LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26239/2019 proposto da:
B.M., (alias B.M.), rappresentato e difeso dall’avv. LOREDANA LISO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
contro
PROCURA GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE, PROCURA DELLA REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di BARI;
– intimate –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositato il 08/08/2019, R.G.n. 7004/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. B.M. (alias B.M.) senegalese, nato al confine con la Guinea Bisseau, nella regione di Kolda, ha lasciato il proprio paese nel 2016. M. svolgeva la professione di contadino e quella di trasportatore di legname. Di fronte alla Commissione Territoriale ha raccontato che in Senegal tagliare legna è un reato e che egli era fuggito dal Paese per essere stato colto in flagrante dai poliziotti mentre trasportava legna: ha altresì riferito di essere stato in Libia per mesi prima di giungere in Italia ed ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.
La Commissione Territoriale ha rigettato le sue richieste e il Tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di immigrazione, ha confermato tale rigetto. Il tribunale si è basato sulle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione Territoriale, ritenendo non necessaria l’audizione del medesimo; ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato poiché ha ritenuto non credibile la narrazione dal richiedente; ha respinto, altresì, la richiesta di riconoscimento dello status di beneficiario della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, giudicando non sussistenti situazioni di vulnerabilità; ha infine respinto anche la richiesta di protezione umanitaria, all’uopo comparando il grado di integrazione raggiunto dal richiedente in Italia e le condizioni di vita che gli avrebbe incontrato rientrando in Senegal e sottolineando che lo stesso ricorrente aveva riconosciuto “di aver condotto, prima dell’espatrio per motivi legati ad una vicenda di rilievo ordinario interno), una vita dignitosa (“vivevo bene”)” (penultima pag. del decreto).
Avverso il decreto del tribunale il richiedente ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di due motivi.
Il Ministero si è costituito in giudizio ai soli fini della partecipazione alla discussione orale.
La causa è stata chiamata all’udienza camerale del 10 febbraio 2021.
Con il primo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente censura l’impugnato decreto per avere il tribunale giudicato inattendibili fatti da lui raccontati senza tuttavia procedere alla sua audizione. il motivo è inammissibile perché non attinge la ratio decidendi (che si affianca quella relativa al l’inattendibilità del racconto del richiedente), secondo cui i fatti da quest’ultimo narrati, ove anche creduti, sarebbe il risultati comunque inidonei a giustificare lo status di rifugiato, non descrivendo situazioni di persecuzione.
Con la seconda doglianza, il ricorrente denuncia vizio di motivazione apparente ed erronea applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951; art. 10 Cost.; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 7 e 14 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (T.U.I.).
Il ricorrente censura il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, lamentando che il giudice non avrebbe adempiuto ai suoi doveri di cooperazione istruttoria e reiterando la denuncia di illegittimità della mancata audizione del ricorrente.
Il motivo è inammissibile perché si risolve nella postulazione di una situazione di violazione dei diritti umani in Senegal formulata in termini totalmente generici e non supportata da alcuna specifica critica delle fonti informative richiamate nel decreto impugnato.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di sostanziale attività difensiva del Ministero intimato.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021