Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33647 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25539-2019 proposto da:

J.I. rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Almiento, con studio in Oria (BR) Vico Torre S.Susanna 18;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, ope legis domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3044 del Tribunale di Lecce, depositato il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– J.I., cittadino *****, ha impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Lecce che ha respinto il di lui ricorso avverso il diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria così come del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6;

– a sostegno delle domande di protezione egli ha allegato di essere nato a *****, di avere frequentato la scuola per 12 anni e di avere lasciato il ***** per paura di subire pregiudizio per mano di un gruppo di presunti terroristi, già denunciati alla polizia dopo essersi insospettito per il materiale che aveva visto all’interno delle loro borse mentre si trovavano nel suo negozio; a seguito dell’arresto di alcuni di loro, altri erano ritornati ed avevano sparato contro il suo negozio ed ucciso il padre;

– il tribunale osservava che i fatti narrati dal richiedente non integrano la fattispecie per il riconoscimento dello status di rifugiato; statuiva inoltre che neppure ricorrono nella vicenda del richiedente asilo le ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e lett. b); con riguardo alla fattispecie sub art. 14, lett. c cit., le fonti informative consultate escludevano che la zona del distretto di provenienza del richiedente fosse caratterizzata da violenza indiscriminata;

– con riguardo, infine, alla protezione umanitaria, il giudice ha osservato che nessuna attività lavorativa regolare era stata allegata, né le condizioni di salute così come quelle familiari personali integravano profili di vulnerabilità soggettiva rilevanti quali seri motivi di carattere umanitario per escludere il rimpatrio del ricorrente;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di sei motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5 per avere sopravvalutato alcune imprecisioni nel racconto del ricorrente in commissione e per la mancata applicazione del principio del c.d. onere probatorio attenuato;

– la censura è inammissibile perché generica, limitandosi al richiamo di principi di diritto, la cui rilevanza non è contestualizzata attraverso la necessaria specifica indicazione degli eventuali punti di criticità rilevati nel giudizio di credibilità svolto dal giudice del merito;

-il ricorrente infatti accenna a “talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione” (cfr. pag. 6 del ricorso) ma non specifica ulteriormente sicché appare impossibile apprezzarne la rilevanza;

– con il secondo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 ed D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 per omesso esame del ricorrente;

– la censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. poiché a fondamento del vizio asseritamente consistente nell’omessa audizione del richiedente asilo, si deduce la sentenza n. 17717/2018 che concerne il diverso obbligo di fissazione dell’udienza, obbligo pacificamente ottemperato nel caso di specie, mentre, come affermato dal tribunale in ossequio al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 10 e 11, e chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass. 21584/2020; id. 22049/2020; id. 26124/2020);

– il motivo non si confronta con i suddetti principi puntualmente applicati dal giudice del merito ed e’, pertanto, destinato alla declaratoria di inammissibilità;

– con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto o del procedimento per violazione del potere-dovere ufficioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 ed alla direttiva 2004/83/CE, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– la censura è inammissibile poiché contesta genericamente la violazione del dovere di cooperazione ufficiosa che, invece, il Tribunale di Lecce ha puntualmente osservato, acquisendo numerosi report, documentando in termini aggiornati, grazie al report di Human Rights Watch del 2019, la situazione sociopolitica della zona del distretto di ***** dalla quale proviene il richiedente; a fronte di ciò nessun report o Coi è stata allegata dal ricorrente al fine di giustificare nel merito una conclusione diversa da quella censurata (cfr. Cass. 22769/2020);

– con il quarto motivo (erroneamente numerato come quinto) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 14, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine;

– il motivo è inammissibile perché il tribunale ha valutato la sussistenza dei presupposti di cui alle ipotesi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e lett. b), escludendo di ravvisare nella vicenda narrata il fondato rischio di essere esposto a condanna a morte o all’esecuzione nonché a tortura o altra forma di pena trattamento inumano o degradante; ha inoltre evidenziato il tribunale come il pericolo percepito dal ricorrente non risulti attuale per essere i fatti narrati accaduti 8 anni fa senza che alcun elemento sia stato allegato a sostegno della permanenza paventato pregiudizio;

– con riguardo poi alla ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il tribunale ha, come già osservato in relazione al terzo motivo, dettagliatamente documentato la situazione socio-politica confrontando quella del distretto di provenienza del richiedente con quella di altri distretti e ha concluso con un apprezzamento di fatto, insindacabile nei termini formulati dal ricorrente, per l’insussistenza di un conflitto armato in corso nell’area di ***** di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona (cfr. pag. 8 e 9 del decreto);

-con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e art. 19 anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale errato nel non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi posta correre gravi rischi;

– con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo) si denuncia la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

-il quinto e sesto motivo riguardano il mancato riconoscimento della protezione umanitaria e possono essere esaminati congiuntamente;

– le censura sono entrambe inammissibili;

-il tribunale ha escluso, dal punto di vista oggettivo, la ravvisabilità dei seri motivi umanitari per il rilascio del permesso di soggiorno, in ragione della generica allegazione della violazione dei diritti fondamentali nel paese di origine;

– con riguardo alla condizione soggettiva del richiedente, il tribunale ha, poi, evidenziato la mancanza di prova in ordine alla attività lavorativa regolare, da cui desumere un’adeguata integrazione sul territorio dello Stato, così come l’inesistenza di patologie che pregiudichino la salute psicofisica, né l’esistenza di situazioni familiari personali che possano integrare profili di vulnerabilità soggettiva;

– tali specifiche considerazioni investono sia il profilo oggettivo che quello soggettivo dei possibili “seri motivi umanitari ” rilevanti ai fini del riconoscimento del relativo permesso di soggiorno;

– esse non sono fatte oggetto di specifica critica poiché il ricorrente si limita a censurare la mancata considerazione della condizione di precarierà sul piano lavorativo connessa alla breve durata del titolo di soggiorno semestrale (cfr. pag. 16 del ricorso), senza indicare altri elmenti eventualmente allegati ai fini della valutazione della personale vulnerabilità, con la conseguenza che la censura sul punto non inficia la valutazione complessiva operata dal tribunale per motivare il diniego;

– l’inammissibilità di tutti i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;

– in applicazione del principio della soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura di Euro 2100,00 per compensi oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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