LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21414-2015 proposto da:
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI FROSINONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO GIANNUZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO MARZI;
– ricorrente –
contro
N.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIANA 25, presso lo studio dell’avvocato MARIAFEDERICA DI LIBERO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARIANNA SCIONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2076/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/03/2015 R.G.N. 2869/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. BELLE’ ROBERTO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO;
visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha accolto la domanda con cui N.D. aveva chiesto accertarsi la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro intercorsi con la A.S.L. di Frosinone, condannando quest’ultima al risarcimento del danno per abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, in misura di 20 mensilità complessive, di cui 15 da imputare al posto di lavoro stabile non ottenuto e 5 a titolo di ristoro per l’abusiva reiterazione di contratti a termine.
2. La A.S.L. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della lavoratrice.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. con mod. in L. 176/2020, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è dedotta omessa o insufficiente motivazione, sul danno, di cui si assume la ricorrente avrebbe dovuto allegare e provare la effettività e la consistenza.
Il secondo motivo, premesso il rilievo in ordine all’apparente discrasia tra motivazione (ove si ritenevano congrue 5 mensilità a titolo risarcitorio) e dispositivo (ove sono state attribuite 20 mensilità), censura poi la violazione ed errata valutazione di norme di diritto, con riferimento alle modalità di liquidazione applicate.
2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.
2.1 Non è vero che la sentenza impugnata presenti una difformità tra dispositivo e motivazione, in quanto il dispositivo riporta il numero totale di mensilità riconosciute (20) e la motivazione spiega che esse sono state riconosciute per il mancato ottenimento del posto di lavoro (15, mutuate dalla misura del diritto di opzione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5) e per il danno da abusivo ricorso alla contrattazione a termine (5 mensilità).
2.2 Ciò posto, si rileva che le questioni agitate in causa sono state entrambe definite dalle S.U. di questa S.C., alla cui pronuncia si fa rinvio.
In particolare, le S.U. hanno ritenuto che “in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A.”.
Quanto al danno, le S.U. hanno altresì precisato che “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Cass. SU n. 5072/2016).
3. Ne deriva il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo.
Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere definita riconoscendo il solo danno da c.d., precarizzazione, nella medesima misura già stabilita a tale titolo dalla Corte territoriale in 5 mensilità di retribuzione, calcolate ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28, comma 2, che ha ora sostituito l’art. 32, comma 5, cit., il tutto in ragione delle medesime ragioni valorizzate dalla Corte territoriale (numero – soltanto due con una proroga – dei contratti; durata complessiva di essi e dei periodi non lavorati) oltre al pagamento della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria dalla data della decisione di appello (Cass. 29 settembre 2020, n. 20684); non è invece dovuto, in forza dei richiamati principi, il danno per mancato ottenimento del posto di lavoro presso la controparte pubblica.
4. Stante l’accoglimento in misura assolutamente parziale dell’originaria pretesa, la quale comprendeva anche la c.d. conversione a tempo indeterminato, rigettata fin dal primo grado, le spese dell’intero processo vanno compensate integralmente tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Azienda Usl al pagamento in favore della N. di cinque mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre al pagamento della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria dalla data della decisione di appello. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021