LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25569/2019 proposto da:
D.M., rappresentato e difeso dall’avv. STEFANO MICHELE LEUZZI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositato il 07/06/2019, R.G.n. 16065/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. D., cittadino senegalese, ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché, in via subordinata, la protezione sussidiaria e, in ulteriore subordine, la protezione umanitaria, esponendo di aver abbandonato il Senegal a seguito di “minacce e persecuzioni” subite ad opera dei genitori della fidanzata, di religione diversa dalla propria. Ha raccontato che la donna, dopo aver partorito, è deceduta e che i genitori della stessa, contrari alla loro relazione per la diversità di religione, lo hanno ritenuto responsabile della morte della figlia e hanno minacciato di “arrestarlo”.
Il Tribunale di Bari, con decreto 7.6.19, ha rigettato tutte le suddette richieste, confermando la decisione della Commissione Territoriale.
Per la cassazione del decreto del tribunale il D. ha proposto ricorso sulla scorta di quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.
La causa è stata chiamata alla Camera di Consiglio del 10 febbraio 2021.
Preliminarmente, il ricorrente chiede a questa Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui, prevedendo la non reclamabilità del decreto del Tribunale, nega il doppio grado di giudizio sulla impugnazione del provvedimento delle Commissioni Territoriali.
La questione è del tutto sovrapponibile ad altre già esaminate e dichiarate manifestamente infondate da questa Corte, la quale già ha chiarito che il doppio grado di giurisdizione non gode di copertura costituzionale (Cass., n. 27700/2018; Cass., n. 31481/2018). Il principio del doppio grado può, infatti, essere derogato dal legislatore per soddisfare specifiche esigenze, quale quella di celerità sottesa alla disciplina dei procedimenti in materia di protezione internazionale. “L’inerenza di tale materia a diritti fondamentali, costituzionalmente tutelati, non consente di ritenere che la soppressione dell’appello si traduca automaticamente in una violazione del diritto di difesa, avuto riguardo alle particolari caratteristiche dei procedimenti in questione, preceduti da una fase amministrativa nell’ambito della quale il richiedente è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni, attraverso il colloquio dinanzi alla commissione territoriale” (Cass., n. 16308/2020, che rinvia ulteriormente alle sentenze sopra indicate e a Cass. n. 17717/2018). Il Collegio non ritiene di doversi discostare dai citati precedenti; la questione va, pertanto, dichiarata manifestamente infondata.
Con il primo mezzo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il sig. D. denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, dolendosi della statuizione con cui il Tribunale ha rigettato le doglianze da lui proposte in ordine alla mancata traduzione in lingua a lui conosciuta – non giustificata dalle indicazioni dei motivi della relativa impossibilità – del provvedimento della Commissione e della relativa notifica effettuata dalla Questura.
Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente non specifica in cosa si sarebbe concretizzato il vulnus recato dall’omessa traduzione al suo diritto di difesa: cfr. Cass. n. 18723/19: “In tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonché quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa”. Conf. 18643/20.
Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il sig. D. lamenta la violazione e/o falsa applicazione, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e segg. e l’omesso e/o insufficiente esame di fatti oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamenta che il tribunale non avrebbe adempiuto al suo dovere di cooperazione istruttoria e non avrebbe valutato adeguatamente le circostanze da lui dedotte, rispetto alla loro incidenza sui suoi diritti fondamentali; nel motivo si sostiene che il ricorrente sarebbe vittima di persecuzione personale, impeditiva del respingimento.
Il motivo è inammissibile in quanto risulta formulato in termini generici e non correlati alla ratio decidendi; il ricorrente, infatti, non si misura con il rilievo del tribunale che la minaccia alla vita del richiedente proviene da privati (cfr. Cass. n. 9043/19, Cass. n. 19258/20).
Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per il mancato riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria, lamentandosi che il tribunale non si sarebbe sufficientemente documentato sulla situazione del Senegal, nella regione di Casamance.
Il motivo è inammissibile. Il tribunale, esercitando i propri poteri officiosi d’indagine, ha rilevato che le informazioni reperibili sul Senegal non restituiscono l’immagine di un luogo colpito da una violenza tale che la presenza sul territorio dello Stato possa costituire un rischio per l’incolumità del richiedente e, conseguentemente, ha escluso la sussistenza dei presupposti della forma di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). La censura si risolve quindi nella contrapposizione tra le fonti informative menzionate nell’impugnato decreto e quelle invocate nel ricorso, senza nemmeno la necessaria precisazione relativa ai riferimenti cronologici di queste ultime.
Con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e si lamenta il mancato riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il ricorrente argomenta che il tribunale non avrebbe valutato correttamente la sussistenza della sua condizione di vulnerabilità, non adeguatamente motivando sul punto, ed esponendolo, con il rigetto dell’impugnazione del provvedimento della Commissione Territoriale, a gravi rischi per i propri diritti fondamentali.
Il motivo è inammissibile perché formulato in termini del tutto generici; il ricorrente in sostanza contesta la valutazione del Tribunale in riferimento alla condizione di vulnerabilità del ricorrente, in tal modo attingendo un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non con il mezzo, e nei limiti, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di attività difensiva del Ministero intimato.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021