Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33660 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CHIARA Giammarco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15702/2020 proposto da:

J.E., elettivamente domiciliato in Rende (Cs) presso lo studio dell’avvocato Angelo Nicotera, che lo rappresenta e difende e domiciliato a Roma presso l’avvocato MARIA ANTONIETTA TORTORA;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il 3.1.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2021 dal Consigliere relatore, Dott. Chiara Giammarco.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catanzaro, con decreto n. 456 del 2020, ha rigettato il ricorso proposto da J.E., cittadino della *****, avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale ed umanitaria emesso dalla competente Commissione Territoriale di Crotone, depositato il 3.1.2020.

2. Il cittadino straniero ha chiesto, in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ed, in via gradata, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, anche ai sensi dell’art. 10 Cost., comma 3.

3. Nel corso dell’audizione avanti alla Commissione territoriale ha dichiarato di essere entrato in Italia nell’ottobre 2016, proveniente dallo ***** in *****, poiché dopo la morte dei genitori, suo zio e la moglie si erano trasferiti a casa sua ed avevano preso a maltrattarlo, facendogli fare lavori pesanti, dandogli poco cibo e percuotendolo spesso, tanto che la zia gli aveva procurato dei danni ad un occhio colpendolo con un bastone. Così, insieme ad un vicino, che gli aveva anche pagato il viaggio, era fuggito di casa e si era ritrovato in Libia.

4. Nel merito, il Tribunale, che non ha proceduto all’audizione dell’interessato, ha escluso la coerenza e la plausibilità intrinseca ed estrinseca del racconto posto a fondamento della domanda, dal momento che non solo il richiedente asilo aveva narrato fatti di per sé inidonei a sostanziare i presupposti delle protezioni richieste, ma era caduto in molteplici contraddizioni nell’ambito di un racconto scarno ed approssimativo, in base al quale appariva irragionevole che potesse attualmente o avesse mai potuto nutrire alcun effettivo timore di essere ucciso in caso di rimpatrio. Ha rilevato poi, come la mancata richiesta di protezione alle autorità del suo paese per le violenze subite impedisse di poter ritenere che i fatti narrati potessero essere considerati episodi di persecuzione da parte di “agenti privati”.

5.Dalla non credibilità del racconto il tribunale ha inferito anche la mancanza dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e b). Quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ha affermato come dalle Coi consultate e dal rapporto EASO del 2018 risultasse che il livello di violenza armata nell’area del ***** era rimasto basso e, comunque, limitato alla questione del petrolio ed ai gruppi di pressione armati che operano sul territorio, tanto che eventuali iniziative violente erano state per lo più rivolte contro il personale che lavora nelle compagnie petrolifere. Inoltre, ha evidenziato come nel 2009 fosse intervenuto un accordo tutt’ora vigente, tra il governo e l’organizzazione del M.E.N. D. (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger) che aveva determinato l’allentarsi delle tensioni. Concludeva, pertanto, affermando che la situazione non era tale da costituire un pericolo per il solo fatto che le persone si trovassero in quella zona, il che era testimoniato dall’esiguità del numero delle vittime registrato.

6. Stante la ritenuta non credibilità del racconto, il tribunale ha negato la ricorrenza dei presupposti della protezione umanitaria nella parte fondata sui fatti ivi narrati. Ha ritenuto, inoltre, irrilevanti i motivi di salute dedotti a sostegno dell’esistenza di una condizione di vulnerabilità (perdita del visus ad un occhio, ernia ombelicale e disturbo post-traumatico da stress), poiché per nessuno di essi era stata dedotta l’impossibilità di cura nel paese di provenienza. In particolare, ha affermato come la perdita del “visus” ad un occhio da parte del richiedente, pur costituendo un handicap, non fosse una condizione tale da ostacolarne un eventuale rimpatrio. Quanto all’ernia ombelicale, ed al dedotto disturbo post-traumatico da stress, ha posto in rilievo come lo straniero in due anni non si fosse mai sottoposto, rispettivamente, né al prescritto intervento chirurgico né alla psicoterapia e che, dato il lungo lasso di tempo ormai trascorso, doveva concludersi che egli non ne avesse intenzione, il che faceva venir meno le stesse ragioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di salute. Infine, non risultava alcuna documentazione né allegazione in ordine all’integrazione in Italia dal punto di vista sociale, e lavorativo.

7. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso il cittadino straniero, affidandosi a sette motivi.

L’Amministrazione non si è costituita tempestivamente depositando memoria all’esclusivo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza camerale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2.

2. Con il secondo motivo violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis e degli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32 e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 47.

2.1 I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente e giuridicamente connessi, sono in parte inammissibili per difetto di specificità, ed in parte infondati. Infatti, il primo è del tutto generico nella parte in cui afferma la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, limitandosi a riportare il testo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e ad affermare che dalla situazione della ***** il tribunale avrebbe dovuto trarre la conclusione della sussistenza dei presupposti di tale forma di protezione. Lo stesso motivo deve ritenersi infondato, invece, nella sua seconda parte, ove sono contenute le medesime censure riproposte con il secondo motivo in relazione alla violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis per non avere il tribunale provveduto all’audizione del richiedente, in violazione del suo diritto di difesa. L’audizione sarebbe un adempimento obbligatorio ove mancante la videoregistrazione, potendosene prescindere solo nel caso di ricorso manifestamente infondato, ma su tale ultimo punto il giudice avrebbe un obbligo espresso di motivazione, nella specie disatteso.

La censura deve ritenersi infondata considerato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta, deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass.25439 del 11/11/2020, Rv. 659659-01). Il che non esclude, tuttavia, che il tribunale, pur in assenza di una iniziativa di parte, sia tenuto a valutare l’opportunità di dare corso all’audizione il cui mancato espletamento è suscettibile di essere censurato in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, fermo restando che l’assenza di un’istanza della parte stessa può di per sé giustificare, a seconda dei casi, il mancato espletamento dell’incombente (Cass. n. 18311 del 2021, Rv. 661814-02). Nella specie, il richiedente non aveva chiesto la propria audizione né aveva allegato circostanze da chiarire o da precisare, ed il tribunale aveva escluso la necessità di procedervi “in considerazione della natura della vicenda narrata e dell’esaustività di quella espletata” con motivazione da ritenersi congrua. Infatti, la motivazione del giudice sull’audizione, può considerarsi anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, solo per l’assoluta mancanza di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, per motivazione apparente, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, con riguardo alla carente indicazione delle ragioni per le quali la decisione può essere adottata allo stato degli atti (Cass. n. 18311/20201 cit., Rv. 661814-01), il che nella specie non si ravvisa.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 in ordine alla valutazione circa la mancanza di credibilità.

3.1. Il motivo è inammissibile poiché le argomentazioni difensive si limitano a prospettare una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, costituendo così una censura attinente al merito della controversia, inammissibile in questa sede, come costantemente ritenuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che risulta insindacabile in presenza di una motivazione adeguata e comprensibile (tra le molte, Cass., 05/02/2019, n. 3340 (Rv. 652549-01).

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9 per la mancata citazione delle fonti dalle quali il tribunale ha tratto il proprio convincimento in ordine alla situazione socio-politica del paese di provenienza del richiedente.

4.1. Il motivo è infondato atteso che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il decreto impugnato riporta puntualmente le fonti dalle quali il tribunale ha tratto le informazioni sulle quali ha formato il suo convincimento (v. pag. 11-12- del decreto).

5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e c) per l’omessa considerazione del danno grave al quale il ricorrente sarebbe stato esposto ove fosse stato rimpatriato nel paese di provenienza. Danno grave che secondo il ricorrente risulterebbe dal sito ***** e *****.

5.1. Il motivo deve dichiararsi inammissibile poiché, facendo generico riferimento a fonti relative, in generale, alla situazione della *****, non si confronta con la pronuncia impugnata che puntualmente esclude la situazione di violenza generalizzata nell'*****. Deve qui essere ricordato che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass., 22/09/2021, n. 25662, Cass. 24/02/2020 n. 4905, Rv. 657230-01; Cass. 25/09/2009, n. 20652, Rv. 609721-01), in particolare con riferimento al vizio di violazione di legge su cui è incentrato il mezzo. Infatti, l’art. 366 c.p.c., n. 4 impone, al ricorrente che denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, a pena di inammissibilità della censura, oltre che di indicare le norme di legge di cui si intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che è tenuto espressamente a richiamare al fine di dimostrare che queste ultime sono in contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare, con una ricerca esplorativa officiosa, che trascende le sue funzioni, la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745, Rv. 659448 – 01).

6. Con il sesto motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 con la conseguente violazione degli artt. 3 ed 8 Cedu. Per l’omesso riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

7. Con il settimo motivo si deduce la violazione degli artt. 10 e 32 Cost. sostenendosi che, in considerazione delle notorie carenze del sistema sanitario *****, il ricorrente, anche solo per la sua condizione di indigenza, non avrebbe alcun accesso a strutture qualificate vedendo così compromesso l’attuale livello delle sue patologie, in particolare avuto riguardo alle patologie psicologiche.

7.1. Entrambi i motivi di ricorso relativi alla protezione umanitaria, in quanto logicamente e giuridicamente connessi, possono essere trattati unitariamente e non superano il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità.

Con essi, infatti, il ricorrente si limita ad enunciare i presupposti previsti dalle fonti nazionali ed internazionali per il riconoscimento della protezione umanitaria, facendo poi riferimento alla violazione del diritto alla salute, senza avere allegato specificamente alcuna circostanza specifica, che, in caso di rimpatrio del richiedente nel paese di origine, tale diritto porrebbero in pericolo.

16. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non vi è statuizione sulle spese in considerazione della mancata costituzione del Ministero degli Interni.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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