, va osservato che la materia dei culti e delle sette religiose non può essere considerata una vicenda di natura meramente privata. Invero, in tema di protezione sussidiaria, le minacce di morte da parte di una setta religiosa integrano gli estremi del danno grave del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e non possono essere considerate un fatto di natura meramente privata anche se provenienti da soggetti non statuali, sicché l’adita autorità giudiziaria ha il dovere di accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi ed acquisendo le informazioni sul paese di origine, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ovvero se le autorità del Paese di provenienza siano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente (Cass. n. 3758/2018).
7. In secondo luogo, deve osservarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).
8. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (cfr. Cass. n. 15959 del 2020).
9. E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.
10. In proposito, deve ribadirsi anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici senza frontiere) che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019 per esteso).
11. In modo estremamente sintetico, può quindi affermarsi che il giudice deve indicare, in modo specifico e dettagliato, fonti che abbiano un certo grado di credibilità e che facciano riferimento ad una situazione sociopolitica aggiornata del Paese di origine del richiedente.
12. Più recentemente (cfr. Cass. n. 15215 del 2020) è stato affermato il principio di diritto secondo il quale: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.
13. Nella fattispecie, la Corte territoriale non ha richiamato, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e per ritenere che la condizione attuale della regione di provenienza della Nigeria non fosse interessata da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, comportante una situazione di violenza indiscriminata nell’attualità, alcuna fonte, limitandosi a confermare genericamente quanto affermato dal Tribunale di Torino.
14. Inoltre, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente asilo e, ove occorra, dei paesi in cui questi sono transitati, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale (Cass. n. 2355/2020; Cass. n. 30105/2018) e, quindi, anche in relazione al problema della setta religiosa alla quale il richiedente non aveva voluto aderire e delle eventuali conseguenze all’esito di detto rifiuto.
15. La trattazione del terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, resta, conseguentemente assorbita.
16. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati in tema di valutazione dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e di valutazione del rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021