LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29130-2019 proposto da:
D.C.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI RUSSO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1979/2019 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata l’11/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO LUCIA.
RILEVATO
CHE:
Il Tribunale di Foggia, adito da D.C.G. in sede di opposizione ad ATP, dichiarava il diritto dello stesso all’assegno ordinario di invalidità, liquidando le spese processuali in favore del ricorrente nella misura di Euro 2.300,00;
avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione D.C.G. sulla base di due motivi;
l’Inps resisteva con controricorso;
la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata alla controparte.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motive, avente carattere assorbente, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, della L. n. 794 del 1942, e D.M. n. 585 del 1994, art. 24, comma 1, nonché della L. 1051 del 1957, art. 4, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, osservando che la misura dei compensi stabilita in sentenza appare assunta senza il rispetto dell’inderogabile limite minimo degli onorari e dei diritti stabiliti dalla tariffa professionale forense in relazione al valore della causa;
la censura è fondata;
si osserva, ai fini della individuazione degli scaglioni applicabili per la liquidazione delle spese di giudizio, che nelle controversie relative a prestazioni previdenziali (quale quella in oggetto), il valore della causa deve essere determinato alla stregua del criterio dettato dall’art. 13 c.p.c., comma 2 per le cause relative a rendite temporanee o vitalizie (e cioè cumulando fino ad un massimo di dieci le annualità domandate), alle quali, ove venga in contestazione l’accertamento del diritto alla corresponsione nella misura richiesta, è assimilabile la prestazione assicurativa (Cass. n. 15656/2012, conf. Cass. n. 10454/2015, Cass. SU n. 10455/2015);
applicando tali principi al caso in esame (si veda, da ultimo Cass. 12460/2020) il valore della causa va individuato tra Euro 26.000,00 ed – 52.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di dieci annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva, vanno individuati in Euro 1.212,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 472,50 per studio della controversia, Euro 375,00 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 364,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4) e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 3.903,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 810,00 per la fase di studio, Euro 573,50,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 769,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 1.750,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4);
con riguardo alla fase istruttoria e/o di trattazione, la riduzione va operata sottraendo il 70% all’importo del parametro medio, dovendo così interpretarsi il disposto del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, che testualmente prevede una riduzione “fino al 70 per cento” dell’importo liquidato per tale fase;
avuto riguardo all’importo dianzi delineato, risulta evidente come la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata decisione sia inferiore a detti minimi, né risulta alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali;
in accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata per quanto di ragione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito liquidando le spese in complessivi Euro 5.115,00 (da cui va detratta la somma già liquidata), oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15%;
le spese del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi distrattario;
in considerazione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di merito in complessivi Euro 5.115,00 (da cui va detratta la somma già liquidata) per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge con distrazione al procuratore antistatario. Condanna l’Inps al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità liquidate in 11900,00 per compensi Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%, con distrazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021