Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33424 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4250/2020 proposto da:

R.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso la PREFETTURA

– UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CROTONE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1291/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 19/06/2019 R.G.N. 1068/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da R.A., cittadino pakistano, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il Paese per timore di essere arrestato o ucciso poiché nel corso di una rissa con alcuni abitanti del suo villaggio, era stato ucciso un uomo.

3. La Corte d’appello ha escluso la necessità di una nuova audizione sul rilievo che l’appellante era stato sentito dinanzi alla Commissione e nel corso del giudizio di primo grado ed era stato messo in condizioni di riferire e chiarire ogni circostanza utile; ha ritenuto inverosimile il racconto del richiedente e quindi assenti i presupposti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); ha escluso i presupposti della protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c), sul rilievo della inesistenza di una condizione di violenza indiscriminata, specie nella regione del Punjab di provenienza del richiedente; ha infine escluso i requisiti per la protezione umanitaria non essendo allegata una condizione di vulnerabilità.

4. Avverso la sentenza il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

6. Col primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e dell’art. 46, comma 3, Direttiva 2013/32, per avere la Corte di merito omesso di procedere alla nuova audizione del richiedente e poi, in modo contraddittorio, rigettato l’impugnazione per non essere adeguatamente circostanziati luoghi, persone e tempi degli eventi narrati.

7 Col secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa valutazione del livello di integrazione del ricorrente e dei documenti prodotti (denuncia per omicidio nei suoi confronti, due notifiche di arresto a suo carico e mandato di ricerca, una piantina della chiesa che i cristiani avrebbero dovuto costruire sul suo terreno).

9. Col terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 – 27, per avere la Corte territoriale, nel giustificare il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, omesso di compiere un’adeguata istruttoria sulle condizioni del Paese d’origine del richiedente e sul pericolo di danno grave dal medesimo corso, in relazione a quanto dal medesimo dichiarato dinanzi alla Commissione territoriale sulla vicenda che ha determinato la scelta di fuggire al Pakistan e sulla assenza di qualsiasi forma di protezione da parte delle autorità statali (come da fonti attuali e attendibili, specificamente elencate e trascritte).

10. Col quarto motivo è dedotta, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente. Si assume che la Corte di merito abbia omesso di considerare la grave violazione dei diritti umani a cui sarebbe esposto il ricorrente in ipotesi di rimpatrio nonché il livello di integrazione raggiunto in Italia ove il medesimo ha appreso la lingua italiana, i nostri costumi e si “e’ rifatto una vita”.

11. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

12. Secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento al procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (v. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”; v. anche Cass. n. 2760 del 2021).

13. Nel caso di specie, la censura risulta inammissibile perché formulata in modo del tutto generico, atteso che il richiedente non spiega e non specifica i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione innanzi ai giudici del merito ed i profili di credibilità del racconto non approfonditi nelle precedenti fasi di giudizio.

14. Parimenti inammissibili risultano il secondo ed il terzo motivo di ricorso in quanto non rispettosi delle prescrizioni imposte dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Le censure mosse si basano su una serie di documenti (denuncia per omicidio nei suoi confronti, due notifiche di arresto a suo carico e mandato di ricerca, una piantina della chiesa che i cristiani avrebbero dovuto costruire sul suo terreno), aventi particolare rilievo ai fini della credibilità del ricorrente e dei presupposti della protezione richiesta e dei quali la sentenza impugnata non fa cenno, che tuttavia non risultano trascritti, né localizzati e neanche depositati unitamente al ricorso in esame.

16. Anche il quarto motivo è inammissibile per genericità delle censure mosse. Il ricorrente critica il rigetto della domanda di protezione umanitaria senza che risulti adempiuto l’onere di allegazione gravante sul medesimo, riguardo all’esistenza o meno di legami familiari nel Paese di provenienza e ad elementi significativi dell’integrazione socio economica in Italia.

19 E’ costante l’affermazione di questa Corte secondo cui, in tema di protezione internazionale, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova. Ne consegue che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere-dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (v. Cass. n. 17185 del 2020; n. 17069 del 2018).

20. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

21. Non si provvede sulle spese atteso che il Ministero non ha svolto attività difensiva.

22. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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