Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.34001 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29697/19 proposto da:

-) A.B.A., elettivamente domiciliato l’indirizzo PEC del proprio difensore (avvannarosaoddone01.pecordineavvocatitorino.it), difeso dall’avvocato Anna Rosa Oddone in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino 12.9.2019 n. 5666;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

FATTI DI CAUSA

1. A.B.A., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sottrarsi al rischio di essere costretto a prendere il posto del padre in una setta segreta e violenta; aggiunse che tale situazione di provocò “problemi motivi che si materializzare una in gravi disturbi visivi”.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento A.B.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Torino, che la rigettò con Decreto 12 settembre 2019 n. 5666.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi sia perché la vicenda del richiedente riguardava fatti privati, e non una persecuzione; sia perché il racconto era generico e confuso; sia perché lo stesso richiedente aveva dichiarato dinanzi la commissione di non potere tornare in Nigeria a causa dei problemi alla vista, e non per altre ragioni;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato né dimostrato l’esistenza di specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”, ed in particolare il rischio di danno alla vita o alla salute in caso di rimpatrio.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.B.A. con ricorso fondato su due motivi (il secondo dei quali contraddistinto col numero “3”).

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte del Tribunale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, vale a dire nell’acquisizione ex officio di informazioni aggiornate ed attendibili sul Paese di provenienza del richiedente asilo.

1.1. Il motivo è infondato.

Per quanto attiene la domanda di asilo e quella di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (spettante alle vittime di persecuzioni), la ritenuta inattendibilità del richiedente esonerava il giudice di merito da qualsiasi indagine officiosa.

Per quanto riguarda la domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (spettante alle persone provenienti da paesi in guerra), il Tribunale ha dato ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa la insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione. In particolare, decidendo a maggio del 2019, ha utilizzato un rapporto EASO del novembre 2018.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di “insufficiente e contraddittoria motivazione”, invocando l’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene che il Tribunale avrebbe “omesso in toto di valutare la condizione di vulnerabilità del ricorrente”, ed in particolare il rischio che questi, tornato nel suo Paese, “si troverebbe immesso nuovamente nel rischio derivante dalle sue vicende di vita, gravide di rischio e di violenza”.

2.1. Il motivo è inammissibile in modo manifesto, e per più ragioni.

In primo luogo, è inammissibile perché ormai da quasi dieci anni non è più censurabile in sede di legittimità il vizio di “insufficiente motivazione”, a meno che non trasmodi in una vera e propria nullità per inintelligibilità dell’iter logico seguito dal giudice (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

2.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile perché il ricorrente non muove alcuna ragionata censura alle valutazioni del Tribunale, proponendo un motivo totalmente assertivo.

2.3. In terzo luogo, quel che più rileva, il ricorrente non spiega mai, in alcun punto del ricorso, in che cosa consisterebbe la propria condizione personale di vulnerabilità; se sia soggettiva (e cioè dipendente dalle sue condizioni personali) od oggettiva (e cioè derivante da un contesto individualizzato di violazione dei diritti umani); quando sia stata allegata e come sia stata dimostrata, anche solo in via presuntiva.

3. 2. Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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