LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giovanni – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5542-2019 proposto da:
D.M.M., difeso da se stesso ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 903;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI CAPUANA 207, presso lo studio dell’avvocato MARIO BACCI, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 300/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata l’8/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le memorie depositate dal ricorrente.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE D.M.M. ha proposto appello averso la sentenza del giudice di Pace di Roma n. 11168 del 3 aprile 2018, con la quale era stata rigettata l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore del Condominio in Roma alla via Nomentana n. 903, per il pagamento della somma di Euro 1927,96.
Nella resistenza del condominio, il Tribunale adito, con la sentenza n. 300 dell’8 gennaio 2019, ha rigettato il gravame, con condanna dell’appellante al rimborso delle spese del grado. Il Tribunale rilevava che la questione oggetto dell’appello era relativa alla asserita nullità della delibera assembleare del 14 aprile 2016, con la quale il condominio aveva ripartito tra tutti i condomini la somma necessaria all’amministratore per ripianare un debito del condominio, che aveva altresì determinato il pignoramento delle somme giacenti sul conto corrente condominiale.
A detta dell’appellante, tale delibera era affetta da nullità, in quanto l’oggetto della stessa esulava dalle competenze dell’assemblea, come chiaramente si ricavava dalla decisione delle Sezioni Unite n. 4806/2005.
Secondo il giudice di appello però tale delibera non poteva reputarsi affetta da nullità, in quanto non era estranea alle finalità condominiali, atteso l’evidente interesse del condominio a liberarsi del vincolo scaturente dall’intervenuto pignoramento.
Ne derivava che la delibera aveva validamente approvato il riparto del debito senza che fosse stata impugnata nel termine di cui all’art. 1137 c.c., sicché non poteva ora essere posta in discussione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso D.M.M. sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.
Il Condominio intimato ha resistito con controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112,132 e 161 c.p.c. per avere il Tribunale deciso oltre i limiti della domanda, formulando d’ufficio controdeduzioni ed eccezioni, laddove ha affermato che l’assemblea avrebbe legittimamente deliberato sul riparto delle spese necessarie per estinguere il debito nei confronti di coloro che avevano assoggettato a pignoramento il conto corrente condominiale, in contrasto con i principi invece affermati dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 4806/2005 delle Sezioni Unite.
Il secondo motivo denuncia l’omessa e insufficiente motivazione con la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6, in quanto la sentenza ha rigettato l’opposizione del ricorrente omettendo ogni motivazione circa l’iter logico che sorregge tale statuizione, non avvedendosi che la delibera è in realtà affetta da nullità radicale e non poteva essere quindi adottata dall’assemblea.
I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
In primo luogo, è inammissibile la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia perché formulata sulla base della vecchia formulazione della norma, non più applicabile ratione temporis, sia in ragione dell’applicabilità, in presenza di una cd. doppia conforme, della prescrizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., che preclude la deduzione del vizio de quo.
Va del pari disattesa la censura quanto alla nullità della sentenza per difetto di motivazione.
In primo luogo, preme rilevare che, proprio a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, hanno ribadito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, ed è solo in tali ristretti limiti che può essere denunziata la violazione di legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4.
Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle ipotesi che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione, atteso che nella vicenda in esame il Tribunale ha adeguatamente argomentato circa la non ricorrenza di una causa di nullità della delibera sulla scorta della quale è stata approvata la spesa al cui recupero è stato finalizzato il decreto ingiuntivo opposto, avendo escluso che la delibera intendesse perseguire delle finalità estranee a quelle condominiali.
Nel resto la doglianza è destituita di fondamento, occorrendo a tal fine richiamare quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 9839/2021, con la quale, rivedendo in parte le conclusioni alle quali erano pervenute nella sentenza n. 4806/2005, hanno specificato che, se è pur vero che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, l’annullabilità di tale deliberazione, può essere valutata a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione – mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione ai sensi dell’art. 1137 c.c., comma 2, nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione.
Con specifico riferimento alla patologia delle delibere assembleari, è stato poi precisato che sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a norme imperative, o all’ordine pubblico, o al buon costume; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c.
In particolare, per quanto attiene alle delibere di spesa, si è chiarito che sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie e norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2.
Nella specie, emerge che, a seguito di una sentenza, il condominio era stato ritenuto responsabile dei danni provocati a determinati soggetti che, al fine di conseguire quanto loro riconosciuto in sentenza, avevano provveduto a pignorare le somme depositate sul conto corrente condominiale.
La delibera del 14 aprile 2016, sulla quale si fonda il decreto ingiuntivo opposto, è intervenuta a ripartire, peraltro secondo la quota millesimale di spettanza di ogni singolo condominio (e quindi conformemente al criterio dettato dalla legge) il debito del condominio, onde consentire la liberazione del conto corrente dal vincolo del pignoramento, essendo quindi stata richiesta in via monitoria al De Marco la quota dallo stesso dovuta in base ai millesimi di proprietà.
Alla luce di tale prospettazione dei fatti, quale emergente dalla stessa esposizione del ricorrente, risulta evidente come non ricorra una causa di nullità della delibera assemblare che si è limitata a ripartire un debito gravante sul condominio, senza peraltro alcuna volontà di immutare in maniera permanente i criteri di riparto dettati dalla legge.
Inoltre, anche laddove volesse ravvisarsi una annullabilità della delibera stessa, non avendo il ricorrente fatto valere la sua invalidità in via riconvenzionale, è preclusa la possibilità per il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ogni valutazione in merito alla stessa.
Ne’ infine appaiono configurabili le violazioni di carattere processuale di cui alla rubrica del primo motivo, posto che avendo lo stesso ricorrente invocato la nullità della delibera di riparto delle spese, posta a sostegno del decreto opposto, la sentenza impugnata era chiaramente sollecitata a verificare se i vizi dedotti potessero dar vita ad una nullità della delibera (questa sì suscettibile di rilievo anche da parte del giudice dell’opposizione), non potendosi configurare la violazione dell’art. 112 c.p.c. sol perché le tesi difensive del ricorrente non abbiano trovato accoglimento ad opera del Tribunale.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 113 c.p.c. nonché del D.M. n. 127 del 2004.
Si lamenta che il Tribunale ha liquidato le spese di lite in Euro 2.300,00 oltre IVA e CPA in maniera eccessiva, senza tenere conto dell’attività difensiva svolta dalla difesa del condominio e senza valutare l’entità della somma richiesta in via monitoria.
Il motivo è inammissibile per assoluta genericità.
Questa Corte ha affermato, ancorché in relazione al previgente sistema tariffario che (Cass. n. 30716/2017) la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima.
Orbene, tenuto conto del fatto che (Cass. n. 4782/2020) in tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito, la doglianza in esame si sostanzia nella generica affermazione circa l’eccessiva liquidazione delle spese di lite, senza peraltro puntualmente dettagliare, avuto riguardo al valore della controversia ed alla individuazione delle fasi per le quali è maturato il compenso, se la liquidazione stessa abbia o meno ecceduto i massimi tariffari di cui al D.M. n. 55 del 2014.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avv. Mario Bacci dichiaratosene anticipatario.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U., di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, con attribuzione all’avv. Mario Bacci dichiaratosene anticipatario;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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