LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22502-2019 proposto da:
W.H., rappresentata e difesa dall’avvocato Roberto Maiorana, del foro di Roma e domiciliata in Roma, viale Angelico n. 38 presso lo studio del difensore ovvero all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3134/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, che rigettava la domanda della ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, W.H. interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Roma con ordinanza del 07.04/04.05.2017;
– in virtù di appello proposto dalla medesima W.H., la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3134/2019, rigettava l’impugnazione;
– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, esprimendo una valutazione di scarsa credibilità della vicenda narrata dalla richiedente per avere rilasciato dichiarazioni contraddittorie in ordine alle ragioni dell’espatrio (in qualità di appartenente alla chiesa domestica sarebbe fuggita per il timore di essere arrestata e perseguitata dalle autorità che avevano fatto irruzione durante la preghiera portando via alcuni fedeli dopo averla tuttavia identificata mediante le telecamere), circostanze prive di dettagli ovvero di precisazione su eventuali persecuzioni subite, non meglio precisato la fede professata. Aggiungeva che il timore manifestato di essere perseguitata a causa della propria fede, non meglio precisata, non trovava riscontro nei fatti, in quanto sebbene fosse sfuggita per ben due volte alla cattura, aveva ottenuto il rilascio dei documenti per l’espatrio senza problemi. Ne’ vi era prova dell’attività di proselitismo svolta in *****. Non venivano ritenute rilevanti le pronunce prodotte favorevoli al riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto relative a situazioni documentate di pregressa detenzione carceraria per motivi religiosi. Ne’ in ***** sussistevano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c). Infine le specifiche vicende allegate non integravano un’ipotesi di vulnerabilità individuale;
– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione la W.H. affidato a cinque motivi;
– il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Atteso che:
– con il primo motivo la ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la nullità della sentenza di appello per omessa motivazione sulla protezione umanitaria richiesta sussistendo ipotesi di motivazione solo apparente.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare la condizione di persecuzione religiosa esistente in *****, nonché l’omessa consultazione delle fonti normative con omessa applicazione dell’art. 10 Cost. e motivazione apparente.
Con il terzo mezzo viene dedotta la mancata concessione della protezione sussidiaria cui la ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine, da collegarsi all’omesso esame delle fonti informative.
Con il quarto motivo viene lamentata l’assoluta assenza di istruttoria in merito alle condizioni del paese di origine della ricorrente per quanto concerne la situazione di persecuzione religiosa e per quanto attiene la sua situazione personale.
Con il quinto ed ultimo motivo è denunciato l’omesso esame delle circostanze rilevanti la protezione umanitaria, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario.
Tanto premesso, va preliminarmente esaminata l’ammissibilità del ricorso.
La Corte deve, in limine, osservare come il proposto ricorso non rispetti la disposizione ex art. 366 c.p.c., n. 3, posto che nello stesso non risulta osservato in modo adeguato il requisito della prescritta sommarla esposizione del fatti di causa (v. Cass., Sez. Un., n. 22575 del 2019; Cass. n. 1075 del 2005).
Secondo l’insegnamento di questa Corte, che questo Collegio condivide e intende qui ribadire (Cass. n. 21452 del 2020), nel ricorso per cassazione è essenziale la sussistenza del requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. n. 10072 del 2018; conf. Cass., Sez. Un., n. 11308 del 2014; ex plurimis Cass. n. 21452 del 2020; Cass. n. 4029 del 2020).
Nella fattispecie in esame, la ricorrente non ha ritenuto di far precedere ai motivi di ricorso tale parte espositiva, pur necessaria, che risulta carente anche nella incerta formulazione dei motivi stessi; circostanza, questa, che non ne consente la completa e necessaria comprensione e la verifica della loro ammissibilità.
Difatti nel ricorso ci si è limitati ad esporre che è nata e cresciuta in ***** e di essere costretta a fuggire dal proprio Paese a causa della persecuzione di matrice religiosa subita, senza ricostruire la vicenda processuale sia rispetto al primo grado di giudizio sia nel successivo sviluppo (vale a dire le ragioni dell’appello proposto e gli argomenti offerti dalla Corte d’appello a tal proposito).
Sebbene il requisito della esposizione sommaria dei fatti può ritenersi soddisfatto laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., n. 11653 del 2006; Cass. n. 17036 del 2018), siffatta circostanza che però non ricorre nella specie.
L’esposizione sommaria dei fatti, infatti, rispondendo non già ad una esigenza di mero formalismo, bensì alla finalità di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., n. 22860 del 2014; Cass., Sez. Un., n. 1772 del 2013), è requisito volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, allorquando il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto della impugnazione (Cass. n. 16103 del 2016), senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. n. 21137 del 2013).
In altri termini, l’esigenza sottesa alla esposizione sommaria è appunto quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, che non si concilia con il contenuto del tutto frammentario e disordinato dell’odierno ricorso, con cui risultano essere state trattate le situazioni prese in considerazione.
Infatti la ricorrente nulla riporta nella esposizione dei fatti di causa quanto alle doglianze formulate nell’atto di appello, riferendo di avere proposto “una serie di ragioni dirette a far conoscere la grave condizione di repressione sussistente in ***** per gli appartenenti alle chiese domestiche e la conseguente condizione di insicurezza e soprattutto di rischio cui sarebbe sposta…in caso di ritorno in patria”, senza però dare un reale contenuto alla sua vicenda, anche al fine di ritenerla veritiera, oltre ad un generico pericolo di danno grave alla persona in caso di rimpatrio, questioni sulle quali peraltro vengono ad innestarsi le ragioni giuridiche svolte con le cinque censure, che oltre a non essere enucleabili nella esposizione sommaria, nemmeno è dato ritrovare, in modo chiaro, esposte nel corpo delle ragioni di censura portate al provvedimento impugnato.
Il rilevato difetto risulta positivamente sanzionato con l’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., declaratoria che dunque questa Corte deve adottare nella specie.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre a spese prenotate e prenotande a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021