LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24898-2019 proposto da:
O.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Lanzilao, del foro di Roma domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38 presso lo studio del difensore ovvero all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4345/2019 della Corte di appello di ROMA, depositata il 27/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, che rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, O.A. interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Roma con ordinanza del 14.04.2017;
– in virtù di appello proposto dal medesimo O.A., la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4345/2019, rigettava il gravame;
– la decisione di secondo grado evidenziava innanzitutto la infondatezza dei vari profili di invalidità del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione territoriale e del provvedimento conseguitone. Nel merito riteneva l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, esprimendo una valutazione nel senso che la vicenda narrata dal richiedente oltre a non essere attendibile, non rientrava nella fattispecie di cui AL D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8, ossia la persecuzione riconducibile a motivi di razza, di religione o di appartenenza a un gruppo sociale o per motivi politici, per avere il richiedente lasciato il paese di origine, la *****, *****, per motivi di lite tra due individui legata a questioni esclusivamente economiche, in quanto aveva causato un incidente, per sua colpa, nel quale aveva distrutto una moto appartenente ad altra persona, fatto avvenuto nel *****, fuggito il richiedente dal suo paese solo nel marzo 2013. Ne’ il ricorrente ha fornito la pur minima indicazione del danneggiato che a suo avviso sarebbe stata una persona pericolosa, che si avvaleva dei sicari di una setta. Aggiungeva che il timore manifestato di essere perseguitato a causa dell’incidente stradale causato era da ritenersi meramente soggettivo, non ravvisandosi la minaccia grave alla vita o alla persona in capo al medesimo; le informazioni provenienti dall’UNHCR escludevano un clima generalizzato di violenza nella zona *****. Infine le specifiche vicende allegate non integravano un’ipotesi di vulnerabilità individuale, né era stato prodotto alcun documento attestante uno stato uno stato di particolare vulnerabilità fisica e psicologica sì da rendere difficile il reinserimento nel proprio paese;
– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione l’ A. affidato a quattro motivi;
– il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Atteso che:
– con il primo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la nullità della sentenza per omessa motivazione relativamente alla richiesta concessione della protezione sussidiaria e in via subordinata di quella umanitaria.
La censura è totalmente destituita di fondamento, posto che il giudice di merito ha espresso le ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento di ogni forma di protezione.
Con il secondo motivo viene denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, oltre ad omesso esame delle fonti informative, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost. delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese di origine del ricorrente.
Con il terzo motivo nell’insistere nella violazione di cui al precedente mezzo relativamente alla condizione di pericolosità e alle situazioni di violenza generalizzata esistenti in *****, ad avviso del ricorrente il giudice non avrebbe considerato che si tratta di un Paese estremamente pericoloso, dove da anni si vivrebbe una situazione di forte instabilità politica a causa di conflitti, violenze armate e tensioni interne, come emergerebbe in report diversi.
Con il quarto motivo è denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la errata applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 quanto alla mancata concessione della protezione umanitaria, che – ad avviso del ricorrente – per non avere il giudice di merito in alcun modo preso in considerazione il suo grado di integrazione sociale e le precarie condizioni del suo paese di origine. Tanto premesso, va preliminarmente esaminata l’ammissibilità del ricorso.
Tanto premesso, va preliminarmente esaminata l’ammissibilità del ricorso.
La Corte deve, in limine, osservare come il proposto ricorso non rispetti la disposizione ex art. 366 c.p.c., n. 3, posto che nello stesso non risulta osservato in modo adeguato il requisito della prescritta sommaria esposizione dei fatti di causa (v. Cass., Sez. Un., n. 22575 del 2019; Cass. n. 1075 del 2005).
Secondo l’insegnamento di questa Corte, che questo Collegio condivide e intende qui ribadire (Cass. n. 21452 del 2020), nel ricorso per cassazione è essenziale la sussistenza del requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. n. 10072 del 2018; conf. Cass., Sez. Un., n. 11308 del 2014; ex plurimis Cass. n. 21452 del 2020; Cass. n. 4029 del 2020).
Nella fattispecie in esame, il ricorrente non ha ritenuto di far precedere ai motivi di ricorso tale parte espositiva, pur necessaria, che risulta carente anche nella incerta formulazione dei motivi stessi; circostanza, questa, che non ne consente la completa e necessaria comprensione e la verifica della loro ammissibilità.
Difatti nel ricorso ci si è limitati ad esporre che proviene dalla ***** e questo a suo avviso sarebbe sufficiente a rappresentare la sua situazione personale e contestuale a far riconoscere la grave condizione di insicurezza in cui versa la popolazione ed i rischi derivanti dai conflitti interni, senza ricostruire la vicenda processuale sia rispetto al primo grado di giudizio sia nel successivo sviluppo (vale a dire le ragioni dell’appello proposto e gli argomenti offerti dalla Corte d’appello a tal proposito).
Sebbene il requisito della esposizione sommaria dei fatti può ritenersi soddisfatto laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., n. 11653 del 2006; Cass. n. 17036 del 2018), siffatta circostanza che però non ricorre nella specie.
L’esposizione sommaria dei fatti, infatti, rispondendo non già ad una esigenza di mero formalismo, bensì alla finalità di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., n. 22860 del 2014; Cass., Sez. Un., n. 1772 del 2013), è requisito volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, allorquando il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto della impugnazione (Cass. n. 16103 del 2016), senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. n. 21137 del 2013). In altri termini, l’esigenza sottesa alla esposizione sommaria è appunto quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, che non si concilia con il contenuto del tutto frammentario e disordinato dell’odierno ricorso, con cui risultano essere state trattate le situazioni prese in considerazione.
Infatti il ricorrente nulla riporta nella esposizione dei fatti di causa quanto alle doglianze formulate nell’atto di appello, riferendo di avere proposto “una serie di ragioni dirette in primis a censurare l’errata valutazione delle dichiarazioni rese dall’appellante alla Commissione e poi comunque alla rappresentazione di una situazione personale e contestuale idonea a far riconoscere la grave condizione di insicurezza” per la presenza di gruppi terroristici, senza però dare un reale contenuto alla sua vicenda, anche al fine di ritenerla veritiera, oltre ad un generico pericolo di danno grave alla persona in caso di rimpatrio, questioni sulle quali peraltro vengono ad innestarsi le ragioni giuridiche svolte con le quattro censure, che oltre a non essere enucleabili nella esposizione sommaria, nemmeno è dato ritrovare, in modo chiaro, esposte nel corpo delle ragioni di censura portate al provvedimento impugnato.
Il rilevato difetto risulta positivamente sanzionato con l’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., declaratoria che dunque questa Corte deve adottare nella specie.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre a spese prenotate e prenotande a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021