LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Maria – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31161/2020 proposto da:
T.A., rappresentato e difeso dall’avv. Elena Petracca, del foro di Rovigo con studio in via Badaloni 19;
contro
Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione Internazionale, Ministero Dell’interno *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 467/2020 della CORTE D’APPELLO di Venezia depositata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.
FATTO E DIRITTO
Considerato che:
Con sentenza nr. 467/2020 depositata in data 11.2.2020, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da T.A., avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine perché temeva di essere contagiato dal virus Ebola.
La Corte di appello, rilevato che i motivi di doglianza erano limitati alla sola questione della protezione umanitaria,riteneva non sussistenti le condizioni per la concessione della misura invocata.
Avverso tale decisione T.A. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il ministero degli interni si costituisce solo formalmente.
Con un primo motivo si duole della violazione o falsa interpretazione di legge nelle valutazioni delle dichiarazioni del ricorrente per omessa collaborazione nell’accertamento dei fatti-violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5, art. 5, comma 3 ed art. 8, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis e art. 35 bis, n. 9, nonché del D.L. n. 416 del 1989, art. 1, comma 5, per non avere la Corte di appello assolto pienamente al dovere di cooperazione giudiziaria effettuando una valutazione sommaria e poco approfondita della dichiarazioni del ricorrente sulla base di un giudizio basato essenzialmente sulle scarne deduzioni della Commissione territoriale accolte dal primo giudice.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione o la non corretta applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti,violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere la Corte di appello riconosciuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari negando la sussistenza di condizioni di vulnerabilità.
Con un terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto in considerazione ai fini della concessione della protezione umanitaria la situazione del paese di ultima provenienza ove il richiedente sarebbe rimasto se le condizioni del Paese lo avrebbero permesso e non lo avrebbero costretto a fuggire.
I tre motivi che vanno esaminati congiuntamente in quanto afferenti alla questione della protezione umanitaria sono inammissibili.
Va preliminarmente rilevato che il giudice di appello ha analizzato le risultanze di causa ai soli fini della verifica delle condizioni per la concessione della protezione umanitaria che rappresentava l’unica misura invocata nelle conclusioni di appello.
La censura dedotta non considera la motivazione resa dal giudice di merito e non contiene alcuna argomentazione in iure atta a dimostrare la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
E comunque la Corte di appello ha correttamente adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria citando numerose fonti in merito alla condizione sociale presente in Sierra Leone escludendo la sussistenza di situazioni di particolare criticità in relazione all’ordine pubblico o di violenza generalizzata o di una violazione dei diritti umani ed ha escluso con riferimento al profilo soggettivo che non potesse assumere rilievo il timore del richiedente di essere contagiato dal virus Ebola trattandosi di un timore legato ad una emergenza sanitaria ormai cessata.
Ha altresì ritenuto non sussistente neppure il timore paventato di una vendetta da parte del compagno della sorella per avere il ricorrente distrutto beni di sua proprietà,vicenda che era stata menzionata avanti alla Commissione solo per spiegare le ragioni per le quali l’istante aveva dichiarato di essere stato arrestato sottolineando la non credibilità del racconto e i contrasti esistenti fra la versione resa avanti alla Commissione e quella fornita al giudice di primo grado.
La Corte di appello ha infine evidenziato come nella specie mancasse l’effettiva dimostrazione di una effettiva integrazione nel tessuto sociale e culturale del Paese ospitante rilevando che nel caso in esame non era riscontrabile l’acquisizione di un certo grado di integrazione sociale nel nostro territorio.
Con riguardo alla Libia, paese in cui l’appellante aveva soggiornato,ha osservato che le condizioni interne del Paese di ultima dimora assumono valenza diretta solo nel caso in cui non sia possibile per ragioni di violenza indiscriminata o conflitto interno,il rimpatrio nel Paese d’origine o che questi non possa ottenere protezione dalle proprie autorità.
Le doglianze nei termini in cui sono state articolate costituiscono una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, come già detto, neppure idoneamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Questa Corte, anche di recente, ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, affermando che il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova; ne consegue che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere – dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (Cass., 14 agosto 2020, n. 17185; Cass., 9 luglio 2019, n. 18431). Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento dell’attività difensiva da parte del Ministero.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021