LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11032-2019 proposto da:
I.I., P.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, rappresentate e difese dall’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA;
– ricorrenti –
contro
UNIONE DEI COMUNI DELLA VALDASO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo studio dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO CINELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 356/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata l’01/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Presidente Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
che:
La Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da I.I. e P.A., diretta all’accertamento del loro diritto alla conversione degli intercorsi rapporti di lavoro e collaborazione parasubordinata con l’Unione Comuni della Valdaso in un rapporto a tempo indeterminato e al pagamento delle retribuzioni maturate e accoglieva la domanda delle ricorrenti al risarcimento dei danni da illegittima reiterazione di contratti a termine, quantificandolo in sette mensilità della retribuzione globale di fatto L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5;
avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le lavoratrici sulla base di due motivi;
l’Unione Comuni della Valdaso ha resistito con controricorso; la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata alla controparte.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 558, in ordine al supposto potere discrezionale dell’ente pubblico di procedere alla stabilizzazione dei rapporti anche quando illegittimi, rilevando che, trattandosi di rapporti non in linea con le previsioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, poiché non corrispondenti ad esigenze temporanee ed eccezionali rispetto all’ordinaria attività dell’ente, la stabilizzazione doveva ritenersi obbligatoria;
la censura è infondata alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità ed al quale il collegio intende dare continuità, secondo cui “In materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione sono effettuati – in presenza dei requisiti soggettivi previsti – nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno; di conseguenza, in assenza dei presupporti, non è configurabile un diritto soggettivo alla stabilizzazione – escludendosi, pertanto, l’esistenza di qualsivoglia diritto di natura risarcitoria in capo ai suoi potenziali destinatari – né un diritto alla proroga dei contratti a termine in scadenza, ammissibile solo nell’ipotesi di concreta possibilità di definire utilmente la procedura finalizzata alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.” (Cass. n. 23019 del 26/09/2018);
con il secondo motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in ordine ai criteri di quantificazione del c.d. danno comunitario, che risulta sostanzialmente minimizzato con l’applicazione della misura di danno prevista dal L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5;
anche la censura che precede è priva di fondamento, poiché il criterio di quantificazione del danno utilizzato dalla Corte territoriale, parametrato alla fattispecie di portata generale di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è conforme al canone di effettività della tutela giurisdizionale affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13) e ai principi enunciati dalle Sezioni Unite della S.C. nella sentenza n. 5072 del 2016 a proposito della abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, ferma restando la possibilità di provare il maggior pregiudizio sofferto (ex multis Cass. n. 992 del 16/01/2019);
il ricorso, pertanto, va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;
in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021