Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33469 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36355/2019 proposto da:

L.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO n. 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, quale successore ex lege dell’INPDAP, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’Avvocato PAOLA MASSAFRA, ANGELO GUADAGNINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2019 R.G.N. 122/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 534/2019, resa quale giudice di rinvio, in riforma della decisione del Tribunale di Roma, rigettava il ricorso in riassunzione proposto da L.P.A., dirigente INPDAP, volto a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli dall’Ente.

2. Il L.P. era stato licenziato in data 9 giugno 2008 ed in sede di prima valutazione giudiziale l’atto di recesso era stato ritenuto illegittimo in quanto intimato in assenza del parere del Comitato dei garanti.

3. Con sentenza di questa Corte n. 24905/2017 la causa era stata rimessa al giudice del merito in quanto nella pronuncia oggetto di cassazione la Corte territoriale, oltre a richiamare il testo originario del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 21, aveva concluso per la sussistenza di un indissolubile intreccio fra responsabilità dirigenziale e responsabilità dirigenziale, senza individuare in modo chiaro i tratti distintivi dell’una e dell’altra, con la conseguenza che era pervenuta a ricondurre alla responsabilità dirigenziale la contestata violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e del canone di buona amministrazione che, invece, se valutata sul presupposto che difettava ogni collegamento con i risultati gestionali attesi, avrebbe indotto a ritenere contestato solo l’illecito disciplinare.

Il giudice del rinvio avrebbe, dunque, dovuto procedere ad un nuovo esame distinguendo, al fine di individuare quale responsabilità fosse stata in concreto oggetto di contestazione, la violazione degli obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente (diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto) rispetto al mancato raggiungimento dei risultati attesi dal suo operato.

4. La Corte d’appello di Roma, pronunciando a seguito di riassunzione, riteneva che nella fattispecie de qua l’amministrazione, per quanto si evinceva dalla nota di addebito del 28 aprile 2008, aveva contestato al dirigente una responsabilità disciplinare, non facendosi in essa alcun riferimento al mancato raggiungimento degli obiettivi, ma evidenziandosi inadempimenti relativi ad inosservate prescrizioni normative e regolamentari in merito alle pratiche di mutuo affidate al L.P..

Riteneva che, secondo i criteri stabili dalla Suprema Corte, la contestazione fosse da inquadrare nell’ambito della responsabilità disciplinare, incentrandosi i rilievi dell’INPDAP sulla violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e di perizia.

Considerava, pertanto, che fosse irrilevante il parere del Comitato dei Garanti ai fini della legittimità del recesso intimato.

Evidenziava che i fatti contestati al dirigente fossero di “indubbia gravità” e richiamava la pronuncia di condanna del L.P. da parte della Sezione della Regione Lazio della Corte dei Conti al pagamento della somma pari ad Euro 3.454.091,33, pronuncia seguita da quella della Corte di Conti Centrale d’appello che aveva dichiarato cessata la materia del contendere per essere state le somme irregolarmente erogate alle cooperative in virtù di irregolari finanziamenti del L.P. in parte ritualmente restituite (Euro 2.888.993,50) ed in parte formato oggetto di accordi per un pagamento dilazionato.

Condannava l’appellante a restituire la somma di Euro 108.379,50, somma erogatagli dall’Istituto in adempimento della sentenza di primo grado.

5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso L.P.A. con sei motivi.

6. L’INPS ha presentato controricorso.

7. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del primo motivo e per l’accoglimento degli altri.

8. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 21, comma 1, e art. 22, comma 1, nonché dell’art. 1362 c.c., comma 1, e art. 1363 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ritiene erronea la sentenza della Corte territoriale ove ha escluso la compresenza delle due forme di responsabilità, tanto disciplinare quanto dirigenziale.

Lamenta, a tal proposito, la mancata considerazione di quanto indicato nella contestazione di addebito e nella lettera di recesso dell’INDAP, sostenendo che da tali documenti si possa evincere tanto una contestazione di responsabilità disciplinare quanto una responsabilità dirigenziale in capo al ricorrente.

Sostiene che, contrariamente a quanto indicato nella sentenza impugnata, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 21, comma 1, anche la grave violazione di direttive può essere fonte di recesso del rapporto per responsabilità disciplinare e lamenta una limitata verifica da parte del Giudice territoriale che ha escluso la responsabilità disciplinare solo sulla considerazione che al ricorrente non fosse contestato il “mancato raggiungimento di un determinato obiettivo”.

Denuncia, quindi, il mancato rispetto dell’obbligo di parere del Comitato dei Garanti previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22, comma 1, per tutti i provvedimenti di cui all’art. 21, comma 1, cit..

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sulla tardività della contestazione disciplinare e quindi l’illegittimità del conseguente licenziamento. Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Riporta i paragrafi di alcuni atti del giudizio di primo grado e di secondo grado, e del ricorso in riassunzione e sostiene che la questione della tardività della contestazione fosse stata sempre proposta e che sulla stessa vi sia stata una omessa pronuncia.

Assume che la contestazione non sia stata rispettosa del principio di immediatezza, con violazione palese del diritto di difesa del ricorrente, in quanto già nel novembre del 2007 l’Amministrazione avrebbe avuto conoscenza dell’infrazione poi contestata, comunicata al ricorrente solo nell’aprile del 2008.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, commi 1 e 2, dell’art. 2909 c.c., comma 1, e dell’art. 324 c.p.c., anche in relazione all’art. 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta la mancata considerazione dei fatti di causa e di tutti gli aspetti sottoposti ab initio ai giudici di merito, non trattati nelle precedenti fasi di giudizio.

Considera apodittica la sentenza della Corte territoriale che, in mancanza di qualsiasi accertamento e spiegazione, ha considerato i fatti contestati di “indubbia gravità”.

Lamenta l’apparenza della motivazione della Corte laddove ha attribuito efficacia decisiva alle pronunce della Corte dei Conti, senza alcuna autonoma valutazione dei fatti oggetto di contestazione ed in violazione dei principi di autonomia e indipendenza della responsabilità disciplinare rispetto alle altre responsabilità che possono essere addebitate al dipendente pubblico.

Sostiene che la responsabilità disciplinare è del tutto distinta ed indipendente dalla responsabilità amministrativa per danno erariale.

Sì duole della violazione dell’efficacia di giudicato in quanto la sentenza del Giudice contabile non può essere considerata automaticamente decisiva nel giudizio di responsabilità civile, anche in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la pronuncia della Corte dei Conti è inidonea alla cosa giudicata perché conclusasi con pronuncia di cessazione della materia del contendere.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la nullità della motivazione perché apparente, con violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Il ricorrente lamenta il vizio di motivazione apparente ritenendo che la Corte territoriale non abbia motivato la decisione, nemmeno per relationem, in quanto il Giudice d’appello si è apoditticamente limitato a richiamare la sentenza della Corte dei Conti della Regione Lazio e della Corte dei Conti d’appello, senza dare alcuna autonoma valutazione dei fatti o delle questioni posti alla base del suo convincimento.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sostiene che, pur a voler considerare come effettuato l’accertamento in merito alla responsabilità disciplinare e sulla sussistenza della giusta causa di licenziamento, la sentenza sarebbe in ogni caso viziata perché il licenziamento per giusta causa deve considerare, oltre che la condotta oggettiva e soggettiva del lavoratore, anche la gravità della stessa condotta, che deve essere talmente grave da inficiare il vincolo fiduciario.

6. Con il sesto motivo il ricorrente censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella mancata considerazione da parte della Corte territoriale dei vari mutamenti del regolamento di riferimento, della competenza istruttoria sulle pratiche di altro soggetto (Dott. Montesi), della molteplicità di incombenze spettanti al ricorrente e del complessivo proficuo svolgersi del rapporto (prima del licenziamento).

7. Il primo motivo è infondato.

Lamenta il ricorrente che, nonostante la mancanza del previo parere del Comitato dei Garanti di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22, la Corte territoriale abbia ritenuto di poter prescindere da tale mancanza ai fini della valutazione della legittimità del recesso.

Tuttavia, la Corte territoriale ha avuto ben chiaro il discrimen tracciato da questo Giudice di legittimità nella pronuncia rescindente tra responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare ed ha pienamente assolto al compito che le era stato attribuito di individuare, con giudizio insindacabile in questa sede perché sorretto da congrua motivazione, che nella specie trattavasi della seconda e non della prima ipotesi di responsabilità.

8. Gli altri motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono invece fondati.

Le censure, denunciando specificamente violazioni di legge (sostanziale e processuale) e prospettando vizi motivazionali (art. 360, nn. 3, 4 e 5), convergono nel rimproverare alla Corte territoriale di aver limitato la valutazione di legittimità della ragione fondante il recesso alla sola considerazione della ‘indubbia gravità’ della condotta, così come emersa dai paralleli giudizi contabili.

Invero questa Corte, enunciando il sopra ricordato principio di diritto, aveva demandato al giudice del rinvio di procedere ‘ad un nuovo esame’ della fattispecie che, però, presupponeva lo scrutinio, per un verso delle eccezioni formali e, per altro verso, delle deduzioni difensive del L.P. (sul versante oggettivo e soggettivo) entrambe ritualmente sollevate nei precedenti gradi di merito (ritenute assorbite dal Tribunale e dalla Corte d’appello) e riproposte nel giudizio di rinvio (si vedano tutti i riferimenti riportati puntualmente alle pagg. da 21 a 24 del ricorso per cassazione).

Va ricordato che, in caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare ‘ex novò il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali. Del resto, il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto, come accade allorquando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della ‘ragione più liquidà, basandosi la soluzione della causa su una o più questioni assorbenti (v. Cass. 17 marzo 2015, n. 5264) e la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne l’esame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (Cass., Sez. Un., 25 maggio 2018, n. 13195).

Nulla di ciò ha fatto il giudice capitolino, il quale si è limitato ad una perentoria affermazione di ‘indubbia gravità’ dei fatti addebitati al ricorrente ed a richiamare, in modo del tutto acritico, gli esiti dei processi innanzi alla Corte dei Conti (dei quali, quello di secondo grado, conclusosi con pronuncia di cessazione della materia del contendere in relazione alla quale non è stata neppure evidenziata una eventuale soccombenza virtuale) senza affrontare in alcun modo il rilievo concernente la tardività della contestazione disciplinare (comunicata il 28/4/2008 per fatti asseritamente conosciuti sin dal novembre 2007), senza fare riferimento agli elementi soggettivi ed oggettivi della condotta, ai fini della rilevanza disciplinare della stessa, senza prendere in alcuna considerazione, quanto al giudizio di gravità del comportamento addebitato, le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio operato (ad es. ripetute modifiche del Regolamento INPDAP, incertezze applicative riguardo alla concessione dei mutui ed al momento in cui doveva essere verificata la sussistenza della qualità di iscritti INPDAP in capo ai soci delle cooperative ed alle modalità di tale verifica, mancanza di segnalazioni da parte di chi, in un determinato periodo, era stato responsabile del processo, pregresso irreprensibile atteggiarsi del rapporto) ed altresì senza alcuna argomentazione circa le ragioni per le quali sarebbe stato leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

8. Conclusivamente, vanno accolti i motivi dal secondo al sesto e va rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

9. Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi dal secondo al sesto e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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