LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8509/14 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore protempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente principale e controricorrente al ricorso incidentale –
contro
PIZETA SOCIETA’ COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (già Fratelli P. s.r.l.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso e al ricorso incidentale, dall’avv. Pietro Brun Pesacane, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Camaldo, in Roma, via Velletri, n. 21;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Basilicata n. 38/2/13 depositata in data 14 febbraio 2013;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 aprile 2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.
RILEVATO
che:
1. A seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2001, relativa all’anno d’imposta 2000, l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della Fratelli P. s.r.l. cartella di pagamento, per il recupero a tassazione di maggiori imposte ai fini Irap e Irpeg, avverso la quale proponeva ricorso la contribuente, eccependone la nullità, per quanto di interesse in questa sede, per violazione dello Statuto dei diritti del contribuente, art. 6, commi 1 e 5, atteso il mancato invio del cd. avviso bonario.
La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva il ricorso, ritenendo nulla la cartella di pagamento per mancanza della comunicazione prevista dalla L. n. 212 del 2000, citato art. 6, commi 1 e 5.
2. All’esito dell’appello principale della contribuente in relazione al capo della sentenza concernente la statuizione sulle spese ed all’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale della Basilicata, con ordinanza, dichiarava l’inammissibilità dell’appello principale perché non depositato presso la segreteria del giudice a quo. Successivamente, fissata udienza di trattazione, con la sentenza in epigrafe indicata, rilevato preliminarmente che sull’ordinanza d’inammissibilità dell’appello principale proposto dalla Fratelli P. s.r.l. si era formato il giudicato interno, in difetto di reclamo avverso la stessa ordinanza, rigettava il gravame proposto in via incidentale, confermando la statuizione dei giudici di primo grado di nullità della cartella di pagamento.
3. Avverso la decisione d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo.
La Pizeta società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa (già Fratelli P. s.r.l.) resiste mediante controricorso e propone ricorso incidentale, con un unico motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso al ricorso incidentale.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo del ricorso principale la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello dichiarato la nullità dell’atto impugnato per mancato invio dell’avviso bonario prima dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute.
Fa rilevare, al riguardo, che, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’Amministrazione deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo; laddove tale onere non venga adempiuto, i provvedimenti emessi sono nulli.
La nullità, tuttavia, non si verifica in tutti i casi, ma nelle sole ipotesi previste dalla norma, ossia nei casi in cui vi sia incertezza in ordine ad un eventuale errore materiale o di calcolo ed in cui sia necessario instaurare il contraddittorio con il contribuente al fine di avere conferma dell’errore.
Soggiunge che nel caso in esame non sussistevano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione perché il controllo automatizzato era stato effettuato sui dati dichiarati dal contribuente.
2. In controricorso la contribuente, a pag. 4, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza del motivo formulato dalla controparte, ribadendo che “anche la mera contestazione dell’omesso o tardivo versamento dell’imposta indicata dal contribuente in dichiarazione (come nel caso di specie) presenta profili di incertezza tali da imporre all’ufficio l’invio del suddetto invito, ben potendosi verificare, come non di rado accade, la non risultanza, alla A.F., di pagamenti comunque effettuati dal contribuente e che da quest’ultimo, ammesso attraverso l’avviso bonario al contraddittorio preventivo, ben potranno essere dimostrati”.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, e art. 53, comma 2 – la contribuente sostiene che dal combinato disposto delle norme richiamate discende l’obbligo anche per l’appellante incidentale di depositare copia del gravame presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, con l’inevitabile conseguenza che l’omissione di tale formalità determina l’improcedibilità anche dell’appello incidentale, a nulla rilevando che si tratti di appello incidentale tempestivo o piuttosto tardivo.
Nell’evidenziare che nella concreta fattispecie anche l’Ufficio aveva omesso di depositare la propria impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale di Potenza, come eccepito con le controdeduzioni depositate in sede di appello, sostiene che i giudici regionali avrebbero dovuto riformare la sentenza di primo grado con la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta in via incidentale.
4. Nel controricorso al ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate ha eccepito l’inammissibilità del ricorso incidentale sia per carenza di interesse ad impugnare, non potendo la contribuente conseguire alcun risultato giuridicamente utile ed apprezzabile dall’eventuale accoglimento del motivo, sia per la errata formulazione del motivo, che avrebbe dovuto essere fatto valere richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 4, e non della medesima disposizione, comma 1, il n. 3.
5. Il ricorso incidentale è ammissibile e le eccezioni sollevate dall’Agenzia delle entrate vanno disattese.
5.1. Occorre innanzitutto rilevare che la doglianza prospettata con il ricorso incidentale – che e’, come risulta dalla relativa intestazione, una censura di violazione di legge – è ammissibile sebbene contestata senza l’espressa indicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Ciò in quanto si ritiene di dover dare seguito all’orientamento giurisprudenziale meno formalista secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell’impugnazione, sicché la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass., sez. 3, 7/11/2013, n. 25044).
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso, dunque, non costituisce condizione necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, essendo invece necessario che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (Cass., sez. 1, 24/03/2006, n. 6671; Cass., sez. 3, 29/08/2013, n. 19882).
Ciò comporta che deve ritenersi ammissibile il ricorso col quale si lamenti la violazione di una norma processuale sotto il profilo della violazione di legge anziché sotto quello dell’error in procedendo di cui all’ipotesi del citato art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., sez. 2, 21/1/2013, n. 1370; Cass., sez. 3, 29/08/2013, n. 19882; Cass., sez. 5, 6/10/2017, n. 23381).
Nel caso in esame, dalla illustrazione del motivo del ricorso incidentale è ben possibile individuare il tipo di censura formulato, per cui la formale contestazione in termini di violazione di legge non implica l’inammissibilità della censura.
5.2. Con riguardo all’ulteriore profilo d’inammissibilità del ricorso incidentale evidenziato dalla difesa erariale – carenza di interesse ad impugnare – occorre richiamare il principio per la prima volta enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 5456 del 2009, poi ribadito con le sentenze n. 23318 del 2009 e n. 7381 del 2013, che deve anche in questa sede essere confermato, secondo il quale il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito; qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.
Ebbene, la questione pregiudiziale posta dalla ricorrente incidentale, concernente la dedotta inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate in relazione al mancato deposito presso la segreteria della Commissione tributaria, non è stata oggetto di esame da parte dei giudici di appello.
Infatti, manca nella parte della sentenza in questa sede impugnata descrittiva dello svolgimento del processo la esposizione della questione di fatto su cui si fonda l’eccezione d’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate, essendosi la C.T.R. limitata a dare atto della proposizione della impugnazione incidentale e della pronunzia d’inammissibilità dell’appello principale, adottata in data 20 maggio 2008, oltre che del deposito, da parte della contribuente, di “atto di controdeduzioni” con il quale si insisteva per l’accoglimento dell’appello proposto.
Ciò impone di ritenere che i giudici regionali, neppure implicitamente, abbiano affrontato ed esaminato la questione di fatto del deposito, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’atto di appello presso la segreteria del giudice a quo, sicché il ricorso incidentale della contribuente, totalmente vittoriosa nel merito, deve ritenersi ammissibile e va esaminato con priorità.
6. Il ricorso incidentale è fondato, dovendo essere dichiarata l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’Ufficio finanziario.
6.1. Giova premettere che la ratio del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, è stata identificata dalla Corte costituzionale (con riguardo all’appello principale) e da questa Corte nella finalità di rendere nota alla Commissione tributaria provinciale l’impugnazione della sentenza ed impedire, in tal modo, il rilascio della copia esecutiva di una sentenza di primo grado impugnata.
In particolare, la Corte costituzionale, con le pronunce n. 321 del 2009, n. 43 del 2010 e n. 17 del 2011 ha precisato che: a) la disposizione ha l’apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell’appello notificato senza il tramite dell’ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale (sentenza n. 321 del 2009); b) tale finalità non è soddisfatta dall’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 3, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata “subito dopo il deposito del ricorso in appello”, perché la suddetta richiesta viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo “dopo” la costituzione in giudizio dell’appellante e, pertanto, non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello, considerando anche il tempo necessario a che essa pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale e, di conseguenza, tale richiesta non è idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello; c) l’applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui l’appello non venga notificato per il tramite dell’ufficiale giudiziario trova adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi in cui la notificazione sia invece effettuata mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell’appello è fornita alla segreteria del giudice di primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 123 disp. att. c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), secondo cui “L’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d’impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata”; d) il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali non è affatto escluso o ridotto dalla possibilità di revocare successivamente l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza; e) l’inammissibilità dell’appello per mancata o tardiva costituzione in giudizio dell’appellante (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, primo periodo, e art. 22, commi 1, 2 e 3) può sempre essere dimostrata dall’interessato quando richieda l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla disposizione censurata; f) là dove l’appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma; g) l’adempimento del deposito non comporta, per la parte, particolari difficoltà e, dunque, non rende estremamente difficile l’esercizio del suo diritto di difesa.
6.2. Chiarito ciò, secondo l’interpretazione datane da questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’appello incidentale è inammissibile, anche se tempestivamente proposto, quando non sia depositata copia dello stesso nella segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, ove sia inammissibile anche l’appello principale. Infatti, benché l’impugnazione incidentale non tardiva non sia travolta dall’inammissibilità di quella principale, l’incombente del deposito deve ritenersi imposto anche all’appellante incidentale tempestivo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, come modificato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3-bis, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, in quanto diretto ad evitare il rischio di un’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Ne’ la previsione di tale onere rende estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa dell’appellante incidentale, il quale può utilizzare il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale per costituirsi e, quindi, per verificare se l’appellante principale abbia effettuato l’adempimento o se, invece, egli debba surrogarsi a questo per evitare la pronuncia di inammissibilità (Cass., sez. 5, 23/03/2012, n. 4679; Cass., sez. 6-5, 16/05/2013, n. 12017; Cass., sez. 5, 22/07/2015, n. 15432; Cass., sez. 6-5, 10/8/2016, n. 16909; Cass., sez. 65, 18/01/2017, n. 1253).
6.3. Ovviamente l’obbligo di depositare copia dell’appello imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, a pena d’inammissibilità, palesa non solo che l’interesse tutelato dalla norma non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio, ma anche che non assume rilievo in funzione del superamento del vizio l’atteggiamento tenuto dalla controparte sotto il profilo del raggiungimento dello scopo, come è invece previsto per la nullità (art. 156 c.p.c.); infatti, l’espresso ricorso da parte del legislatore alla sanzione dell’inammissibilità impedisce che il giudice possa ritenere soddisfatta l’esigenza a presidio della quale il legislatore ha previsto una certa forma a pena di inammissibilità in modo diverso che attraverso la forma indicata dal legislatore (Cass., sez. 3, 18/07/2007, n. 16002; Cass., sez. 5, 21/04/2011, n. 9169).
6.4. Parimenti, va esclusa ogni efficacia retroattiva alla disciplina che ha successivamente abrogato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2.
Ed invero, il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, ha disposto l’eliminazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, secondo periodo, ma la normativa sopravvenuta non è applicabile al caso di specie, nel quale la spedizione dell’appello è avvenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore di tale normativa (Cass., sez. 5, 18/03/2015, n. 5376).
Ne’ tale affermazione contrasta con i principi espressi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, posto che l’art. 6 CEDU, non garantisce il diritto a potere beneficiare di norme procedurali sopravvenute (Corte EDU, De Lorenzo c. Italia, 12.2.2004), anzi riconoscendosi che lo Stato può legittimamente applicare, alle norme di procedura, il principio tempus regit actum (cfr. Corte dir. dell’Uomo, Morabito c/o Italia, 27.4.2010).
6.5. Nel caso in esame, la circostanza che l’Ufficio non abbia depositato il proprio appello incidentale presso la segreteria della C.T.P. di Potenza, oltre a non essere contraddetta o contestata dall’Agenzia delle entrate nel controricorso al ricorso incidentale, trova riscontro documentale nella attestazione rilasciata dalla segreteria della Commissione provinciale di Potenza in data 14 luglio 2008, prodotta dalla contribuente in omaggio al principio di autosufficienza, dalla quale risulta che a quella data la sentenza di primo grado n. 261/3/07, depositata il 18 gennaio 2007, non risultava oggetto di impugnazione ed era passata in giudicato.
Ne deriva, in conformità ai principi su esposti, che questa Corte, investita attraverso il ricorso ad essa presentata, è tenuta ad annullare senza rinvio la decisione della C.T.R., ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, e ciò in quanto il processo non avrebbe potuto essere proseguito in grado di appello e la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame proposto dall’ufficio finanziario. Il che comporta l’assorbimento del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate e determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
7. In conclusione, va accolto il ricorso incidentale condizionato, assorbito il ricorso principale, e la sentenza impugnata va cassata.
Le spese relative alle fasi del giudizio di merito, avuto riguardo all’andamento del giudizio, vanno integralmente compensate tra le parti, mentre le spese relative al giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Quanto alla regolazione dell’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, va fatta applicazione – con riguardo al ricorso principale – del principio secondo cui, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso (Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280).
PQM
accoglie il ricorso incidentale condizionato; dichiara assorbito il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese relative alle fasi del giudizio di merito.
Condanna la ricorrente Agenzia delle entrate a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura dei 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021