Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33554 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30339-2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Oristano, piazza Mazzini n. 11, presso l’avv. STEFANO COCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

averso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata 18/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE.

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. – D.A. è cittadino del Gambia, da cui racconta di essere fuggito per evitare la costrizione, attuata dal suo padrone di casa, di sposare una seconda moglie: trovato rifugio presso il villaggio della prima, ha però anche lì avuto vicissitudini che ne hanno determinato la fuga; prima attraverso diversi paesi, poi in Libia, dove il ricorrente è rimasto un po’ di tempo per poi arrivare Italia.

2. – Il Tribunale ha ritenuto non credibile il suo racconto, sia per l’inverosimiglianza dell’interesse di un estraneo a fargli sposare una donna, che quanto alla circostanza di non essersi trovato bene nel villaggio della moglie. Ha escluso conflitti armati in Gambia, ed ha altresì considerato come insufficiente l’integrazione raggiunta in Italia.

3. – Il ricorso è basato su tre motivi. V’e’ costituzione tardiva del Ministero, che però non ha notificato controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. – Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 241 del 2007, art. 3, nel senso che si contesta al giudice di merito di avere utilizzato fonti di conoscenza della situazione del paese (cosiddette COI) acquisite d’ufficio, senza il previo contraddittorio con la parte, o meglio, senza averle prima sottoposte a quel contraddittorio.

Il motivo è infondato.

Come ritenuto da questa Corte, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio (Cass. 29056/2019). Il ricorrente non allega di avere indicato sue proprie COI, di cui il giudice non ha tenuto conto o che ha d’ufficio, senza contraddittorio disatteso, ma si duole della semplice acquisizione d’ufficio di quelle utilizzate per la decisione, così che la censura non può trovare accoglimento.

5. – Il secondo motivo censura violazione della L. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14.

Il ricorrente lamenta la circostanza che non è stata data alcuna considerazione al periodo da lui trascorso in Libia, che, anzi, avrebbe dovuto essere tenuto in conto come il vero paese di provenienza.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, il ricorrente non dimostra di avere posto la Questione al Tribunale, non riporta la parte dell’atto in cui l’avrebbe svolta, né indica il punto in cui l’ha prospettata; per cui non si può stabilire se il silenzio della decisione impugnata sia omissione oppure no.

Va peraltro ricordato che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani (Cass. 28781/ 2020).

6. – Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 286 del 1998, art. 5, ritenendo errato il giudizio del Tribunale sulla richiesta, rigettata, di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In sostanza, il ricorrente allega la circostanza che egli è in procinto, da un lato, di avere un contratto a tempo indeterminato; per altro verso che il rientro in patria lo renderebbe vulnerabile a causa della situazione socioeconomica esistente.

Il motivo è infondato.

Il giudice di merito deve valutare il livello di integrazione in Italia onde verificare se lo straniero gode di diritti che perderebbe in caso di rimpatrio. A tal fine rileva l’integrazione lavorativa e sociale, rileva la situazione del paese di origine.

Tribunale ha compiuto correttamente questo accertamento, tenendo conto del fatto che il ricorrente, pur comprendendo l’italiano, non ha però un lavoro stabile né una casa, in quanto vive nel centro di accoglienza; ed ha stimato che, considerata la situazione del Gambia, non vi sono ragioni ostative al rimpatrio; che del resto il ricorrente non contesta, limitandosi a far presente che a breve avrà un lavoro stabile, circostanza tuttavia, irrilevante al momento della decisione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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