Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33664 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28308/2020 proposto da:

A.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Rita Labbro Francia, in forza di procura alle liti in calce al ricorso per cassazione:

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di CAGLIARI n. 395/2020, pubblicata in data 9 luglio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/09/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 9 luglio 2020, la Corte di appello di Cagliari ha rigettato l’appello proposto da A.C., nato in *****, avverso l’ordinanza del 5 novembre 2018, con la quale il Tribunale di Cagliari aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il paese d’origine, nel giugno 2016, perché c’era la guerra; che, un giorno, alcuni membri dell’etnia *****, erano arrivati nel suo villaggio ed avevano ucciso molte persone, e tra queste i suoi genitori, e di non avere avuto più notizie, da allora, delle sue sorelle.

3. La Corte di appello di Cagliari ha ritenuto il racconto del richiedente poco credibile per la sua genericità e per le rilevate contraddizioni e ha escluso la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e c), perché non vi era un coinvolgimento personale diretto nella vicenda degli attacchi dei “*****”, né in merito alla “questione *****” erano emersi elementi indicativi di una violenza generalizzata o tale da fare temere per l’incolumità del ricorrente; per quanto concerne la protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che il richiedente non aveva dedotto alcuna circostanza specifica che potesse giustificare la concessione di un permesso annuale di protezione umanitaria, né di essersi bene integrato nel tessuto sociale in cui viveva, richiamando il racconto stringato e poco veritiero, oltre che vago e generico.

4. A.C. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a un motivo.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al fine di partecipare all’eventuale discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo di impugnazione si deduce la nullità della decisione per violazione e/o falsa applicazione del del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere valutato la domanda di protezione internazionale, senza considerazione completa delle prove disponibili e facendo riferimento ad informazioni tratte da fonti non aggiornate, omettendo di procedere ad un esame autonomo della posizione del ricorrente e non avendo tenuto conto della situazione di pericolo cui il ricorrente sarebbe rimasto esposto in caso di rimpatrio, avendo richiamato informazioni desunte da fonti non aggiornate e non avendo esercitato i propri poteri officiosi d’indagine ed acquisizione documentale per accertare la situazione di violenza indiscriminata in atto nel suo Paese di origine.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Ed invero, in tema di protezione internazionale, le dichiarazioni rese dallo straniero, se non suffragate da prove, devono essere sottoposte, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ad un controllo di credibilità, avente ad oggetto da un lato la coerenza interna ed esterna delle stesse, ovverosia la congruenza intrinseca del racconto e la sua concordanza con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone, dall’altro la plausibilità della vicenda narrata, che deve risultare attendibile e convincente sul piano razionale, non comportando tale verifica un aggravamento della posizione del richiedente, il quale beneficia anzi di un’attenuazione dell’onere della prova, ricollegabile al dovere del giudice di acquisire d’ufficio il necessario materiale probatorio ed al potere di ritenere provate circostanze che non lo sono affatto, ferma restando, per l’appunto, la necessità che i fatti narrati superino il predetto vaglio di logicità (Cass., 7 luglio 2021, n. 19377).

1.3 Nel caso in esame la Corte ha correttamente proceduto all’esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente davanti la Commissione territoriale di Cagliari e al giudice nel corso dell’udienza del 13 novembre 2017 e ha ritenuto il racconto non credibile, sia per la genericità dello stesso, sia per le contraddizioni, alcune delle quali specificamente richiamate a pagina 13 del provvedimento impugnato; la Corte, dunque, ha ritenuto condivisibile il giudizio espresso dal Tribunale in ordine alla vicenda personale allegata a sostegno della domanda, reputata comunque inidonea a giustificare il prospettato timore di rimanere esposto, in caso di rimpatrio, al rischio di una persecuzione personale e diretta o di un danno grave, inteso nel senso di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e c).

La Corte di merito, in particolare, ha provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), affermando specificamente che solo nel nord-est della Nigeria ricorreva una situazione di violenza indiscriminata a causa degli attacchi del gruppo terroristico di *****, mentre in merito alla “questione *****” non erano emersi elementi indicativi di una violenza generalizzata o tale da far temere per l’incolumità del ricorrente.

1.4 L’apprezzamento in tal modo compiuto integra un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oppure per difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’inesistenza materiale, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione, (cfr. Cass., 2 luglio 2020, n. 13578; Cass., 19 giugno 2020, n. 11925). Una volta espresso dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione idonea, come nella specie, il giudizio sulla natura delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (Cass., 20 marzo 2014, n. 6503; Cass., 20 giugno 2018, n. 16275).

Non vi e’, infatti, ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo (Cass., 27 giugno 2018, n. 16925; Cass., 24 maggio 2019, n. 14283; Cass., 29 maggio 2020, n. 10286).

1.5 Diversamente va argomentato in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), dove il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento e non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., 24 maggio 2019, n. 14283; Cass., 12 maggio 2020, n. 8819; Cass., 29 maggio 2020, n. 10286; Cass., 28 luglio 2020, n. 16122; Cass., 22 settembre 2020, n. 19725).

Nella specie, tuttavia, la configurabilità della predetta situazione è stata correttamente esclusa in virtù del richiamo d’informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate (il rapporto Amnesty 20192020), puntualmente indicate in motivazione e tale apprezzamento non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale, nel lamentare l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, in relazione all’insufficiente aggiornamento delle fonti informative richiamate o all’utilizzo di alcune fonti non autorevoli, non è in grado d’indicare fonti diverse o più aggiornate dalle quali avrebbe potuto desumersi che nella sua regione di origine esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato.

2. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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