LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 6724/2014 proposto da:
Agenzia della Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
S.M. rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Contin e Andrea Manzi elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, via Confalonieri, n. 5;
– controricorrente –
Avverso la decisione della Commissione 66/1/13 depositata il 19/08/2013.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella Camera di consiglio del 4/11/2020.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 66/1/13 depositata il 19 agosto 2013.
La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento n. ***** al contribuente S.M. a seguito della rettifica del reddito dichiarato per l’anno 2006 emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5, 6.
L’Avviso di accertamento aveva computato ai fini delle rettifica, la quota di un 1/5 relativa ad incrementi patrimoniali acquisiti nel 2009. Il contribuente riteneva invece che quella spesa non dovesse essere considerata ai fini della rettifica del reddito 2006, alla stregua e in applicazione della modifica del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22. Opponeva, pertanto, l’atto impositivo e la CTP di Vicenza respingeva il ricorso. Il successivo appello veniva invece parzialmente accolto con la decisione che l’Ufficio ha qui impugnato deducendo un solo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22.
Ha resistito S.M. con controricorso e memoria.
CONSIDERATO
che:
La Ctr, nell’accogliere parzialmente l’appello del contribuente, ha affermato che l’ammontare dell’incremento patrimoniale realizzato nel 2009 era da imputare interamente all’esercizio in cui era stato effettuato. Ha, quindi, escluso dal computo per la rettifica del reddito relativo al 2006, anno a cui si riferiva l’avviso di accertamento opposto, la quota di 1/5 dell’incremento patrimoniale effettuato nel 2009.
L’assunto è corretto per le ragioni che seguono.
La nuova formulazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, risultante dalla modifica introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, in tema di accertamento sintetico, ha effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, cioè a far tempo dal 31 maggio 2010, con riferimento all’anno d’imposta 2009, per il quale il termine di presentazione della dichiarazione non era ancora scaduto.
La norma dispone che le spese effettuate nel periodo d’imposta, a far tempo dal 2009, debbono essere valutate – ai fini della determinazione delle imposte, dovute per quell’anno – nella loto interezza e, quindi, non più frazionate in quote continue, nel periodo stesso e nei quattro precedenti.
Pone cioè una barriera temporale nel senso che, dal periodo 2009, le spese avvenute in quell’anno, soggiacciono alle nuove modalità di accertamento. Tal che quelle spese non sono più ripartibili in quote paritarie di 1/5, contribuendo a formare, pro-quota, la base imponibile per la tassazione dell’anno della spesa e dei quattro anni precedenti.
Ora, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 2, la dichiarazione deve essere presentata tra il primo maggio ed il 30 giugno ovvero, in via telematica entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta. Pertanto, ritiene il Collegio, la situazione reddituale maturata nel 2009, che sarebbe stata oggetto della relativa dichiarazione, il cui termine di presentazione non era ancora scaduto, deve ritenersi soggetta alla nuova disciplina.
Talché, per gli incrementi patrimoniali frutto di spese sostenute in tale anno, non può più trovare applicazione il c.d. vecchio redditometro all’avviso di accertamento relativo all’anno 2006. Ne’ può computarsi in esso la quota di 1/5 dell’ammontare di un incremento patrimoniale acquisto in anni successivi, stante, appunto, il limite temporale posto dalla nuova disposizione.
L’Ufficio, per contro, sostiene che la nuova disciplina riguardi esclusivamente gli “avvisi di accertamento” emessi per redditi in relazione ai quali non era scaduto il termine di presentazione della relativa dichiarazione, al momento dell’entrata in vigore della novella. Quest’ultima inizierebbe, perciò, a trovare applicazione solo per gli avvisi di accertamento emessi per l’anno d’imposta 2009 e per i successivi e non per gli avvisi emessi per anni precedenti, tra cui quello in esame. Avviso questo che continuerebbe ad essere disciplinato dalla precedente formulazione, per cui l’Ufficio correttamente – ritiene – aveva continuato a computare le spese effettuate in anni successivi, in misura di 1/5.
La tesi dell’Ufficio non è condivisibile.
Infatti, la modifica normativa pone come elemento di cesura tra la precedente formulazione e la nuova, la “dichiarazione” relativa al 2009, nel senso che il reddito complessivo relativo a tale anno (e via via relativo a quelli degli anni successivi), avrebbe dovuto ad essere determinato sinteticamente, sulla base delle spese sostenute nel periodo considerate nel loro intero ammontare.
In altri termini, gli incrementi patrimoniali, conseguiti con spese effettuate nel 2009, avrebbero dovuto costituire base per la determinazione sintetica del reddito di quell’anno, computando la spesa nella sua interezza e non più solo in ragione di un quinto.
Il criterio, quindi, di frammentare l’ammontare di una spesa effettuata in un periodo dato, non può più trovare applicazione a partire dalle spese effettuate nel 2009.
La diversa interpretazione dell’Agenzia individua, invece, il discrimen, tra la modifica e la precedente disciplina, nell’anno d’imposta in riferimento al quale ciascun avviso di accertamento è stato emesso, e non nell’anno in cui la spesa è avvenuta. Ne discende il protrarsi del criterio di frazionamento tra l’anno in cui è effettuata ed i quattro precedenti, per gli “avvisi” emessi per anni antecedenti al 2009, anche se la spesa è avvenuta in tale anno e ciò sino all’emissione di un avviso di accertamento riguardante l’anno medesimo.
La soluzione darebbe però luogo ad un periodo in cui coesisterebbero modalità diverse per calcolare spese effettuate nello stesso anno.
Per restare al caso in esame, riguardante l’avviso di accertamento per il 2006, le spese effettuate dal contribuente nel 2009 sono state dall’Ufficio “spalmate” a ritroso, secondo il vecchio regime. Con la conseguenza che spese effettuate da altri contribuenti, sempre nel 2009, ma oggetto di avviso di accertamento sintetico emesso per quell’anno, sarebbero computate interamente nell’anno medesimo.
Una soluzione asimmetrica, con tempi di attuazione diluiti, che lo stesso strumento adottato per la modifica, cioè la decretazione d’urgenza, rende incoerente e palesa piuttosto l’intento del legislatore di introdurre, quanto prima e in modo simultaneo, il nuovo assetto normativo.
Pertanto, il ricorso è infondato. Alla soccombenza segue la condanna alle spese.
Non sussistono i presupposti per la condanna dell’Amministrazione al versamento del c.d. doppio contributo alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che “Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo” (Sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778).
La decisione richiamata riflette il “principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte e tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di sé stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge” (SS. UU., 8/5/2014, n. 9938).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate alle spese di lite che liquida in Euro 900,00 oltre Euro 200,00 per spese e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021