Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33526 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28932/2020 R.G. proposto da:

U.S.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Goti, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1589/20 depositata il 12 agosto 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 ottobre 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che U.S.A., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 12 agosto 2020, con cui la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza del 5 settembre 2018 del Tribunale di Firenze, che aveva dichiarato inammissibile, in quanto successivo alla scadenza del termine di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, il ricorso proposto dal ricorrente avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con l’unico, complesso, motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante, ai fini della rimessione in termini, l’inerenza della domanda a un diritto fondamentale, senza tener conto della natura dichiarativa della relativa decisione e senza indicare precedenti giurisprudenziali né fonti normative;

che, nel reputare irrilevante anche l’impedimento derivante dallo stato psicologico di confusione indotto in esso ricorrente dalla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale in ordine alla propria omosessualità, la sentenza impugnata ha richiamato un precedente giurisprudenziale non pertinente, in quanto riguardante l’impedimento determinato da una malattia del procuratore della parte;

che il motivo è infondato, sotto entrambi i profili prospettati;

che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per la rimessione in termini, la sentenza impugnata ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accoglimento della relativa richiesta postula la sussistenza in concreto di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell’assolutezza (e non già di una impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà) e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass., Sez. Un., 4/12/2020, n. 27773; Cass., Sez. I, 3/12/2020, n. 27726; 23/11/2018, n. 30512);

che nessun rilievo possono assumere, al predetto fine, il carattere fondamentale del diritto fatto valere in giudizio e la natura dichiarativa della sentenza con cui viene accertato, i quali non escludono la possibilità di sottoporne l’esercizio a regole e limiti procedurali, ivi compresa la fissazione di termini di decadenza per la proposizione della relativa domanda, la cui previsione, costituente espressione della discrezionalità spettante al legislatore in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, trova giustificazione nelle esigenze di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche, particolarmente avvertite in materia di riconoscimento del diritto di asilo e di gestione dei flussi migratori, ed incontra i soli limiti della compatibilità del termine con la funzione del diritto di cui si tratta e del divieto di impedire o rendere eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di difesa (cfr. Corte Cost., sent. n. 271 del 2019; n. 243 del 2014; n. 345 del 1999);

che ininfluenti devono ritenersi, in proposito, l’omessa indicazione degli altri casi in cui, secondo la sentenza impugnata, un diritto soggettivo dev’essere fatto valere entro un certo termine processuale ed il mancato richiamo di precedenti giurisprudenziali conformi, essendo i primi individuabili, a titolo di esempio, nel termine decadenziale previsto dall’art. 244 c.c. per l’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità o, proprio in materia d’immigrazione, dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 18, per la proposizione del ricorso avverso il decreto di espulsione, ed essendo i secondi necessari soltanto nel caso in cui l’obbligo di motivazione sia assolto per relationem, mediante il richiamo a provvedimenti giurisdizionali riguardanti casi analoghi;

che l’attinenza dell’unico precedente giurisprudenziale richiamato a sostegno della ritenuta irrilevanza del disagio psicologico del ricorrente ad una fattispecie diversa da quella sottoposta all’esame della Corte d’appello non esclude la riferibilità a quest’ultima del principio dallo stesso enunciato, e ritenuto applicabile dalla sentenza impugnata, secondo cui l’impedimento che giustifica la rimessione in termini dev’essere rappresentato da fattori esterni, sottratti al dominio della parte in quanto indipendenti dalla sua volontà, e di per sé idonei a rendere oggettivamente ed assolutamente impossibile il compimento dell’atto nel termine previsto dalla legge;

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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