LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 26022-2020 r.g. proposto da:
E.A., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Esposito, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Napoli, Via Toledo n. 106;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 19.7.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/9/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da E.A., cittadino della *****, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in *****, nel villaggio di *****, nei pressi di *****, di essere di etnia ***** e di professare la religione *****; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché minacciato dalla setta degli *****, di cui un componente era rimasto ucciso in seguito ad una colluttazione con lui ricorrente.
Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perché comunque non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata tutela protettiva, anche in ragione della mancata richiesta di protezione alla polizia, circostanza quest’ultima che non consentiva l’applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla *****, *****, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano né una condizione di soggettiva vulnerabilità, non rilevando a tal fine neanche l’allegato stato di salute (presentando il richiedente solo uno stato di malessere psicologico).
2. Il decreto, pubblicato il 19.7.2020, è stato impugnato da E.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 11, in relazione alla sua mancata audizione in giudizio.
1.1 Il motivo e’, In parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.
1.1.1 Sotto il primo profilo ed in relazione alla questione dell’audizione del richiedente, giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento alla mancata audizione del richiedente in sede giurisdizionale in caso di procedimento D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).
1.1.2 Ciò posto, la doglianza articolata dal ricorrente sul punto qui in discussione risulta, in primis, infondata perché – secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata (e qui confermata), non esiste un obbligo del giudice ad audire il richiedente – e, in secondo luogo, inammissibile perché le censure articolate dal ricorrente si presentano comunque formulate in modo del tutto generico e dunque irricevibile, non avendo il richiedente spiegato e specificato, nel presente ricorso per cassazione, i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione avanzata innanzi ai giudici del merito e non avendo neanche dedotto la rilevanza ed utilità del predetto mezzo istruttorio.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c, e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1 Il motivo – per come articolato – è inammissibile.
Nonostante il solo richiamo normativo al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c, il ricorrente si duole, nel merito della censura, anche del mancato approfondimento istruttorio della situazione di sicurezza in ***** in relazione al fenomeno dei cult e della loro pericolosità (e dunque in relazione – più correttamente – al diverso parametro normativo di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), senza tuttavia censurare la ratio decidendi principale posta a sostegno del diniego della relativa tutela, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto, con ciò condannando le censure così proposte alla irricevibilità in questo giudizio di cassazione.
2.1 Per quanto concerne il diniego della protezione sussidiaria, richiesta sotto la diversa egida applicativa del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c, – la cui violazione è denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” – giova ricordare che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 61, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).
Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della *****, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato, anche tramite la consultazione di qualificate fonti informative internazionali, che negli Stati del sud della ***** non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, per non aver valutato l’esistenza di gravi motivi individuali di vulnerabilità in relazione alla richiesta protezione umanitaria.
3.1 Il motivo – per come articolato – è inammissibile.
Lo stesso si compone invero solo di generici riferimenti ai principi normativi e giurisprudenziali regolanti l’invocato istituto protettivo, senza censurare le rationes decidendi sopra ricordate e con una richiesta di rivalutazione del merito della decisione che è invece inibita alla corte di legittimità.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021