Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33538 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1045/2018 proposto da:

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.A., R.C., R.E., R.F., R.R. nella qualità di eredi di Ri.An.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3143/2016 della COMM. TRIB. REG., CALABRIA, depositata il 22/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 da STALLA GIACOMO MARIA.

RILEVATO

che:

p. 1. L’Agenzia delle Entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 3143/16 del 22.11.2016, con la quale la commissione tributaria regionale della Calabria, investita nel 1985 dall’appello dell’Ufficio, ha dichiarato cessata la materia del contendere per inattività delle parti e definizione della lite per condono, ai sensi della L. n. 413 del 1991. Ciò con riguardo ad un avviso di accertamento Invim con il quale l’agenzia delle entrate aveva rettificato da Lire 6 milioni a Lire 40 milioni (poi rideterminato in Lire 18 milioni dal giudice di primo grado) il valore attribuibile ad un terreno agricolo venduto il 5 novembre 1982 da Ri.An..

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:

con nota del 16 giugno 1993 il R. aveva chiesto la definizione della vertenza ai sensi della L. n. 413 del 1991;

l’agenzia delle entrate, con nota del 12 gennaio 2009, aveva confermato la presentazione dell’istanza, riservando di comunicare l’esito della procedura di definizione;

con nota del 19 febbraio 2010 la stessa Agenzia delle entrate segnalava che gli avvisi di liquidazione delle somme dovute per il condono erano stati comunicati agli eredi del R. (risultato deceduto nel 2006) condizionando la cessata materia del contendere, così come la prosecuzione della lite, all’effettuato (o mancato) pagamento del dovuto per la definizione;

il 12 ottobre 2010 si costituivano in giudizio gli eredi del R. comunicando formalmente il decesso del contribuente;

dopo un rinvio a nuovo ruolo, si giungeva all’udienza del 28 ottobre 2010 nella quale la commissione tributaria regionale, preso atto del decesso del contribuente, dichiarava l’interruzione del processo;

disposta dal presidente della commissione tributaria regionale l’assegnazione dell’appello ad altra sezione, con comunicazione agli eredi, veniva fissata udienza all’8 novembre 2016 allorché veniva constatato “che nessun atto difensivo è pervenuto dalle parti costituite né è pervenuta alcuna comunicazione relativa alla domanda di condono da parte dell’ufficio finanziario vista l’inattività delle parti fin dal 2010 (dopo che l’ufficio aveva comunicato agli eredi del R. gli importi da pagare per il condono), l’eccessiva protrazione del processo (32 anni) ed il perfezionamento del condono con il pagamento del dovuto (come si doveva ritenere), sussistevano i presupposti per la dichiarazione di cessata materia del contendere, nulla provvedendosi sulle spese.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dagli eredi R..

p. 2.1 Con l’unico motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 e della L. n. 413 del 1991, art. 53.

Erroneamente la commissione tributaria regionale aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere nonostante che il condono ex L. cit. non potesse ritenersi perfezionato se non con l’effettivo ed integrale pagamento del dovuto a tale titolo (non verificatosi) e che, per altro verso, tanto gli eredi del contribuente (costituitisi in appello dopo la comunicazione della liquidazione degli importi per condono), quanto la stessa Agenzia delle entrate (che aveva sempre riservato la cessazione della materia del contendere alla definizione della lite) avevano manifestato l’intento di coltivare il giudizio per giungere ad una pronuncia sul merito.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

La decisione della Commissione tributaria regionale è effettivamente errata sotto due profili, ma ciò non toglie che il decisum riguardante l’estinzione del giudizio debba essere preservato perché corretto in diritto.

Sotto un primo profilo, la commissione tributaria regionale ha errato nel ritenere perfezionato il condono sulla base di una semplice presunzione, cioè pur senza che risultasse agli atti l’avvenuto pagamento del dovuto (mai attestato dall’amministrazione finanziaria).

Si è in proposito più volte affermato (Cass. n. 27223/06; così Cass. nn. 25760/14, 14401/10 ed altre) che: “in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti prevista dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, l’irrevocabilità della dichiarazione integrativa, ai sensi della predetta legge, art. 57, va intesa esclusivamente nel senso che essa non è modificabile da parte dell’Ufficio né contestabile da parte del contribuente, e non anche nel senso che essa comporti la novazione del rapporto tributario originario, il quale invece permane, impedendo l’estinzione del relativo giudizio (ove il rapporto sia già “sub iudice”) finché il debito d’imposta non sia saldato: pertanto, qualora il pagamento della somma dovuta in base alla dichiarazione integrativa non sia stato effettuato neppure a seguito dell’iscrizione a ruolo disposta ai sensi della medesima legge, art. 39, comma 4, e comunque prima dell’azione esecutiva, come previsto dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 18, la definizione della pendenza tributaria rimane priva di effetto, e l’Amministrazione può esercitare l’azione di accertamento in riferimento a tutti i periodi che formano oggetto del condono, venendo in tal modo a risorgere il relativo contenzioso, di cui sia stata disposta la sospensione”.

Sotto un secondo profilo, la commissione tributaria regionale ha errato nel dichiarare formalmente l’estinzione del giudizio per “cessata materia del contendere”, nonostante che non vi fosse un’istanza congiunta delle parti in tal senso, e che dalle risultanze di causa non risultasse in alcun modo il venir meno della res litigiosa per l’avvenuto pagamento del tributo ovvero l’annullamento in autotutela dell’avviso Invim dedotto in giudizio.

E’ però vero – ed in questo si manifesta il nucleo decisorio fondamentale – che la commissione tributaria regionale, pur impropriamente richiamando l’istituto della cessazione della materia del contendere e della estinzione del giudizio per definizione della procedura di condono, ha tuttavia anche rilevato la causa di estinzione derivante dalla inattività delle parti.

Questa ragione decisoria deve ritenersi fondata dal momento che come risulta, oltre che dalla sentenza impugnata, anche dallo stesso ricorso per cassazione – il processo era stato formalmente dichiarato interrotto con ordinanza della commissione del 28 ottobre 2010; ciò a seguito della dichiarazione del decesso del R..

Ora, indipendentemente dal fatto che questa dichiarazione di interruzione fosse necessaria, pur in presenza dell’avvenuta spontanea costituzione in giudizio degli eredi del defunto (ed anche di questa circostanza la sentenza dà conto), resta il fatto che successivamente ad essa nessuna attività difensiva venne dalla parte interessata (neppure dall’agenzia delle entrate) posta in essere al fine di riassumere il processo e far così constare la propria volontà di addivenire ad una pronuncia nel merito.

In base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 40, “il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica: a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall’ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza” (…).

Stabilisce poi l’art. 41 che: “la sospensione è disposta e l’interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con ordinanza (…)”.

Infine, in base all’art. 45: “il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.

2. le spese del processo estinto a norma del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate.

3. l’estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata anche d’ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti.

4. l’estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. (…)”.

La circostanza che nessuna delle parti avesse riassunto il processo interrotto nel termine di legge (non avendo nessuna delle parti svolto alcuna attività processuale dal 2010, come osservato dalla Commissione Tributaria Regionale) non è stata in alcun modo contestata nella sua obiettività dalla ricorrente Agenzia delle entrate, risultando così convalidato quanto osservato dalla commissione tributaria regionale circa l’effettiva inattività delle parti e, per questa via, i presupposti della rilevabilità d’ufficio nel grado (art. 45.3 cit.) dell’estinzione.

Ne segue il rigetto del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio degli eredi intimati.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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