LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12146-2019 proposto da:
A.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA PINETA SACCHETTI 201, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA FONTANELLA, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 942/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 15/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE A.T. proponeva appello avverso la sentenza del giudice di pace di Roma che aveva parzialmente accolto l’opposizione proposta avverso varie cartelle esattoriali relative a violazioni del C.d.S., dolendosi della compensazione delle spese di lite.
Rilevava che il giudice di primo grado, a fronte della richiesta di invalidare le cartelle esattoriali ed i verbali sottostanti, aveva annullato tutte le cartelle e due verbali impugnati, respingendo la domanda di annullamento dei restanti verbali.
Tuttavia, se effettivamente la domanda proposta nei confronti di Roma Capitale era stata solo parzialmente accolta, l’attrice, nei confronti della concessionaria, era risultata totalmente vittoriosa, palesandosi quindi erronea la compensazione delle spese di lite.
Nella resistenza di Roma Capitale e nella contumacia di Agenzia delle Entrate Riscossione, il Tribunale di Roma con la sentenza n. 942 del 15/1/2019 accoglieva l’appello e per l’effetto condannava Agenzia delle Entrate Riscossione al rimborso in favore dell’appellante delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in Euro 450,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori, nonché di quelle di appello, liquidate in Euro 400,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori, il tutto con distrazione al difensore antistatario.
Invece compensava le spese del grado nei confronti di Roma Capitale.
Infatti, riteneva che all’esito del giudizio di primo grado l’Aldrovandi fosse risultata totalmente vittoriosa nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, essendo state annullate tutte le cartelle esattoriali, non giustificandosi quindi la disposta compensazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.T. sulla base di un motivo, illustrati da memorie.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione non ha svolto difese in questa fase.
Con il motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, come aggiornato dal D.M. n. 37 del 2018, e delle tabelle 1-2 allegate, nonché dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione alla liquidazione delle spese del giudizio di appello.
Si rileva che il Tribunale, pur avendo riconosciuto la soccombenza dell’intimata, ha liquidato per il giudizio di appello la somma di Euro 400,00 per compensi professionali, senza un’analitica distinzione della liquidazione per fasi ed in violazione, oltre che dei valori medi, soprattutto di quelli minimi.
Infatti, il valore della controversia in entrambi i gradi era pari all’importo di cui alle cartelle impugnate, e cioè ad Euro 2.633,86, così che, tenuto conto di tale importo, la liquidazione secondo i valori medi non poteva essere inferiore ad Euro 870,00, mentre quella secondo i valori minimi, non inferiore ad Euro 436,00, pur tenuto conto della massima riduzione consentita.
Il ricorso è inammissibile.
Ed, infatti, ritenuto che ai fini della validità della liquidazione sia consentita una complessiva liquidazione per i compensi dell’intero grado, senza anche che appaia necessaria la specificazione dei compensi per ogni singola fase, la censura della ricorrente risulta a monte inficiata dalla non corretta individuazione del valore della controversia d’appello sulla scorta del quale procedere alla determinazione delle spese di lite dovute ai sensi del richiamato D.M. n. 55 del 2014.
Infatti, ritiene la parte che sia in primo grado che in appello il valore della controversia sa rimasto identico, e che cioè coincida con l’importo delle cartelle esattoriali di cui era stato chiesto l’annullamento.
Tuttavia, omette di considerare che già all’esito del giudizio di prime cure le cartelle erano state oggetto di integrale annullamento, sicché, in assenza di impugnazione incidentale da parte della concessionaria, il gravame verteva unicamente sulla dedotta erroneità della compensazione, aspirando l’ A. a conseguire anche la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado.
Occorre a tal fine richiamare la giurisprudenza di questa Corte che nella sua più autorevole composizione ha affermato che (Cass. S.U. n. 19014/2007) ove il giudizio prosegua in un grado di impugnazione soltanto per la determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e quella ritenuta corretta secondo l’atto di impugnazione costituisce il “disputatum” della controversia nel grado e sulla base di tale criterio, integrato parimenti dal criterio del “decisum” (e cioè del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice), vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite all’attività difensiva svolta nel grado (conf. Cass. n. 27274/2017).
Facendo applicazione di tale principio alla fattispecie, ed essendo stato l’appello proposto al solo fine di conseguire la liquidazione anche delle spese relative al giudizio di primo grado, in quanto erroneamente compensate, il valore della controversia da prendere in esame ai fini della liquidazione delle spese di lite corrisponde all’importo liquidato dal giudice di appello per il giudizio di primo grado, e cioè pari ad Euro 450,00 oltre spese generali in misura percentuale del 15 %, il che rende evidente l’erroneità del richiamo allo scaglione di valore sulla scorta del quale la ricorrente ha invece individuato i valori tabellari violati dal Tribunale.
Deve, infatti, farsi riferimento allo scaglione previsto per le cause di valore fino ad Euro 1.100,00, ed essendo esclusa la possibilità di denunciare la violazione dei parametri medi, posto che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2386/2017) in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (conf. Cass. n. 26608/2017; Cass. n. 29606/2017).
Nella memoria la ricorrete pone il problema della necessità di distinguere tra le varie fasi (in tal senso Cass. n. 6306/2016), ma osserva il Collegio che il principio risulta essere stato affermato quando il sistema di liquidazione dei compensi poneva la distinzione fra diritti ed onorari, e che non possa essere inteso in maniera altrettanto rigorosa, allorché con l’introduzione del criterio dei compensi, la liquidazione avvenga per fasi, essendo invece onere del ricorrente che lamenti l’eccessiva ristrettezza della liquidazione, in violazione dei minimi tariffari, allegare specificamente che la liquidazione abbia violato le prescrizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, avuto riguardo alle fasi per le quali si pretende di avere diritto al compenso.
Il ricorso risulta quindi privo di specificità sul punto, ma in ogni caso, avuto riguardo allo scaglione come sopra individuato, e tenuto conto delle fasi che la stessa ricorrente individua come meritevoli di compenso (fase di studio, introduttiva e decisoria), la liquidazione secondo i valori minimi risulta pari ad Euro 219,00 (Euro 62,00 per la fase di studio, Euro 62,00 per la fase introduttiva ed Euro 95,00 per quella decisoria), risultando quindi infondata la dedotta violazione delle previsioni tabellari, a fronte di una liquidazione operata dal giudice di appello per le spese relative al giudizio svoltosi dinanzi a lui pari ad Euro 400,00. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Nulla a disporre per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021