Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33684 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23878/2019 proposto da:

M.F., rappresentato e difeso dall’avv. LOREDANA LISO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

contro

PROCURATORE GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE, PROCURATORE della REPUBBLICA presso la CORTE d’APPELLO BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 880/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 11/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

acquisita la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. M.F., propone ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 880/2019 della Corte di appello di Bari che, confermando la pronuncia del tribunale cittadino, ha rigettato il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento ***** della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari (nel prosieguo “Commissione”), la quale non aveva accolto le richieste di protezione internazionale e umanitaria da lui avanzate.

La Corte di appello di Bari – pur ritenendo, al pari del primo giudice e della Commissione, che il racconto del ricorrente non fosse attendibile – ha comunque ritenuto che i fatti dal medesimo narrati (relativi alle minacce di morte a lui rivolte dal padre di una ragazza con cui egli voleva sposarsi ma che, per volere del padre, si era sposata con un altro uomo, e, dopo il matrimonio, era fuggita, facendo perdere ogni traccia di sé) non giustificherebbero comunque il riconoscimento dello status di rifugiato, trattandosi di fatti integrativi di un conflitto privato ed episodico, in relazione al quale il ricorrente né si era rivolto alle autorità locali, né aveva illustrato i motivi per cui non si era indirizzato presso quest’ultime. Inoltre, la Corte d’appello non ha ravvisato le condizioni per accordare la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in considerazione della attuale situazione economica e politica della Costa d’Avorio. Ne’, infine, la corte barese ha ravvisato i presupposti per concedere la protezione umanitaria, dato che l’appello non avrebbe evidenziato alcuna situazione personale di particolare vulnerabilità o un radicamento irreversibile sul territorio italiano, vista l’assenza di alcuna esperienza lavorativa apprezzabile e visti i legami ancora stretti del ricorrente con lo Stato d’origine, rappresentati dalla presenza su quel territorio di madre, sorelle e figlio.

Il Ministero dell’Interno non ha presentato controricorso, ma ha depositato comparsa di costituzione ai fini della discussione orale.

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 10 febbraio 2021, per la quale il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’accoglimento del ricorso.

Col primo motivo di ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) ed f) e artt. 7 e 8. Ad avviso del ricorrente, il fatto che questi fosse stato minacciato di morte dal padre della propria fidanzata integrerebbe motivo di fondato timore di persecuzione, tale da indurlo a fuggire dalla Costa d’Avorio e idoneo a renderlo beneficiario della protezione internazionale.

Il motivo è infondato. Correttamente la Corte territoriale ha escluso la rilevanza, ai fini dello status di rifugiato, della minaccia alla vita del richiedente proviene da privati (Cass. 9043/19, Cass. 19258/20).

Col secondo motivo di ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14. Ad avviso del ricorrente, le minacce di morte costituirebbero una grave violazione della dignità e della personalità, tali da integrare il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi della lett. h) dell’articolo citato. Il fatto che la minaccia provenga da un privato sarebbe irrilevante, visto che le autorità dello Stato non potrebbero o non vorrebbero fornire protezione adeguata.

Il motivo è inammissibile, perché si risolve nella postulazione di una situazione di violazione dei diritti umani in Costa d’Avorio formulata in termini totalmente generici. Ne’ può condividersi la conclusione del Procuratore Generale di inquadrare la fattispecie alla luce del principio che, in tema di protezione sussidiaria, la costrizione ad un matrimonio non voluto costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire protezione adeguata (Cass. 25873/13 e altre conformi). Il ricorrente, infatti, ha rappresentato di essere stato minacciato non per essere costretto ad un matrimonio forzato, ma perché voleva sposare una donna che era stata, essa, costretta ad un matrimonio forzato, al quale si era sottratta con una fuga che aveva reciso i rapporti anche con lo stesso ricorrente. Correttamente, quindi, la corte territoriale ha ricondotto la vicenda nel perimetro delle liti tra privati.

Col terzo motivo di ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8. Ad avviso del ricorrente, né il giudice di primo grado né quello di appello avrebbero speso i loro poteri istruttori d’ufficio al fine di acquisire le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione concreta della Costa d’Avorio.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una generica doglianza circa il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi del giudice di merito, mentre dalla sentenza emerge come tale potere sia stato esercitato con l’acquisizione officiosa di C.O.I. da parte della Corte barese.

Col quarto motivo si denuncia motivazione apparente e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Il giudizio di credibilità del ricorrente sarebbe stato effettuato sulla scorta di soggettive opinioni del giudice di merito e non alla stregua dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Inoltre, sul punto, la motivazione sarebbe apparente perché fondata su clausole di stile, visto che non esprimerebbe un giudizio autonomo ma coinciderebbe con quella del Tribunale e, prima ancora, della Commissione.

Il motivo è inammissibile, sia perché si sostanzia in una richiesta di rivalutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente, sia perché non attinge la ratio decidendi fondata sulla inidoneità dei fatti raccontati in tali dichiarazioni a fondare il diritto del medesimo richiedente alla protezione internazionale.

Col quinto motivo di ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere rilevante, ai fini del diniego dell’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, che questi avesse parenti di primo grado nel paese d’origine. Vi sarebbero, nel caso in specie, gli estremi per il riconoscimento della protezione umanitaria, dato il rischio di perdere la vita.

Il quinto motivo è pur esso inammissibile. Il ricorrente si limita a criticare, con argomentazioni di merito, la sentenza gravata là dove si trae argomenta, ai fini del rigetto della domanda di protezione umanitaria, dalla circostanza della presenza in Costa d’Avorio dei familiari del ricorrete medesimo; circostanza che, invece, correttamente è stata valorizzata, in rapporto al radicamento non particolarmente significativo del richiedente in Italia, alla luce del principio che, in tema di protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (SSUU 29459).

Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di sostanziale attività difensiva del Ministero intimato.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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