Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33635 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3389-2020 proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE SEZIONE DI PERUGIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 681/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 11/11/2019 R.G.N. 76/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.

RILEVATO

CHE:

Con sentenza depositata l’11.11.19, la Corte d’appello di Perugia confermava il diniego, disposto dal locale Tribunale, delle varie misure di protezione internazionale richieste da H.S., cittadino *****, per dedotte minacce da parte dello zio e dei fulani del luogo.

La sentenza impugnata riteneva non credibile la narrazione del ricorrente; riconduceva gli episodi dedotti a vicende private e riteneva infine irrilevante la riferita integrazione in Italia dell’ H. ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultimo, affidato a quattro motivi, cui resiste il Ministero dell’Interno con controricorso unicamente diretto alla eventuale discussione orale della controversia.

CONSIDERATO

CHE:

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione delle norme in materia di protezione sussidiaria in relazione alle attuali condizioni socio-economiche del Paese di origine, proponendo una serie di considerazioni generali su di esse (alcune peraltro piuttosto datate). Con il secondo motivo il ricorrente denuncia un vizio di motivazione con travisamento dei fatti, lamentando peraltro l’omessa indagine in merito alle condizioni socio-economiche del Paese di origine.

Con terzo motivo lamenta l’ingiusto diniego della protezione umanitaria di cui ribadisce i principi generali, dolendosi della mancata attivazione della cd. cooperazione istruttoria sul punto.

2.- I motivi, che possono congiuntamente trattarsi, sono sostanzialmente inammissibili.

Ed invero il ricorrente non adempie al fondamentale (sovrattutto nei procedimenti de quibus, v. infra) onere di allegazione, nulla specificamente deducendo sulla situazione sua personale anche con riferimento al Paese di origine.

Al riguardo, questa Corte ha affermato, anche in subiecta materia, i seguenti principi, ormai consolidati, secondo cui: “Il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione.” (Cass. SU n. 11308/2014, Cass. ord. n. 10479/21, Cass. ord. n. 10429/21).

Il ricorso non rispetta, in sostanza, il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che idonea a garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. ord. n. 9453/21).

Quanto alla cooperazione istruttoria deve rilevarsi che essa è doverosa (solo) allorquando il ricorrente abbia adempiuto al suo fondamentale onere di allegazione (Cass. n. 24010/20, Cass. ord. n. 17185/20), e cioè allorquando abbia esposto in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza (Cass. ord. n. 17185/20).

3.-Col quarto motivo il ricorrente si duole della condanna alle spese di lite. Il motivo è tuttavia infondato posto che, essendo stata correttamente rigettata la domanda, la condanna non viola minimamente il principio della soccombenza.

4.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Non essendovi stata alcuna attività difensiva da parte del Ministero, non vi è luogo per provvedere sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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