LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17157/2018 proposto da:
CAMERA COMMERCIO FROSINONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GINO SCACCIA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ULISSE COREA, FRANCESCO SAVERIO MARINI;
– ricorrente –
contro
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7512/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile, o comunque respingere, il ricorso;
vista le memorie depositate dalle parti.
FATTI DI CAUSA
La Camera di Commercio di Frosinone ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 7512/2017 della Corte d’appello di Roma, depositata il 29 novembre 2017.
L’avvocato S.G. resiste con controricorso.
La Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame avanzato dall’avvocato S.G. contro la sentenza resa dal Tribunale di Cassino ed ha così rigettato l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 455/2009 concernente un compenso professionale per l’attività difensiva svolta in favore della Camera di Commercio di Frosinone nell’ambito di procedura esecutive immobiliari, giusta contratto di patrocinio di cui alla Delib. Giunta Camerale 15 ottobre 1998 ed alla Det. Dirig. 29 ottobre 1998, con conseguente procura generale alle liti del 2 novembre 1998. Il Tribunale di Cassino aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo per difetto di forma scritta ad substantiam del contratto, ritenendo altresì non esperibile l’azione di ingiustificato arricchimento.
La Corte di Roma ha piuttosto ritenuta integrata la formale sottoscrizione del contratto di patrocinio per effetto del rilascio della procura alle liti e della firma degli atti difensivi da parte dell’avvocato. I giudici di appello hanno poi disatteso le eccezioni della Camera di Commercio di Frosinone in punto di carenza di prova delle prestazioni professionali, violazione dei canoni di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, illiceità della causa, difetto del potere rappresentativo del Segretario Generale dell’ente che aveva sottoscritto la procura alle liti, infrazionabilità dei crediti azionati e inapplicabilità della normativa statale sulla inderogabilità dei minimi degli onorari.
Il ricorso è stato deciso in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso della Camera di Commercio di Frosinone deduce la violazione degli artt. 1421 e 1418 c.c., delle direttive Europee 2004/18/CE e 2004/17/CE e della normativa nazionale in materia di contratti pubblici (D.Lgs. n. 157 del 1995, art. 3; D.Lgs. n. 406 del 1991; L. n. 109 del 1994; D.Lgs. n. 157 del 1995 e D.Lgs. n. 158 del 1995; D.Lgs. n. 163 del 2006, poi D.Lgs. n. 50 del 2016).
Si assume che la sentenza impugnata abbia omesso di rilevare d’ufficio la nullità del contratto di patrocinio e della procura alle liti, in quanto inosservanti delle inderogabili norme nazionali e comunitarie in materia di contratti pubblici. In forza di tale convenzione, era stato infatti affidato all’avvocato S.G. l’intero servizio legale di recupero di tutti i crediti dovuti dai terzi alla Camera di Commercio per “tutte le cause attive o passive promosse e da promuoversi ed in qualunque altro giudizio o procedimento”, avente ad oggetto il solo recupero dei crediti dell’Ente, come si legge nella procura generale del 2 novembre 1998. Identico vizio di contrasto con norme imperative viene rilevato dalla ricorrente con riguardo alla Det. Dirig. n. 274 del 1998, del Segretario Generale. La censura prosegue esponendo che la violazione delle norme di evidenza pubblica sulla individuazione del contraente comporta la nullità del contratto, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, che la Camera di Commercio è ente pubblico non economico, e che l’affidamento dei servizi legali rientra tra gli appalti di servizi ai sensi del D.Lgs. n. 157 del 1995, art. 3. Il primo motivo sostiene che l’avvocato S. ha così “operato sulla base di una procura generale conferita dall’odierna appellante (qui è da intendersi: “ricorrente”) in assenza di qualsivoglia forma pubblicitaria” e reitera la tesi della nullità dell’intercorso contratto relativo ai servizi legali, operante non già per un singolo incarico, ma per “tutte le cause”. La prima censura conclude invocando altrimenti il rinvio alla Corte di Giustizia UE per pronunciare sulla questione pregiudiziale della ammissibilità, in base alla direttiva 92/50, di un affidamento dei servizi legali in assenza di qualsiasi forma pubblicitaria, concorrenziale e di trasparenza.
1.1. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile per più motivazioni.
1.2. La censura è interamente volta a far valere la nullità dell’unitario contratto di patrocinio di cui alla Determina Dirigenziale n. 274 del 29 ottobre 1998 ed alla procura generale alle liti del 2 novembre 1998. La sentenza della Corte d’appello di Roma ha però ravvisato “tanti contratti di patrocinio quante sono le procedure esecutive nelle quali l’Avv. S. è intervenuto per il recupero dei crediti della camera di Commercio”, contratti individualmente conclusi in forza dell’accettazione ritraibile dalla comparsa di intervento redatta e sottoscritta dal difensore nelle singole procedure esecutive specificate nel ricorso per decreto ingiuntivo opposto. E’ quanto osserva in memoria la stessa ricorrente, sottolineando come anche i precedenti giudizi intercorsi fra le parti abbiano, a suo dire, delibato “la validità del singolo contratto” in relazione allo specifico atto di intervento nella procedura esecutiva. In tale prospettiva, il primo motivo di ricorso non rivolge una critica specifica, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, riferibile alla ricostruzione della vicenda negoziale compiuta dalla Corte d’appello, ricostruzione che atomizza il singolo contratto di patrocinio oggetto di lite e risulta così di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata senza essere scalfita dalle questioni che il primo motivo pone. Il motivo in esame non censura, invero, l’accertamento dell’esistenza e della validità del contratto di patrocinio che si è inteso concluso solo con la sottoscrizione delle comparse nelle procedure esecutive immobiliari dedotte nel ricorso monitorio, pur essendosi rivelato tale specifico contratto la fonte del rapporto obbligatorio dedotto ed il titolo del credito azionato nel ricorso per decreto ingiuntivo opposto.
Ne’ il ricorso, né la sentenza impugnata, delineano, del resto, una automatica nullità derivata dei singoli contratti di patrocinio, aventi ad oggetto le procedure esecutive 194/94, 194/91, 106/96, 34/97 e 100/89, quale immediata conseguenza della prospettata nullità dell’unitario contratto di cui alla Det. Dirig. n. 274 del 29 ottobre 1998; trattandosi, del resto, eventualmente di contratti che, sia pure esecutivi del primo, configurano atti negoziali distinti ed autonomi.
Se, dunque, la nullità del contratto generale di patrocinio dell’ottobre 1998 non rileva nel presente giudizio, non essendo quel contratto posto a fondamento della domanda monitoria infine accolta dalla Corte di Roma, neppure può affermarsi la nullità dei singoli contratti di patrocinio qui dedotti, dotati rispetto a quello di una loro propria autonoma individualità, ciò imponendo accertamenti di fatto diversi ed ulteriori rispetto a quelli svolti nel giudizio di merito ed emergenti nella sentenza impugnata, incompatibili col giudizio di legittimità.
1.3. Ove, peraltro, si volesse sostenere che la validità dei singoli contratti di patrocinio intercorsi tra l’avvocato S. e la Camera di Commercio di Frosinone non possa prescindere dalla verifica della validità a monte del contratto di patrocinio di cui alla delibera di Giunta Camerale del 15 ottobre 1998 ed alla Det. Dirig. 29 ottobre 1998, nonché alla procura generale alle liti del 2 novembre 1998, tale verifica sarebbe preclusa dal giudicato sulla “non nullità” negoziale (arg. da Cass. sez. un. 12 dicembre 2014, n. 26242), evincibile dalle pronunce inter partes di questa Corte che hanno determinato il passaggio in giudicato dei decreti ingiuntivi opposti, con ciò conclamando la piena sussistenza del credito azionato ed anche la validità del rapporto contrattuale corrente tra gli stessi contendenti (cfr. Cass. n. 19420 del 2019; n. 19419 del 2019; n. 17888 del 2019; 17887 del 2019; n. 29818 del 2018; n. 28753/2018).
In sostanza, il primo motivo di ricorso, nella parte in cui mette in discussione la nullità del contratto di affidamento dei servizi legali stipulato nel 1998, ed inteso dalla ricorrente, a differenza di quanto emerge nella sentenza impugnata, quale unica fonte dei diritti e degli obblighi scaturenti per le parti, sarebbe in contrasto con i giudicati formatisi a seguito dei rigetti delle opposizioni avverso i plurimi decreti ingiuntivi per compensi professionali intimati dall’avvocato S.. Tali giudicati fanno stato fra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto obbligatorio tra loro corrente, che costituisce il presupposto logico-giuridico del diritto di credito derivatone, nonché circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione (arg. da Cass. Sez. 6 – 3, 18/07/2018, n. 19113; Cass. Sez. 3, 26/06/2015, n. 13207; Cass. Sez. 3, 11/05/2010, n. 11360; Cass. Sez. 3, 24/07/2007, n. 16319; Cass. Sez. 3, 24/03/2006, n. 6628; Cass. Sez. 1, 24/11/2000, n. 15178).
1.4. Le considerazioni svolte a proposito del primo motivo di ricorso rivelano altresì la superfluità del sollecitato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, in quanto la questione interpretativa posta dalla ricorrente non ha rilevanza in relazione al delineato “thema decidendum” sottoposto all’esame di questa Corte.
Peraltro, a fonte delle osservazioni contenute ancora nella memoria della ricorrente circa l’assunta prevalenza delle richiamate norme comunitarie, deve considerarsi che Corte giustizia UE sez. V, 06/06/2019, n. 264, ha affermato che l’art. 10, lettere c), d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE, che esclude dal regime dei contratti pubblici i servizi d’arbitrato e di conciliazione, determinati servizi di rappresentanza legale e di consulenza legale, nonché altri servizi legali che, nello Stato membro interessato, sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, non si pone in contrasto con i principi di parità di trattamento e sussidiarietà, nonché con gli artt. 49 e 56 TFUE. Infatti, l’esclusione dei servizi di arbitrato e di conciliazione si giustifica in virtù della circostanza che gli arbitri e conciliatori devono sempre essere accettati da tutte le parti della controversia e sono designati di comune accordo da queste ultime, mentre quanto ai servizi legali e di consulenza di cui all’art. 10, lettera d), i) e ii), l’esclusione trova ragione nel fatto che si tratta di prestazioni fornite da un avvocato, i quali si inseriscono nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato medesimo e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza. Infine, i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24 (che ha sostituto la direttiva 2004/18, di cui alla rubrica del motivo), il che denota come, proprio in ragione delle peculiarità delle prestazioni svolte dal professionista legale, non è dato invocare l’applicazione delle norme comunitarie in tema di affidamento di appalti pubblici.
2. Il secondo motivo del ricorso della Camera di Commercio di Frosinone denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 580 del 1993, artt. 9 e 16 e dell’art. 1399 c.c.. Si assume che il vizio della procura, rilasciata da soggetto privo di poteri rappresentativi, ovvero dal Segretario generale della camera di Commercio (anziché dal Presidente), non poteva essere ratificata senza un’apposita Delibera dell’organo (la Giunta) deputato a formare la volontà dell’ente e senza comunicazione della stessa all’interessato da parte del Presidente.
2.1. Questo motivo è infondato.
Secondo quanto già affermato nella sentenza n. 28573 del 9 novembre 2018, in controversia vertente tra le medesime parti, la disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici, potendo l’organo competente ad esprimere la volontà dell’ente procedere alla ratifica del contratto sottoscritto dal “faisus procurator”, per la quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam”, in quanto contratto della P.A., Detta ratifica non deve necessariamente risultare da un atto che manifesti espressamente la volontà del “dominus”, potendo questa pure desumersi implicitamente da altro atto, comunque redatto per iscritto, che, formato per fini consequenziali alla stipula del contratto ratificato, esprima in modo inequivoco una volontà incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere, da valutarsi in base ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da idonea motivazione.
La Corte d’appello di Roma ha affermato, appunto, che l’incompetenza del Segretario Generale era stata sanata dalla costituzione spiegata dalla Camera di Commercio nelle procedure esecutive in oggetto a mezzo di nuovi difensori, muniti di idoneo mandato, i quali avevano dichiarato l’intenzione della stessa camera di Commercio di far proprie le attività svolte dal precedente avvocato. Secondo la Corte di Roma, doveva agevolmente presumersi la comunicazione all’avvocato S. della revoca del suo mandato alle liti (comunicazione che si impone per l’efficacia della ravvisata ratifica del “dominus”, la quale è dichiarazione di volontà unilaterale che ha, appunto, carattere recettizio).
L’accertamento dei giudici del merito in ordine alla sussistenza della ratifica costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, giacché sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici.
La costituzione dei nuovi difensori in sostituzione dell’avvocato S. muniti di procure, che la stessa ricorrente reputa rituali, ed al fine di approvare tutti gli atti difensivi già compiuti dal primo legale, lascia logicamente desumere, come inteso dalla Corte d’appello, che la ratifica provenisse dell’organo rappresentativo esterno dell’ente, munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione. Il ricorso non contesta, invero, che gli avvocati costituitisi in sostituzione del controricorrente fossero stati incaricati dagli organi deputati a concepire la volontà e dotati dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, i quali potevano perciò manifestare altresì l’intenzione, semmai tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva dell’avvocato S..
E’ vero, del resto, che la ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta “ad substantiam”, stipulato da “falsus procurator”, non richiede che il “dominus” manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto, ma può essere anche implicita – purché sia rispettata l’esigenza della forma scritta – e risultare da un atto che, redatto per fini che sono consequenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del “dominus” incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere (cfr. Cass. Sez. 2 04/02/2021, n. 2617; Cass. Sez. 2, 25/10/2010, n. 21844).
Non costituisce precedente contrario all’orientamento appena ribadito l’ordinanza n. 31516/2019 di questa Corte, giacché in essa la questione della ratifica sanante dell’iniziale difetto di rappresentanza fu meramente ritenuta “nuova” e perciò non deducibile per la prima volta in sede di legittimità.
3. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, negli importi liquidati in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021