Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33617 del 11/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14921/2020 proposto da:

T.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Angela Chimento, giusta procura in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

e S.S.M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Rosaria Cavallaro, giusta procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di CATANIA, n. 3239/2019, pubblicato il 12 novembre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 settembre 2021 dal Consigliere Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 12 novembre 2019, la Corte d’appello di Catania ha accolto il reclamo proposto da S.M.G., avverso l’ordinanza n. 3138/2017 del 2 marzo 2017 del Tribunale di *****, disponendo l’affidamento in via esclusiva della figlia minore T.B.A., nata a *****, alla madre e che gli incontri padre-figlia avvenissero presso lo spazio neutro ***** per un pomeriggio alla settimana.

2. La Corte d’appello di ***** ha ritenuto fondati il secondo e il terzo motivo di gravame formulati dalla S., relativi ai gravi comportamenti pregiudizievoli posti in essere dal padre nei confronti della figlia e alla sua inadempienza rispetto all’obbligo di mantenimento della minore e ha ritenuto la sussistenza di una oggettiva situazione di grave rischio per la salute psico-fisica della minore e ciò a prescindere dall’esito del procedimento penale in corso sui presunti abusi sessuali commessi dal padre nei confronti della figlia e di realizzazione di materiale pedopornografico con la stessa (in relazione al quale il T. era stato rinviato a giudizio dal G.I.P. con udienza dibattimentale fissata al 6 aprile 2020); che il padre aveva tenuto comportamenti del tutto impropri e pericolosi per un sano sviluppo della minore, che sfociavano nella sfera della sessualità deviata ed erano dannosi per un sano sviluppo psicofisico della minore e non erano riconducibili allo stile di vita senza tabù rivendicato dal T. o nelle scelte educative non convenzionali adottate dalla coppia genitoriale nel periodo di convivenza; che non era condivisibile la consulenza tecnica d’ufficio collegiale per le gravi inesattezze ivi contenute e le gravi omissioni valutative che la caratterizzavano e che era del tutto superfluo disporre un ulteriore richiamo dei consulenti d’ufficio ed ulteriori acquisizioni documentali, tenuto conto che la causa era compiutamente istruita alla luce degli elementi acquisiti in atti.

3. T.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

4. S.S.M.G. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso in esame è certamente ammissibile, avendo la giurisprudenza di legittimità ripetutamente chiarito che il decreto della Corte di appello contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché già nel vigore della L. n. 54 del 2006 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 154 del 2013 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato (Cass., 26 marzo 2015, n. 6132; Cassazione civile, 16 settembre 2015, n. 18194; Cass., 8 aprile 2016, n. 6919; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3192; Cass., 11 maggio 2018, n. 11554).

2. Con il primo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, avendo la Corte territoriale disposto l’affidamento esclusivo della minore in assenza di gravi e concreti pregiudizi per l’interesse della minore e dando rilevanza quasi esclusivamente alle eventuali, incerte e future valutazioni afferenti al giudizio penale; la Corte aveva violato il principio di bigenitorialità, negando il diritto di visita del padre a fronte di circostanze non provate e mediante valutazioni non supportate dalle evidenze scientifiche, anzi smentite puntualmente dai periti nominati nei vari giudizi, estrapolando frammenti della perizia disposta in sede penale e in assenza di qualsivoglia prova in ordine a presunti abusi sessuali del padre sulla minore, come invece era stato correttamente rilevato dal giudice di primo grado.

3. Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla mancata valutazione della consulenza tecnica collegiale del 4 aprile 2018, disposta dalla Corte d’appello, che aveva evidenziato una relazione della minore molto stretta con la madre, l’assenza di psicopatologie che potessero pregiudicare la capacità genitoriale di entrambi i genitori e l’esistenza di uno scambio interattivo con il padre, senza conflittualità e contrassegnato da vicinanza e complicità.

4. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’affidamento esclusivo e l’omesso esame di elementi istruttori; si censura un giudizio fondato su una costruzione logico-giuridica non compatibile con le risultanze istruttorie; non vi era, infatti, alcuna prova di abusi e la Corte non aveva tenuto conto dell’alienazione parentale messa in atto dalla genitrice, che aveva anche ostacolato in tutti i modi possibili gli incontri della figlia con il padre, come era emerso anche dalla consulenza tecnica d’ufficio, che aveva parlato di un preconcetto materno e di una relazione padre-figlia caratterizzata da sentimenti di rabbia, delusione e risentimento.

5. Con il quarto motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla mancata valutazione delle controdeduzioni alla consulenza tecnica d’ufficio collegiale, redatta dal collegio peritale in data *****, che avevano disvelato un evidente condizionamento materno rispetto ai ricordi e dalle dichiarazioni della piccola B. e alla richiesta di convocazione a chiarimenti del collegio nominato disattesa senza una motivazione adeguata in violazione del principio della libera valutazione delle prove sancito dall’art. 116 c.p.c.; la Corte di merito aveva omesso di considerare anche gli elaborati peritali del primo e del secondo grado di giudizio, ivi comprese le note a chiarimento delle osservazioni di parte, al pari di fatti storici, foto e documenti.

6. I motivi che vanno trattati unitariamente perché strettamente connessi, sono inammissibili.

6.1. Come affermato da questa Corte “In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell’art. 366 bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo, e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale)” (Cass., 29 luglio 2011, n. 16655; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29883).

6.2 Nel caso in esame, nell’esposizione dei motivi, non si ravvisa alcun riferimento a fatti controversi, nella accezione indicata, ma è sollecitata una statuizione, peraltro di merito e come tale insindacabile in questa sede, sulla domanda di affidamento della figlia minore formulata dal ricorrente, sulla quale tuttavia la Corte territoriale si è pronunciata con sufficiente chiarezza e specificità, pervenendo alla sua conclusione secondo un percorso logico e giuridico immune dai vizi.

6.3 Ciò nel rispetto dei principi dettati da questa Corte in tema di affidamento di figli minori e di tutela della bigenitorialità.

6.4 In proposito, mette conto rilevare che nel quadro della nuova disciplina relativa ai “provvedimenti riguardo ai figli” dei coniugi separati, di cui ai citati artt. 155 e 155 bis c.p.c., come modificati dalla L. n. 54 del 2006, improntata alla tutela del diritto del minore (già consacrato nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con la L. n. 176/1991) alla cd. “bigenitorialità”, ovvero al diritto, dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione, l’affidamento “condiviso”, che comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, si pone non più come evenienza residuale, bensì come regola; rispetto alla quale costituisce, invece, ora accezione la soluzione dell’affidamento esclusivo: alla regola dell’affidamento condiviso può, dunque, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore” (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777).

Occorre, dunque, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (Cass., 18 giugno 2008, n. 16593).

6.5 Con la duplice conseguenza che:

non avendo il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con provvedimento motivato, con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo;

l’esclusione della modalità dell’affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento.

6.6 Ancora va evidenziato che il giudice, nel rispetto del criterio rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve privilegiare il genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore e l’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore (Cass., 27 giugno 2006, n. 14840).

6.7 Va da sé che la questione dell’affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, come già detto, deve avere come parametro di riferimento l’interesse del minore, ed esprime un apprezzamento di fatto, che se sufficientemente motivato, non è suscettibile di censura in sede di legittimità (Cass., 27 giugno 2006, n. 14840, citata; Cass., 4 novembre 2019, n. 28244).

6.8 Ciò posto, la decisione in esame risulta conforme ai principi enunciati da questa Corte, poiché nel caso in esame, dalla motivazione della decisione gravata si evincono agevolmente le ragioni che hanno indotto i giudici di merito a statuire l’affido esclusivo alla madre della figlia minore e, soprattutto, dalla stessa è agevole riscontrare l’effettiva ponderazione e valutazione, ad opera della Corte territoriale, del comportamento posto in essere dal padre, indicativo della sua “oggettiva inidoneità” educativa, in relazione alla tutela dell’interesse primario della figlia minore.

6.9 La Corte territoriale, innanzi tutto, ha, nel rispetto dei principi sopra esposti, con motivazione condivisibile, affermato che la decisione doveva fondarsi sulla prevalente necessità di tutela della salute psicofisica della minore e, quindi, in vista del perseguimento dell’interesse superiore della minore, e di prescindere, nel rispetto della presunzione d’innocenza del padre imputato di abusi sessuali, dall’esito del procedimento penale in corso nei confronti del T., in ragione del fatto che le regole del giudizio penale si pongono su un piano del tutto diverso rispetto alla valutazione demandata al giudice in tema di affidamento del figlio minore.

I giudici di secondo grado, in particolare, con valutazione autonoma, hanno considerato alcune circostanze, specificamente indicate alle pagine 10 e 11 del decreto impugnato (dichiarazioni di M.E. baby sitter di B., di Ma.Lu., madre di un compagno di B. e della Dott.ssa I., assistente sociale del Comune di *****; perizia del giudice penale; risultanze dell’incidente probatorio espletata dal G.I.P.; la consulenza informativa espletata in sede penale; le dichiarazioni rese dallo stesso T. allo psicologo Dott. P., alla M. e alla Dott. I.; le dichiarazioni rese dal T. all’udienza del 29 giugno 2016 svoltasi innanzi al Tribunale per i minorenni di *****; la relazione del perito informatico della S.; l’inadempimento all’obbligo di mantenimento della minore), indicative di comportamenti, definiti impropri e pericolosi per un sano sviluppo della minore, che travalicavano la dimensione della mera complicità e corporeità tra genitori e figli e sfociavano nella sfera della sessualità deviata, mettendo in evidenza, peraltro che il T. non aveva mai compreso la dannosità di tali comportamenti per un sano sviluppo psicofisico della figlia minore, elemento questo ritenuto rilevante ai fini della valutazione della inidoneità della capacità genitoriale del T..

6.10 Il secondo e il quarto motivo sono pure inammissibili perché, senza prescindere dalla genericità delle censure laddove il ricorrente richiama gli elaborati peritali del primo e del secondo grado di giudizio, le note a chiarimento delle osservazioni di parte, fatti storici, foto e documenti, sono fondati sull’omesso esame della consulenza tecnica d’ufficio collegiale del ***** disposta dalla Corte d’appello e delle controdeduzioni sempre redatte dal collegio peritale in data *****, avendo chiarito questa Corte che il fatto storico, principale o secondario di cui si lamenta l’omesso esame va inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e non è assimilabile, quindi, in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152) e che il fatto in questione deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca a una diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608).

Inoltre, il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).

6.11 I motivi, peraltro, sono pure inammissibili perché non si confrontano con il contenuto della sentenza che, lungi dal non esaminare la consulenza tecnica collegiale e le controdeduzioni, ne motiva in modo ampiamente diffuso la non condivisione (cfr. pagg. 13 -17 del decreto impugnato).

I giudici di secondo grado, poi, nell’esercizio della facoltà rimessa alla discrezionalità della Corte, hanno ritenuto superfluo l’ulteriore richiamo dei consulenti tecnici d’ufficio, tenuto conto che la causa era compiutamente istruita, alla luce degli elementi acquisiti in atti, che indirizzavano univocamente nel senso della necessità di disporre l’affidamento esclusivo della minore alla madre, a tutela del superiore interesse della minore e nella doverosa previsione di incontri protetti padre-figlia al fine di non elidere del tutto la relazione.

7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472