Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33896 del 12/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22871-2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avv. DANILO COLAVINCENZO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, ***** IN PERSONA DEL MINISTRO PRO-TEMPORE, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– Intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il 19/06/2019, cron. 1691/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Sig. S.M. (alias M.) propone ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione del decreto n. 1691/2019 con cui il Tribunale di L’Aquila (sezione specializzata in materia di Protezione Internazionale), rigettando il suo ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, ha disatteso le sue domande di protezione internazionale e umanitaria.

Preso atto del racconto dell’attuale ricorrente – secondo cui questi sarebbe fuggito dal *****, segnatamente da *****, perché era stato minacciato di morte dal proprio datore di lavoro per avergli chiesto le retribuzioni mai versate nei tre anni di lavoro prestati presso di lui – il Tribunale ha negato la protezione internazionale, atteso che, mancando le persecuzioni previste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 2, lett. e) l’attuale ricorrente non potrebbe essere considerato un rifugiato. Il Tribunale ha altresì negato la protezione sussidiaria, vista l’assenza di rischi di condanne a morte o di trattamenti inumani e degradanti o di una situazione di conflitti armati o violenza, se non nella regione della Casamance, dalla quale il ricorrente non proviene. Infine il Tribunale ha negato la protezione umanitaria, poiché, la migrazione meramente economica non integra una fattispecie di tutela umanitaria; né il richiedente avrebbe avviato un percorso di integrazione nel territorio italiano, avendo svolto lavori saltuari; neppure, infine, la situazione di salute del medesimo giustificherebbe il riconoscimento della tutela umanitaria per motivi sanitari, avendo questi affermato, genericamente e senza prova alcuna, in sede di audizione davanti il collegio, di essere stato in cura per un dolore alla schiena presso l’ospedale di *****.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 19 febbraio 2021.

Col primo motivo di ricorso, si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6, 7, 8 e art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, art. 27, comma 1-bis, art. 35-bis, comma 13, in cui il Tribunale sarebbe incorso nella valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorrente lamenta la violazione dei principi istruttori – e in particolare il principio dell’individualità della domanda – in cui il tribunale sarebbe incorso omettendo il necessario approfondimento sull’idoneità dello stato ***** a proteggere i propri cittadini.

Il motivo è inammissibile perché non è pertinente alla ratio decidendi. Il Tribunale, infatti, non dubita dell’attendibilità del racconto, ma esclude che la miseria, da un alto, e la difficoltà di riscuotere i propri crediti, dall’altro, costituiscano ragioni per ottenere lo status di rifugiato.

Col secondo motivo di ricorso, si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 comma 3 e comma 5; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, commi 2 e 3; art. 27, comma 1-bis; art. 35bis, comma 13 per avere il Tribunale omesso alcuna attività istruttoria al fine di acquisire informazioni circa la situazione del Senegai, al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c) e della protezione umanitaria D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 4, comma 6.

Il motivo è fondato.

Va premesso che, in tema di protezione internazionale, l’inserimento del paese di origine del richiedente nell’elenco dei “paesi sicuri” produce l’effetto di far gravare sul ricorrente l’onere di allegazione rinforzata in ordine alle ragioni soggettive o oggettive per le quali invece il paese non può considerarsi sicuro soltanto per i ricorsi giurisdizionali presentati dopo l’entrata in vigore del D.M. 4 ottobre 2019 (Cass. 25311/20); il presente giudizio è stato introdotto il 14 luglio 2018 (cfr. pag. 1, penultimo rigo, del decreto), cosicché, ancorché il ***** rientri nel novero dei “paesi sicuri”, nessun onere di allegazione rinforzata grava sull’odierno ricorrente.

Ciò posto, il Collegio rileva che nell’impugnato decreto non vi è riferimento alcuno alle fonti di conoscenza utilizzate dal Tribunale. Si afferma invece che “da tutte le fonti consultate l’unica situazione di crisi riconducibile alla nozione di conflitto interno esistente in ***** è quella esistente nella regione della *****, dalla quale il S. non proviene” (pag. 12 del decreto). Limitandosi a tale affermazione il Tribunale ha evidentemente trascurato l’osservanza del principio che l’effettuazione dell’accertamento della situazione del paese di origine, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), “proprio in quanto imposto dalla legge, deve essere poi obiettivamente verificabile (dal richiedente, dall’Amministrazione e dallo stesso giudice dell’impugnazione); e ciò implica che il provvedimento reso debba quantomeno dar conto delle fonti informative consultate: indicazione questa, tanto più necessaria, in quanto consente di affermare (o negare) che l’attività di indagine sia stata effettivamente condotta sulla base di notizie aggiornate, come il richiamato art. 8, comma 3, per l’appunto richiede”. (Cass. n. 14283/19: conf. Cass. n. 9230/20).

Col terzo motivo di ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’omessa valutazione della fede cristiana del richiedente come elemento decisivo ai fini del rilascio della protezione umanitaria. La doglianza è assorbita dall’accoglimento del secondo motivo.

Deve quindi, in definitiva, accogliersi il secondo motivo di ricorso rigettato il primo ed assorbito il terzo – e cassarsi l’impugnato decreto, con rinvio al Tribunale di L’Aquila, in altra composizione, che si atterrà all’enunciato principio di diritto e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa l’impugnato decreto e rinvia al Tribunale di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472