Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33465 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1069/2015 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII n. 396, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIUFFRIDA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO CONDORELLI CAFF;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 887/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 22/10/2014 R.G.N. 321/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA Stefano, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 22 ottobre 2014 n. 887 la Corte d’Appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva condannato il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (in prosieguo: il MINISTERO) al risarcimento in favore di C.A., operatore giudiziario, del danno derivato dalla mancata esecuzione del lodo arbitrale del Collegio di disciplina – che aveva sostituito la sanzione del licenziamento disciplinare con quella conservativa della sospensione di mesi sei dal servizio – quantificando il danno nella misura delle retribuzioni non percepite dal novembre 2004 al dicembre 2007, oltre ad Euro 25.000 per danno esistenziale.

2. La Corte territoriale respingeva la eccezione di inammissibilità della azione opposta dal MINISTERO sotto il profilo della violazione del ne bis in idem; osservava che l’oggetto del giudizio – concernente la mancata esecuzione di quanto statuito nel lodo arbitrale, avente efficacia esecutiva – era diverso da quello di impugnazione del lodo svoltosi tra le stesse parti.

3. Riteneva altresì infondata la censura di omessa verifica dell’esistenza di un illecito civile, osservando trattarsi della mancata esecuzione di un provvedimento avente efficacia esecutiva, giusta decreto del Presidente del Tribunale di Roma del 21.2.2006, ancorché non passato in giudicato; il MINISTERO non aveva dato corso alla riammissione in servizio, pur essendo a tanto obbligato, senza alcun ulteriore margine di discrezionalità.

4. Alla sostituzione al licenziamento di una sanzione conservativa conseguiva il diritto della dipendente alle retribuzioni, decorso il semestre di sospensione dal servizio, senza alcun onere di provare la impossibilità di reperire altra occupazione; era a carico del MINISTERO, piuttosto, l’onere di provare l’aliunde perceptum, prova che non era stata fornita.

5. Correttamente nel primo grado era stato accertato il danno non patrimoniale, in base alla circostanza non contestata che la prolungata mancata percezione delle retribuzioni, costituenti l’unica fonte di sostentamento per la lavoratrice e la sorella disabile, aveva fatto cadere la C. in uno stato di assoluto bisogno, riuscendo ella a sopravvivere soltanto grazie all’assistenza volontaria di terzi.

6. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il MINISTERO, articolato in due motivi di censura, cui C.A. ha opposto difese con controricorso.

7. Le parti hanno depositato memoria.

8. Il PM ha concluso per l’accoglimento del ricorso in punto di liquidazione del danno non patrimoniale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare deve essere ribadita la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel giudizio di legittimità, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo; ne consegue che la morte della controricorrente, intervenuta in data 10 agosto 2019, dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 29/01/2016, n. 1757; Cassazione civile sez. III, 03/12/2015, n. 24635).

2. Deve altresì darsi conto della produzione da parte del MINISTERO ricorrente, in allegato alla memoria difensiva, della sentenza del Tribunale di Roma n. 8916/2019, con la quale, il Tribunale, giudice del rinvio all’esito della sentenza di questa Corte n. 21259/2017, ha annullato il lodo del Collegio di disciplina, con il quale era stata disposta la sostituzione della sanzione del licenziamento di C.A. con una sanzione conservativa.

3. Il Ministero ha dedotto in memoria che il giudicato esterno intervenuto tra le medesime parti nel giudizio di impugnazione del lodo farebbe venir meno il presupposto che fonda la responsabilità risarcitoria accertata nella sentenza impugnata.

4. Osserva la Corte che la sentenza n. 21259/2017 del Tribunale di Roma, allegata alla memoria difensiva, è priva della attestazione di passaggio in giudicato sicché non è utilizzabile. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 12/07/2018, n. 18464). Nella specie il giudicato di annullamento del lodo non solo non è stato documentato ma è contestato in memoria dalla parte controricorrente, la quale ha dedotto che il lodo sarebbe divenuto definitivo (pagina 1 della memoria di C.A., in fine).

5. Va comunque aggiunto che in punto di principio la deduzione del MINISTERO è corretta, in quanto tra i due giudizi vertenti tra le parti-rispettivamente di impugnazione del lodo e di risarcimento del danno per mancata esecuzione del lodo – esiste un rapporto di pregiudizialità in senso logico (e non in senso tecnico – giuridico), in quanto la validità del lodo integra il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno: in caso di annullamento, il lodo arbitrale verrebbe meno ex tunc sicché la condotta del MINISTERO, che non vi ha prestato spontanea esecuzione, non potrebbe qualificarsi come inadempimento. Nel rapporto di pregiudizialità in senso tecnico giuridico, disciplinato dall’art. 295 c.p.c., invece, la fattispecie pregiudicante resta esterna al fatto costitutivo del diritto azionato, del quale integra un mero presupposto giuridico.

5. Il rapporto tra i due giudizi e’, dunque, disciplinato dall’art. 336 c.p.c., u.c., secondo cui la riforma o la cassazione della sentenza pregiudicante determina l’automatica caducazione della sentenza pregiudicata, anche se su quest’ultima si sia formato un giudicato apparente.

6. L’esame della censure svolto nel prosieguo della esposizione, non impedirebbe, pertanto, la automatica caducazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno in questa sede impugnata e della presente sentenza nell’ipotesi in cui si formi o si sia formato, come rappresentato dal MINISTERO, un giudicato di annullamento del lodo.

7. Con il primo motivo di censura il MINISTERO ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale: omesso ogni pronuncia sulla eccezione di inammissibilità della azione per violazione del principio del ne bis in idem; omesso di verificare l’effettiva esistenza dell’illecito civile (l’amministrazione intendeva evitare il disservizio che sarebbe derivato, in caso di reintegrazione, dalle ripetute assenze della C.); accolto la domanda benché il lodo arbitrale fosse stato impugnato e la impugnazione fosse ancora pendente.

8. Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la sentenza impugnata liquidato il danno patrimoniale, nella misura delle retribuzioni non percepite, in assenza della prova, di cui era onerata la originaria ricorrente, di avere patito un danno per non avere trovato una diversa occupazione.

9. Si deduce che era parimenti sfornito di prova il danno non patrimoniale, imputando al giudice dell’appello di aver ritenuto che lo stato di bisogno derivasse ex se dalla mancata percezione delle retribuzioni.

10. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché si prestano ai medesimi rilievi, sono inammissibili.

11. La parte ricorrente assume la violazione di norme del processo (artt. 113 e 115 c.p.c.; art. 118 disp. att c.p.c.) senza individuare le statuizioni della sentenza impugnata in cui si ravviserebbe la violazione denunciata né la ragioni di detta violazione.

12.Risulta pertanto inadempiuto, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), che impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cassazione civile sez. un., 28/10/2020, n. 23745).

13. La deduzione dell’errore di diritto, lungi dallo specificare le censure, sottopone a complessiva critica il rigetto dei motivi di appello e ripropone in via diretta a questa Corte le medesime censure già esaminate e disattese dalla sentenza impugnata tanto in punto di insussistenza del ne bis in idem, che quanto alla esistenza di un inadempimento colpevole della amministrazione per avere disatteso un lodo avente efficacia esecutiva nonché, da ultimo, in ordine alla quantificazione del danno patrimoniale ed alla ragioni di concreto bisogno integranti il danno non patrimoniale.

14. In sostanza il ricorso complessivamente sollecita questa Corte a compiere un’inammissibile riesame del merito.

15. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

16. Il giudice dell’impugnazione, ove pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, può esimersi dalla attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo del contributo unificato quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315). L’Amministrazione dello Stato, a tenore del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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