Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33766 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21431/2017 proposto da:

PARROCCHIA DI SAN FRUTTUOSO, (C.F.: *****), con sede in *****, in persona del Parroco nominato pro tempore Sac.

C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Marinella BALDI (C.F.: BLDMNL74E59D969M), del Foro di Milano e domiciliata presso lo studio di quest’ultima, in Genova, alla Via San Lorenzo 23/13, come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Genova, (C.F.: *****), con sede in Genova, alla Via Garibaldi n. 9, in persona del Sindaco p.t. Dott. B.M., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del controricorso, dagli Avv.ti Luca De Paoli (C.F.: DPLLCU68M03I225I), del Foro di Genova e Gabriele Pafundi (C.F.: PFNGRL571309I1501K) del Foro di Roma, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, al Viale Giulio Cesare n. 14/4;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 114/2016 emessa dalla CTR Liguria in data 30/01/2017 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

RITENUTO IN FATTO

Avverso la sentenza della CTP di Genova – che aveva parzialmente accolto il ricorso della Parrocchia di San Fruttuoso avverso l’avviso di accertamento con cui era stato preteso il pagamento ICI per l’anno 2007 in relazione a diverse proprietà immobiliari, ritenendo esenti l’immobile di Via ***** (perché utilizzato come sala polifunzionale per catechesi) e quello di Via ***** (perché utilizzato per attività sportive, ricreative e culturali) ed esclusi dall’esenzione gli immobili di Via ***** (adibito ad abitazione del vice parroco) e di Via ***** (una volta abitazione del parroco) – proponeva appello il Comune di Genova, facendo rilevare che per i primi due immobili non era stata fornita dalla Parrocchia alcuna prova del possesso del requisito oggettivo richiesto dalla normativa, né in sentenza era stata evidenziata l’esistenza dello stesso. Proponeva appello altresì la Parrocchia di S. Fruttuoso, contestando la non riconosciuta esenzione per gli immobili di Via ***** e di Via ***** e sostenendo l’esistenza di un vincolo pertinenziale tra i due beni e la chiesa.

Con sentenza del 30.1.2017, la CTR Liguria rigettava entrambi gli appelli, compensando le spese.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Parrocchia di S. Fruttuoso, sulla base di tre motivi.

Il Comune di Genova ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, destituita di fondamento si rivela l’eccezione di giudicato esterno formulata dalla ricorrente con la memoria illustrativa.

Invero, da un lato, la sentenza n. 962 emessa dalla CTR Liguria in data 2.8.2019 è priva del certificato di avvenuto passaggio in giudicato, ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c.. Dall’altro, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, con la conseguenza che lo stesso è escluso nelle fattispecie “tendenzialmente permanenti”, in quanto suscettibili di variazione annuale (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17760 del 06/07/2018). Nel caso di specie, la destinazione dell’immobile sito in Via ***** ad abitazione del parroco e dell’immobile ubicato a Via ***** a palestra rappresenta un fatto non avente efficacia permanente, ben potendo accadere che, a distanza di tre anni (tenuto conto che l’avviso di accertamento in esame riguarda il 2007, laddove quello sul quale si è pronunciata la sentenza n. 962/2019 concerne l’annualità 2010), aumentino i parroci assegnati ad una chiesa o un locale venga effettivamente utilizzato come palestra, pur essendo stato in precedenza impressa allo stesso siffatta destinazione.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 7, comma 1, lett. d) e i), in combinato disposto con la L. n. 222 del 1985, art. 16, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR escluso l’esenzione dall’ICI dell’immobile destinato ad abitazione del parroco, nonostante lo stesso fosse pertinenziale rispetto al fabbricato destinato esclusivamente all’esercizio del culto, e dell’immobile adibito a palestra, nonostante la detta esenzione non potesse dipendere dal numero degli immobili.

2.1. Il motivo è infondato.

In base al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, sono esenti dall’ICI: “i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli artt. 8 e 19 Cost., e le loro pertinenze” (lett. d); “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a),” (lett. i).

Prima di analizzare la censura concernente l’immobile sito in Via ***** asseritamente destinato ad abitazione del parroco, occorre formulare alcune considerazioni preliminari.

Ai fini dell’applicazione dell’esenzione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. d), a favore dei fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e delle loro pertinenze, il rapporto pertinenziale tra la chiesa parrocchiale ed una casa sita nei pressi della stessa e destinata ad abitazione del parroco presuppone una verifica in ordine alla persistenza dell’effettiva destinazione, in quanto il rapporto pertinenziale può ben essere risolto anche da comportamenti concludenti (Sez. 5, Sentenza n. 11437 del 12/05/2010).

In proposito, si deve presumere, in base all’id quod plerumque accidit – salva prova contraria, che, ripetesi, deve essere fornita dal comune che pretenda di assoggettare l’immobile ad imposizione -, che la casa sita nei pressi di una chiesa sia destinata, quale casa canonica, ad abitazione del parroco addetto alla chiesa, e costituisca, dunque, pertinenza di questa, senza che assumano rilievo, in senso contrario, né la circostanza che il parroco abbia la residenza anagrafica in altro comune o comunque non risieda, temporaneamente, in quella casa, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare nei fabbricati in questione (chiesa e casa canonica); né la categoria nella quale la casa canonica risulti iscritta in catasto (nella specie, categoria A/4, corrispondente alle abitazioni di tipo popolare), giacché la situazione di fatto prevale rispetto all’accatastamento del bene (Sez. 5, Sentenza n. 20033 del 17/10/2005).

2.1.1. Ciò debitamente premesso, la ricorrente sostiene che l’esenzione dall’imposta andrebbe riconosciuta anche a più case, da considerarsi pertinenze parrocchiali, quando i sacerdoti in servizio alla parrocchia siano più d’uno.

La CTR ha escluso l’esenzione sia perché la Parrocchia aveva già dichiarato esente come abitazione del parroco un altro immobile (quello sito in Via *****) sia perché erano stati considerati esenti altri due fabbricati (di cat. A/4) dichiarati come abitazione del parroco, con la conseguenza che l’interpretazione dell’art. 7, lett. d), non si poteva estendere in maniera indefinita, viepiù se si considerava che solo una poteva essere l’abitazione del parroco.

Orbene, la ricorrente non ha neppure dedotto che nella parrocchia siano in servizio, oltre ad un parroco e ad un viceparroco (con riferimento alle cui rispettive abitazioni – in Via ***** e in Via ***** – già è stata riconosciuta l’esenzione), in via stabile altri sacerdoti, addetti a vario titolo al servizio dell’edificio di culto, ma, anzi, ha invocato l’esenzione con riferimento all’immobile di Via ***** individuandolo come abitazione del parroco. In definitiva, la ricorrente ha sostenuto in termini generici ed astratti che in una parrocchia possano essere in servizio più sacerdoti, invocando a proprio favore la presunzione iuris tantum cui si è fatto in precedenza riferimento, presunzione, però, che deve ritenersi superata in presenza di altro immobile cui è stata impressa la destinazione ad abitazione del parroco.

2.2. Per quanto concerne la doglianza avente ad oggetto l’immobile sito in Via *****, asseritamente adibito a palestra, è opportuno ricordare, in termini generali, che l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in relazione ai soggetti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 87, comma 1, lett. c), presuppone ugualmente la ricorrenza cumulativa sia del requisito soggettivo della natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo della diretta ed esclusiva destinazione dell’immobile allo svolgimento delle attività previste dal medesimo art. 7, vale a dire quelle assistenziali, previdenziali, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché quelle di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a), (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana). Ne consegue che il beneficio dell’esenzione dall’imposta non spetta in relazione agli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico – come pure agli enti di istruzione e beneficenza, ai quali quelli ecclesiastici aventi fine di religione o di culto sono, ai fini tributari, equiparati della L. 25 marzo 1985, n. 121, ex art. 7 -, che siano destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali (Sez. 5, Sentenza n. 4645 del 08/03/2004; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 23584 del 11/11/2011 e Sez. 5, Sentenza n. 5041 del 13/03/2015).

Tale esenzione spetta anche se l’effettiva utilizzazione – di cui il contribuente ha comunque l’onere di fornire la prova – sia in contrasto con la destinazione catastale, dovendosi dare prevalenza alla situazione di fatto rispetto all’accatastamento del bene (Sez. 5, Sentenza n. 19731 del 17/09/2010).

La sussistenza dei presupposti di esenzione dal tributo, integrando un fatto impeditivo dell’operatività della regola generale di imposizione, deve essere provata dal contribuente che tale esenzione invochi (tra le molte, Cass. n. 1694/18 e Cass. n. 6711/15). In materia di Ici, tale prova deve concernere la destinazione concreta ed effettiva dell’immobile all’esercizio, con modalità non commerciali, di una delle attività di cui alle menzionate ipotesi esonerative D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 7 (Cass. n. 6711/15 cit. ed altre).

2.2.1. Nel caso di specie, la CTR ha fondato la decisione di disconoscere l’esenzione sulla base di tre considerazioni: 1) perché non era stata documentata in maniera chiara, precisa ed attendibile l’utilizzazione dell’immobile per il perseguimento di uno scopo di tipo sportivo; 2) in quanto l’unità immobiliare risultava accatastata nella cat. C/2 (vale a dire, quella dei magazzini e locali deposito), per la quale non veniva pagata alcuna tassa per i rifiuti; 3) già tre locali erano stati riconosciuti esenti, perché adibiti a palestra.

Orbene, fermo restando che, per le ragioni espresse in precedenza, il secondo argomento è privo di fondamento logico-giuridico e che il terzo argomento è destituito di fondamento (ben potendosi riconoscere in astratto l’esenzione con riferimento a più immobili, se destinati allo svolgimento di attività sportiva), il motivo non si confronta con la prima ratio decidendi, che pure appare assorbente. Invero, la ricorrente non ha dedotto alcunché in ordine al profilo della effettiva destinazione dell’immobile in oggetto ad attività di palestra.

In proposito, va ricordato che, qualora la sentenza impugnata si regga su una pluralità di ragioni ed alcuna od alcune di esse, benché idonee da sole a sorreggere la decisione, non siano censurate, la fondatezza delle censure formulate è irrilevante, non potendo condurre all’annullamento della sentenza (fra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 4687 del 12/05/1999 e, più di recente, Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017).

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza “per irriducibile contraddittorietà e illogicità”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per essere incorsa la CTR, nel negare l’esenzione con riferimento alla casa del secondo parroco e all’immobile destinato a palestra, in palesi contraddizioni.

3.1. Il motivo è infondato.

L’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è ormai ristretto alle figure della “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente” e del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, siccome le uniche che rappresentano manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori – ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Orbene, l’affermazione, resa nell’analizzare altro immobile (quello di Via ***** dichiarato quale abitazione del vice parroco), secondo cui è possibile che l’autorità ecclesiastica destini stabilmente al servizio di un unico edificio di culto una pluralità di sacerdoti provvedendo a dotarli della relativa abitazione (per cui devono ritenersi esenti Ici gli immobili destinati ad abitazione dei sacerdoti addetti a vario titolo al servizio dell’edificio di culto principale), non è in contrasto con la successiva affermazione secondo cui, premesso che già per tre immobili era stata riconosciuta l’esenzione perché dichiarati come abitazione del parroco, una sola dovrebbe essere in concreto l’abitazione di quest’ultimo (almeno avuto riguardo alle case site nei pressi della chiesa parrocchiale).

La considerazione per cui l’unità immobiliare di Via ***** risultava accatastata nella cat. C/2 (vale a dire, quella dei magazzini e locali deposito), per la quale non veniva pagata alcuna tassa per i rifiuti, invece, contrasta si con la precedente affermazione generale secondo cui la categoria catastale assegnata al bene non riveste importanza alcuna per escludere il bene dall’esenzione, ma tale contraddittorietà non assume i connotati della decisività, atteso che, come si è visto nell’analizzare il primo motivo, la decisione sul punto si fonda su altri due argomenti (di cui quello relativo alla mancanza di una documentazione chiara, precisa ed attendibile circa l’utilizzazione dell’immobile per il perseguimento di uno scopo di tipo sportivo assume valenza assorbente).

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa, insufficiente o illogica motivazione su fatti decisivi ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR fornito, con riferimento all’esenzione chiesta per la casa del parroco, una motivazione per relationem del tutto apparente.

4.1. Il motivo è infondato.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In particolare, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicché il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257 e Cass. 12/10/2017, n. 23940).

Inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018).

Orbene, anche a voler prescindere dal fatto che non è stato neppure indicato il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso, la motivazione resa dalla CTR con riferimento all’esclusione della esenzione Ici sia per la casa del parroco che per l’immobile adibito a palestra e’, come si è visto nell’analizzare i precedenti motivi, non solo esistente, ma anche congrua sul piano logico e corretta dal punto di vista giuridico.

Pertanto, nella specie non ricorre alcuna di tali gravi anomalie, né, del resto, è stata denunciata dal ricorrente, essendo il motivo imperniato sulla mera insufficienza della motivazione e sulla non condivisibilità del ragionamento seguito dal giudice nella valutazione delle prove, questioni che sono entrambe inammissibili ove trovi applicazione, come nella specie, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass., sez. 6-5, 15/5/2018, n. 11863).

5. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della ricorrente.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.200,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti); dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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