LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26473/2019 proposto da:
J.S., ammesso al patrocinio a spese dello Stato ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Della Giuliana, 32, presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso il decreto 14903/2019 del Tribunale di Roma, depositato il 16/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/02/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– J.S., cittadino del Gambia, ha impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Roma con cui ha rigettato il di lui ricorso avverso il diniego disposto dalla competente Commissione territoriale in merito alla domanda di protezione internazionale ed umanitaria;
– a sostegno delle domanda di asilo aveva dichiarato di essere fuggito dai soprusi ed ai maltrattamenti dei fratellastri, figli più grandi di lui nati dalle unioni del padre con le donne sposate in precedenza;
– il tribunale romano ha rilevato che la narrazione resa avanti la commissione territoriale è stata confermata in sede giudiziale ed ha ritenuto di ravvisare ragioni di carattere familiare non riconducibili ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato;
– parimenti non sono stati ritenuti provati i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non ricorrendo la circostanza della mancata tutela dalla vessazione familiare descritta;
– pure insussistenti sono stati considerati i presupposti per il riconoscimento di una condizione di violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);
– infine il tribunale ha reputato insufficiente, ai fini della prova della condizione di vulnerabilità, la vicenda personale narrata dal richiedente;
– la cassazione del decreto è chiesta sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria;
– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero dell’Interno.
CONSIDERATO
che:
– con il primo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2 ed art. 13, comma 7, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla mancata traduzione del provvedimento di rigetto;
-la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.;
– costituisce infatti orientamento consolidato che: a) la comunicazione della decisione negativa della Commissione territoriale competente, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, deve essere resa nella lingua indicata dallo straniero richiedente o, se non sia possibile, in una delle quattro lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo l’indicazione di preferenza), determinando la relativa mancanza l’invalidità del provvedimento; tale vizio, tuttavia, analogamente alle altre nullità riguardanti la violazione delle prescrizioni inderogabili in tema di traduzione, può essere fatto valere solo in sede di opposizione all’atto che da tale violazione sia affetto, ivi compresa l’opposizione tardiva, qualora il rispetto del termine di legge sia stato reso impossibile proprio dalla nullità (da ultimo, ex multis, nn. 16470/19, 420/012 e 18493/011); b) il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (n. 23760/19);
– è stato pertanto ritenuto che lì dove – come nel caso di specie – l’opposizione sia stata tempestivamente proposta mediante la formulazione di censure di merito, ogni questione inerente alla mancata traduzione del provvedimento impugnato è priva di rilievo (cfr. Cass. 8367/2020);
– con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del paese di origine del ricorrente;
– con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del paese di origine così determinando la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;
– il secondo e terzo motivo attengono a profili strettamente connessi relativi alla valutazione della domanda di protezione e possono essere esaminati congiuntamente;
– si tratta di censure inammissibili perché le dichiarazioni del ricorrente sono state dettagliatamente vagliate con specifica argomentazione in punto di non credibilità (cfr. pag. 2 e 3 del decreto) con conseguente rigetto della domanda di protezione internazionale sia per il carattere familiare della vicenda sia per l’esclusione di esposizione al rischio di torture e pregiudizio ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b);
– le censure sono altresì inammissibili perché a pag. 3 e 4 il decreto cita le fonti ufficiali sulla situazione socio-politica del Gambia e cioè ***** nonché Amnesty International ed altri report di organizzazioni accreditate come Peace Report secondo cui, pur evidenziando si alcune criticità in campo sociale e giuridico, possa escludersi che il rientro nel paese di provenienza esponga di per sé il richiedente ad un grave rischio personale in ragione della situazione sociopolitica;
– tale affermazione della Corte distrettuale va esente da critica, atteso che in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia Europea (v. sentenze 30 gennaio 2014 nella causa C-285/12 e 17 febbraio 2009 nella causa C-465/07) la violenza indiscriminata è quella che raggiunge un livello tale che il richiedente, per la sua sola presenza sul territorio di cui trattasi, corre un rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona;
– né il ricorrente indica fonti più recenti e di segno opposto per inficiare la conclusione del giudice del merito
– con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
– si deduce, altresì, l’errata applicazione della direttiva 2004/83/CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, nonché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle dichiarazioni rese dal ricorrente ed al mancato supporto probatorio;
– la censura è inammissibile;
– a pagina 7 il decreto motiva il diniego, per un verso, sulla base della mancata allegazione di alcuna particolare e personale vulnerabilità e, per l’altro, spiegando come, in conformità alla giurisprudenza di legittimità (cfr. cass. 4455/2018) la mera frequentazione di corsi di apprendimento della lingua italiana non è di per sé sufficiente a comprovare l’integrazione sociale e quella lavorativa sì da giustificare nell’ambito di un giudizio comparativo fra la conddizione del richiedente del paese di accoglienza ed in quello di provenienza, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
– all’inammissibilità di tutti i motivi consegue quella del ricorso;
– nulla va disposto sulle spese di lite atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021