LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 28310/2020 proposto da:
E.I.C.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Rita Labbro Francia, in forza di procura alle liti in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi, n. 12.
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di CATANZARO n. 362/2020, pubblicata in data 5 marzo 2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/09/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza del 5 marzo 2020, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da E.I.C.R., nato in *****, avverso l’ordinanza del 4 luglio 2018, con la quale il Tribunale di Catanzaro aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il paese d’origine per trovare migliori condizioni di vita a causa della situazione conflittuale tra cristiani e musulmani e per le violenze del gruppo di *****.
3. La Corte di appello di Catanzaro ha affermato che difettavano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato perché l’appellante aveva lasciato il paese di origine per la ricerca di migliori condizioni di vita, in assenza di prove concrete e di informazioni sui luoghi frequentati esposte in modo contraddittorio; né sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria, né di quella umanitaria, alla luce della non completa credibilità delle dichiarazioni e della mancata allegazione della sussistenza di una situazione di emergenza nel paese di origine.
4. E.I.C.R. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al fine di partecipare all’eventuale discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza o del procedimento per la violazione del potere-dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti in base al diritto vivente della Suprema Corte (Cass., Sez. U., n. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla Direttiva 2004/83/CE, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la Corte di appello svolto un esame autonomo della posizione del ricorrente, né un accertamento sull’esposizione a pericolo nel paese nel quale avrebbe dovuto essere disposto il rimpatrio con riferimento a fonti attuali e informate.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociali e politiche del paese di origine.
2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché riguardanti entrambi la protezione sussidiaria, sono inammissibili, in quanto volti a censurare un accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.
2.2 Deve premettersi che la valutazione della domanda di protezione internazionale deve avvenire, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine al momento dell’adozione della decisione.
Il successivo comma 5 della citata norma stabilisce che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere ritenga che le dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone (lett. c).
In modo corrispondente del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede l’obbligo di valutare le condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, con la conseguenza che il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo in tale ipotesi la pronuncia, ove impugnata, incorrere nel vizio di motivazione apparente (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).
Queste norme dunque, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente asilo consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pongono a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass., 10 giugno 2020, n. 11175; Cass., 20 maggio 2020, n. 9230, citata). Ne consegue che incorre nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che nel vizio di motivazione apparente, la pronuncia che, nel prendere in considerazione la situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero, si limiti a valutazioni solo generiche o comunque non individui le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).
2.3 La pronuncia impugnata si è attenuta ai principi richiamati, avendo la Corte di merito provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), affermando, con specifica motivazione riportata alle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata, e con il richiamo di plurime fonti, aggiornate al 2017 (e non al 2015 come riferisce il ricorrente a pag. 6 del ricorso per cassazione) che la Nigeria e, in particolare, il Lagos State, in cui l’istante aveva vissuto, posto a sud della Nigeria, era un paese che, per quanto caratterizzato da instabilità socio-politiche non era soggetto a un livello di violenza generalizzata ed indiscriminata, essendo l’attività del gruppo fondamentalistico islamico denominato ***** localizzata al nord del paese; la Corte ha, inoltre, evidenziato, con una ragione del decidere che, peraltro, non è stata minimamente censurata, che non sussistevano nel caso di specie i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non essendovi il rischio di torture e/o altre forme di maltrattamento, né una situazione di violenza indiscriminata nella regione di residenza del richiedente, con concreto pericolo di danno grave per lo stesso.
2.4 Il ricorrente, peraltro, nel lamentare l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, in relazione all’insufficiente aggiornamento delle fonti informative utilizzate, non è in grado d’indicare fonti diverse o più aggiornate dalle quali avrebbe potuto desumersi che nella sua regione di origine esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato.
Le censure esposte, dunque, in quanto versate in fatto, sono volte nella sostanza a sollecitare questa Corte ad una nuova valutazione in ordine alla pericolosità interna della Nigeria, profilo per il quale si assiste nella motivazione impugnata allo svolgimento di una corretta argomentazione che non è stata adeguatamente censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021