Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33790 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian A – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13041-2014 da:

D.M.S. (C.F. *****), rapp. dif., in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. PIETRO TRAINI, unitamente al quale è dom.to ope legis presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore p.t., dom.to in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 191/12/13 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 26/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI.

Osservato che l’AGENZIA DELLE ENTRATE provvide alla ripresa, nei confronti di D.M.S., di imposte dirette ed I.V.A. a fronte del maggior reddito imponibile, derivante da compensi non dichiarati per l’anno di imposta 2007 e conseguenti all’attività intermediazione svolta relativamente alla conclusione di operazioni inesistenti;

che il contribuente impugnò gli avvisi di accertamento innanzi alla C.T.P. di Milano che, con sentenza 246/42/12, rigettò il ricorso;

che tale decisione fu appellata dal D.M. innanzi alla C.T.R. della Lombardia la quale, con sentenza n. 191/12/13, depositata il 26.11.2013, rigettò il gravame;

che avverso tale sentenza D.M.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi. L’AGENZIA DELLE ENTRATE si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione in pubblica udienza.

Considerato che con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), dell’omesso esame, da parte della C.T.R., di un fatto decisivo per il giudizio e, precisamente, “della censura mossa alla sentenza di prime cure relativa all’omessa allegazione (al p.v.c. sotteso agli avvisi di accertamento impugnati) di documenti essenziali ai fini del decidere” quali “le presunte dichiarazioni rese dal sig. D.M. e l’autorizzazione all’utilizzo dei dati, concessa dal giudice penale” (cfr. ricorso, p. 5), essendosi i giudici di appello limitati ad affermare che “l’impugnata sentenza non può non essere confermata, violando in tal modo il diritto alla difesa del contribuente che, ancora una volta, non è messo in grado di comprendere le ragioni del rigetto delle sue censure” (cfr. ivi, p. 50, ult. cpv);

che con il terzo motivo la difesa del D.M. si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per non avere l’Ufficio considerato, ai fini della quantificazione delle riprese da operare, le scritture contabili di esso contribuente;

che con il quarto motivo il ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41-bis, per non avere l’Ufficio tenuto conto delle scritture contabili di esso ricorrente, nonostante non sia stato il D.M. a porre in essere operazioni inesistenti quanto, al contrario, un altro e diverso soggetto, per il quale egli avrebbe solo svolto l’attività di intermediario;

che con il quinto ed ultimo motivo la difesa del D.M. si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, per avere l’Ufficio fondato le riprese sulla base di una “presunta dichiarazione del contribuente (in cui lo stesso) avrebbe ammesso di aver percepito compensi in nero” (cfr. ricorso, p. 56), senza procedere “ad alcun controllo (delle stesse) né raffronto con documenti di qualsiasi natura (contabili bancarie, contabilità fiscale, etc.” (cfr. p. 57, cpv.) sebbene almeno in un caso le dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza di Cremona non siano state confermate in sede dibattimentale, come risulta dalla sentenza penale trascritta in ricorso;

che i motivi – i quali, per identità di questioni agli stessi sottese, ben possono essere trattati congiuntamente – sono inammissibili;

che gli stessi, a ben vedere, veicolano censure alla sufficienza della motivazione dell’avviso di accertamento (in specie il primo motivo, quale effetto dell’omessa allegazione, al sottostante p.v.c. del 13.7.2009, dell’autorizzazione giudiziaria all’acquisizione dei dati nonché delle dichiarazioni “confessorie” rese dal D.M. in sede di s.i.t. ex art. 351 c.p.p., elementi che, nella prospettiva di parte ricorrente, fonderebbero entrambi “tutto l’impianto dell’accertamento” – cfr. p. 4 del ricorso, terzultimo cpv.) ovvero all’operato dell’Ufficio (i motivi terzo, quarto e quinto) e non alla decisione di secondo grado: sicché non può che trovare applicazione il principio per cui, in tema di ricorso per cassazione avverso una sentenza resa dalla C.T.R. in grado di appello, poiché l’unico oggetto del giudizio di legittimità è costituito dalla pronunzia impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si denuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento (Cass., Sez. 5, 13.3.2009, n. 6134, Rv. 607319-01; Cass., Sez. 5, 17.1.2014, n. 841, Rv. 629004-01). Peraltro, con riferimento ai motivi primo e quinto, anche a volere diversamente opinare, si evidenzia che: a) in tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, è limitato ai documenti cui lo stesso fa riferimento, ma non si estende anche quelli cui a propria volta si riferisce il processo verbale di constatazione, i quali devono eventualmente essere prodotti in giudizio al fine di provare la legittimità della pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, 28.9.2020, n. 20428, Rv. 659046-01); b) il D.M. si duole dell’omessa allegazione di dichiarazioni che egli stesso ebbe a rendere (né, invero, risulta che lo stesso abbia contestato di essere stato sentito a s.i.t. o di avere percepito compensi “in nero”) e che, dunque, già erano nella sua conoscenza (sì da non esserne comunque necessaria l’allegazione. Arg. da Cass., Sez. 5, 10.7.2020, n. 14723, Rv. 658394-01 e da Cass., Sez. 5, 12.12.2018, n. 32127, Rv. 651783-01); c) del tutto irrilevante sarebbe, inoltre, la mancata allegazione dell’autorizzazione del giudice penale all’utilizzo, in sede tributaria, dei dati acquisiti in detto diverso contesto (arg. da Cass., Sez. 5, 16.3.2001, n. 3852, Rv. 544848-01); d) non ultimo, il p.v.c. assume in ogni caso, nel suo complesso, un autonomo valore probatorio (cfr. anche Cass., Sez. 5, 5.10.2018, n. 24461, Rv. 651211-01) che non risulta “intaccato”, nella specie, da alcuna delle difese di parte ricorrente;

che con il secondo motivo la difesa del D.M. lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame, ad opera della C.T.R., di una sentenza di patteggiamento intervenuta nelle more dello svolgimento del giudizio di appello, dalla quale risulterebbero “importi inferiori di oltre la metà rispetto a quelli contestati, in sede amministrativa, al sig. D.M….Sulla lamentata discordanza, tra due, notevolmente, diversi, importi originati dalla stessa situazione, i giudici, nella sentenza che qui si impugna, si limitano a dire: “nel merito, va anche rilevato che lo stesso contribuente, nel corso dell’ampio accertamento, ha ammesso di avere percepito compensi in nero, così confermando l’an ed in definitiva anche il quantum dell’imposizione di cui si controverte, pur prescindendo dall’ipotesi di fattispecie penali”, omettendo qualsiasi motivazione in ordine alla macroscopica difformità segnalata” (cfr. ricorso, pp. 51, prime due righe e terzultimo cpv.);

che il motivo e’, sotto molteplici profili, inammissibile;

che ribadito come, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sia consentito dolersi, sotto il profilo del vizio motivazionale, della mancata considerazione, ad opera del giudice di merito, di elementi istruttori (arg. da Cass., Sez. 6-L, 8.11.2019, n. 28887, Rv. 655596-01), osserva il Collegio come la censura presenti un ulteriore profilo di inammissibilità, in termini di difetto di specificità (cfr. l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non avendo la difesa del contribuente comunque trascritto il contenuto della sentenza di patteggiamento in questione, sì da precluderne, a tutto volere, ogni valutazione in termini di decisività (arg. da Sez. 5, 21.5.2019, n. 13625, Rv. 653996-01);

Ritenuto, in conclusione, che il ricorso vada rigettato e che nulla debba essere disposto con riferimento alle spese presente giudizio di legittimità, per essersi l’AGENZIA costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale in pubblica udienza.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di D.M.S. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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