LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 26340/2014 R.G R.G. proposto da:
T.G. e B.S., rappresentati e difesi dall’avv. Claudio Lucisano e dall’avv. Maria Sonia Vulcano, presso cui elettivamente domiciliano in Roma, alla via Crescenzio n. 91;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2523/2014, pronunciata in data 15 aprile 2014, depositata in data 14 maggio 2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 marzo 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
che:
T.G. e B.S. ricorrono con cinque motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2523/2014, pronunciata in data 15 aprile 2014, depositata in data 14 maggio 2014 e non notificata, che ha accolto l’appello principale dell’ufficio, rigettando quello incidentale dei contribuenti, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento sintetico del reddito per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008;
in particolare, i contribuenti impugnavano gli atti impositivi, sostenendo l’inesistenza, o, in subordine, la nullità della notifica degli avvisi, la violazione del principio del previo contraddittorio con il contribuente e l’infondatezza nel merito della pretesa tributaria;
la C.t.p. di Milano, dopo aver rilevato la sanatoria, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dell’eventuale nullità della notifica dell’avviso di accertamento per la tempestiva proposizione del ricorso e l’insussistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per gli anni in contestazione, aveva accolto in parte il ricorso dei contribuenti, rideterminando il reddito degli anni oggetto di accertamento;
la C.t.r., con la sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello dell’ufficio, rigettando quello incidentale dei contribuenti, ha confermato la sentenza di primo grado con riguardo all’applicabilità della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c., ed all’insussistenza dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, ma ha annullato la decisione del primo giudice con riferimento alla rideterminazione del reddito, che ritenevano immotivata e, per certi versi, sicuramente erronea;
avverso tale decisione i contribuenti spiegano ricorso, affidato a cinque motivi, al quale l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 24 marzo 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u. c., e dell’art. 380-bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;
i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
in primo luogo devono essere esaminati il terzo ed il quarto motivo, per ragioni di priorità logica;
con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, degli artt. 139,140,149 e 156 c.p.c., in relazione alla art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo i ricorrenti, la notifica degli avvisi di accertamento era del tutto inesistente, e quindi insanabile, in quanto sarebbe avvenuta a mani del portiere di uno stabile diverso da quello di residenza dei contribuenti ed in alcun modo ricollegabile ad essi;
il motivo è infondato e va rigettato;
in primo luogo deve rilevarsi l’evoluzione, in generale, in senso restrittivo, del concetto di inesistenza della notifica, come affermato, in tema di notificazione del ricorso per cassazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14916/2016, secondo cui l’inesistenza “e’ configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità”;
inoltre, inoltre, la sanatoria dell’eventuale vizio di nullità della notifica, per raggiungimento dello scopo, riguardo anche ad un atto sostanziale e non processuale, come l’avviso di accertamento, costituisce un approdo consolidato della giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite, 5 ottobre 2004, n. 19854, che ha affermato che “la natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento”;
né può parlarsi di invalidità dell’atto per l’inesistenza insanabile della notifica, in quanto “la notificazione dell’atto impositivo non è un requisito di validità, ma solo una condizione integrativa dell’efficacia dello stesso, sicché l’inesistenza della notifica non determina in via automatica anche quella dell’atto, se di questo il contribuente ha avuto piena conoscenza entro i termini decadenziali di legge” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2203 del 30/01/2018; Cass. n. 21071/2018);
pertanto, alla luce dei citati principi, se il contribuente mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, mediante la proposizione del ricorso entro i termini di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento, lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a sostegno di una domanda di annullamento;
ciò in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la tempestiva proposizione del ricorso, con cui il contribuente contesti nel merito la fondatezza della pretesa tributaria (circostanza pacifica nel caso di specie), ha efficacia sanante di ogni eventuale vizio di notifica dell’atto impositivo oggetto di impugnazione;
con il quarto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, e delle sentenze della corte di Giustizia UE per la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo;
i ricorrenti chiedono la cassazione della sentenza di appello per aver omesso l’applicazione dei principio del contraddittorio contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nonché del principio del favor rei D.P.R. n. 600 del 1973, ex novellato art. 38, e della L. n. 212 del 2000, art. 10;
il motivo è infondato e va rigettato;
questa Corte ha avuto modo di chiarire che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016; conf. a Cass. Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015);
in presenza di orientamento consolidato, in fattispecie ormai ad esaurimento ed in tema di tributi non armonizzati, non si ravvisano i presupposti del richiesto rinvio pregiudiziale;
pertanto, si deve concludere nel senso che, trattandosi di accertamenti sintetici ai fini Irpef per annualità precedenti al 2009, non vi era alcun obbligo di contraddittorio preventivo a carico dell’amministrazione finanziaria;
passando alle altre censure, con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, nonché dell’art. 112 c.p.c.;
i ricorrenti rilevano che, nell’accogliere interamente l’appello proposto dall’ufficio, il giudice del gravame rimanda integralmente alla domanda dell’amministrazione finanziaria, che non è trascritta nella sentenza;
pertanto, secondo i ricorrenti, il dispositivo risulta incomprensibile ed inattuabile, non statuendo alcunché in ordine agli avvisi di accertamento impugnati, i cui importi erano stati parzialmente rettificati dal Giudice di prime cure;
con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 1, punto 4), nonché dell’art. 132 c.p.c., comma 2, punto 4);
secondo i ricorrenti, il giudice di appello ha omesso di esporre, anche succintamente, i motivi di fatto e di diritto in base ai quali avrebbe ritenuto infondate le ragioni esposte dai contribuenti in ordine alla nullità degli avvisi di accertamento per i gravi errori in essi contenuti;
più precisamente i ricorrenti avevano lamentato il mancato esame delle prove documentali di spesa portate dai contribuenti, la mancata valutazione di redditi esenti, rinvenibili dalle dichiarazioni dei redditi presentate, la mancata valutazione del reddito complessivo del nucleo familiare, la mancata valutazione degli errori di metodo dell’Ufficio eccepiti dai contribuenti (duplicazioni delle quote di possesso dei medesimi beni e servizi, complessivamente eccedenti il 100 per cento del medesimo bene/servizio);
con il quinto motivo, (da esaminare congiuntamente al primo ed al secondo, perché ad essi connesso), i ricorrenti denunziano l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
secondo i ricorrenti, il giudice dell’appello avrebbe omesso ogni esame in ordine alle circostanze dedotte e provate dai contribuenti;
nel merito, i coniugi T. e B. avevano dedotto, nei due precedenti gradi di giudizio, la nullità degli accertamenti per una serie di ripetuti e gravi errori metodologici, concettuali e di calcolo, ad essi pregiudizievoli, riconosciuti dal giudice di primo grado;
il giudice dell’appello, a sua volta, avrebbe rilevato l’erroneità della decisione della C.t.p. in ordine all’annualità 2007, con la determinazione del reddito della sig. B. inferiore a quello dichiarato, e, ritenendola esemplificativa, non ha ritenuto di dover fornire alcuna spiegazione riguardo a tutte le doglianze mosse dai ricorrenti;
il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono complessivamente fondati e vanno accolti, con conseguente assorbimento del quinto;
il giudice di seconde cure ha riformato la decisione della Commissione Provinciale, rigettando in toto la domanda dei contribuenti, sulla base del seguente sintetico ragionamento: “I giudici di prime cure, nella sentenza, non hanno illustrato l’iter e/o la metodologia usata per calcolare gli importi esposti in sentenza. A giudizio di questo collegio parrebbero errati i calcoli effettuati; uno per tutti: per l’annualità 2007 è stato determinato il reddito in capo alla Sig.ra B.S. in Euro 108.409,00; mentre Ella aveva dichiarato un reddito pari a Euro 138.031,00 (superiore). L’appello dell’ufficio è da accogliere”;
la decisione appare del tutto priva di una motivazione in ordine all’accoglimento dei motivi dell’appello principale dell’ufficio, limitandosi ad affermare che esso è fondato, senza alcuna disamina dei singoli motivi;
né la sentenza rende conto della ritenuta infondatezza delle specifiche contestazioni dei contribuenti, limitandosi ad evidenziare, a titolo meramente esemplificativo, un profilo, sicuramente erroneo, della sentenza di primo grado relativamente ad uno solo dei coniugi con riferimento ad una sola annata;
la sentenza non esamina la documentazione prodotta dalle parti e non chiarisce in alcun modo perché tale documentazione non sia idonea a dimostrare, in capo ai contribuenti, la permanente disponibilità, negli anni in contestazione, di redditi esenti o sottoposti a tassazione separata;
sul punto, costituisce principio consolidato quello secondo cui “in tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29067 del 13/11/2018);
nel caso di specie, la C.t.r. si limita ad un’affermazione che prescinde del tutto dall’esame in concreto della documentazione processuale, arrivando ad una conseguenza che rimane priva di giustificazione logica e di riscontro concreto;
invero, in tema di accertamento sintetico, questa Corte ha avuto modo di precisare che “nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21700 del 08/10/2020);
pertanto, in accoglimento del primo e del secondo motivo, la sentenza va cassata, con rinvio alla C.t.r della Lombardia, in diversa composizione, che, alla luce della documentazione in atti, dovrà valutare se i contribuenti hanno fornito la prova della permanenza nella loro disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, che sono stati utilizzati – o, quanto meno, potrebbero essere stati utilizzati – per sostenere le spese contestate;
l’esame andrà condotto con riferimento all’intero reddito del nucleo familiare, in quanto “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (cd. redditometri), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30355 del 21/11/2019);
in conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti (primo e secondo), assorbito il quinto e rigettati terzo e quarto, con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il quinto e rigettati i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021