Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33787 del 12/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 27058/2014, proposto da:

C.S., rappresentata e difesa, dall’avv.to Paolo Puccioni e dall’avv.to Alessandro Belfiore Briottone, in virtù di mandato in atti, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Puccioni in Roma, Via Alessandro Vassella n. 30.

– ricorrente –

contro

Agenzia dell’Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1626/14 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata in data 27/03/2014;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella camera di consiglio del 23 marzo 2021.

RITENUTO

che:

Con sentenza n. 156/36/13, depositata il 03/12/2013, non notificata, la CTR della Lombardia respinse l’appello della contribuente, C.S., avverso la sentenza della CTP di Milano, che aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente, avverso gli avvisi di accertamento, per gli anni 2005 e 2006, con i quali l’Ufficio aveva determinato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali, un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato dalla C..

La controversia traeva origine da due avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle entrate, per gli anni 2005 e 2006, nei confronti di C.S., con i quali veniva determinato il reddito in via sintetica in base al cosiddetto redditometro, accertandosi, per l’anno 2005, un reddito di Euro 110.650,00 a fronte del reddito dichiarato di Euro 23.425,00, per l’anno 2006, il reddito accertato ammontava ad Euro 224.343,00 a fronte di un dichiarato di Euro 22.050,00. Gli accertamenti prendevano in considerazione gli incrementi patrimoniali, le spese di gestione di beni e di servizi, l’acquisto di un “suv”, gli acquisti della prima casa e di altri immobili. La contribuente nei giudizi di merito ed in sede precontenziosa avevo opposto, tra l’altro, che le disponibilità finanziarie in suo possesso provenivano dal padre dal quale riceveva mensilmente un assegno bancario di valore pari ad Euro 4.390,00 che veniva accreditato su conto corrente a lei intestato (cc. n. *****, Banca Credito Cooperativo di Lesmo).

La contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR, affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

CONSIDERATO

che:

C.S., con l’unico motivo di ricorso, deduce la violazione e la falsa applicazione di legge (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, ratione temporum e, quindi, nella formulazione previgente alla novella introdotta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, conv. mod., L. 30 luglio 2010, n. 122), là dove i secondi giudici, pur riconoscendo la presenza di disponibilità finanziarie in capo alla ricorrente date dagli assegni periodici versati a suo favore dal padre, hanno poi escluso che tali disponibilità potessero giustificare il suo tenore di vita e gli investimenti operati per non aver dimostrato “nessun collegamento ad investimenti e mantenimento del tenore di vita”. Assume la ricorrente che la Commissione tributaria regionale, una volta appurata l’esistenza di entrate mensili riconducibili al padre benestante, avrebbe dovuto ritenere soddisfatto l’onere probatorio richiesto al contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, con annullamento degli avvisi di accertamento ovvero con lo scomputo dal reddito sintetico degli importi ricevuti attraverso gli assegni del padre, debitamente prodotti.

Il ricorso è fondato.

I principi di diritto richiamati dalla CTR riguardano un orientamento risalente (Sez. 5, 20/03/2009, n. 6813), poi abbandonato, dapprima non richiedendosi più la dimostrazione dell’impiego per gli acquisti effettuati, in quanto la disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta sarebbe idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato in relazione alle spese sostenute (cfr., Cass., 19/03/2014, n. 6396), successivamente affermandosi che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cass., 26/11/2014, n. 25104; Sez. 5, 20/03/2009, n. 6813).

In tal senso è stato chiarito che la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni “l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni” (cfr. Cass., 01/09/2016, n. 17487; Cass., 21/10/2015, n. 21335; Cass., 20/01/2016, n. 930). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, resta individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21142; Cass., n. 16912 del 2016).

Sono stati precisati, altresì, i confini della prova contraria offerta da contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente “sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (cfr., Cass., 24/05/2018, n. 12889; Cass., 16/05/2017, n. 12207; Cass., 26/01/2016, n. 1332).

Sui redditi dei terzi che contribuiscono a formare il reddito del contribuente, proprio perché nell’accertamento dei redditi con metodo sintetico la disponibilità di beni-indice integra una presunzione legale di capacità contributiva, gravando il contribuente di provare la fonte non reddituale delle somme giustificative, questa Corte ha ritenuto che la sintesi reddituale e la prova contraria devono essere esercitate in concreto, anche riguardo a qualificati vincoli familiari (sui quali cfr. Cass., 14/03/2018, n. 6195), e a rapporti societari (sui quali cfr. Cass., 08/06/2011, n. 12448).

Tali principi rappresentano diritto vivente e da essi si discosta alquanto la decisione della CTR secondo cui, poiché la contribuente non aveva fornito dimostrazione dell'”utilizzo finale delle somme”, né della provenienza della somme di denaro, “gli assegni prodotti, pur essendo intestati alla contribuente, non permettono alcun collegamento con gli investimenti e mantenimento dei beni e loro tenore di vita”. Viceversa, una volta appurata la fonte non reddituale delle somme giustificative in quanto provenienti dal padre della ricorrente (qualificato vincolo familiare), la CTR avrebbe dovuto indagare sulla durata del possesso e della disponibilità finanziarie quali circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata era stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Con riguardo al valore della prova contraria offerta dal contribuente ed al dovere del giudice di esaminarla analiticamente, è stato precisato (Sez. 5, Sentenza n. 21700 del 08/10/2020) che nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa).

Infine, considerato lo specifico contenuto del ricorso (v. pagg. 1416), va rilevato che le modifiche intervenute sull’art. 38 in parola, in virtù del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, comma 1, conv, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 212, per quanto di carattere sicuramente innovativo, non consentono, in via interpretativa, di ritenere espunto il riferimento alla “durata” del possesso dalla disciplina previgente di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, applicabile ratione temporis al presente giudizio.

Il ricorso va, dunque, accolto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia affinché proceda ad un nuovo esame della controversia, tenuto conto dei principi su esposti.

La CTR in sede di rinvio è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Lombardia cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472