Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.34003 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30156/19 proposto da:

-) H.A.M., elettivamente domiciliato a Roma, via Cassiodoro n. 1/A, presso l’avvocato Luigia D’Amico che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia 6 settembre 2019 n. 4505;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

FATTI DI CAUSA

1. H.A.M., cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo essere stato aggredito e minacciato di morte da alcuni suoi familiari, avversi all’attività politica della di lui madre, attivista di un partito ad essi non gradito. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento H.A.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Brescia, che la rigettò con decreto 6.9.2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto non ricorrevano nel caso di specie né i presupposti soggettivi per tale forma di protezione (in quanto il richiedente era giovane e sano); né i presupposti oggettivi, in quanto in Bangladesh non esisteva una situazione di vera e propria emergenza umanitaria generalizzata.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da H.A.M.

con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente sostiene che il giudice si sarebbe “reso responsabile di gravi colpose carenze istruttorie, di mancata esecuzione dei poteri officiosi e del dovere di cooperazione su di lui gravanti”.

L’illustrazione del motivo mescola varie censure che, riordinate, possono così riassumersi:

-) il Tribunale ha errato nel ritenere inattendibile il racconto del richiedente (pagina 8);

-) il Tribunale ha trascurato di considerare che in Bangladesh esiste una grave situazione di insicurezza che giustificava le domande di protezione formulata dall’odierno ricorrente;

-) il Tribunale ha trascurato di acquisire d’ufficio informazioni sul paese di provenienza; ha ignorato il parere del pubblico ministero, il quale aveva ritenuto che nel caso di specie lo straniero non poteva ritenersi un pericolo per la sicurezza dello Stato, né per l’ordine o la sicurezza pubblica.

1.1. Tutte le censure contenute nel primo motivo sono infondate.

Con riferimento alla domanda di asilo ed a quella di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il dovere c.d. “di cooperazione istruttoria” non sorge ipso facto sol perché il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile; se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poiché l’una è condizione dell’altro (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).

1.2. Con riferimento, invece, alla domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’insussistenza in Bangladesh di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato è stata affermata sulla base di fonti attendibili ed aggiornate.

1.3. Con riferimento alla erroneità circa la valutazione dell’attendibilità del richiedente, la censura è inammissibile in quanto investe un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, fondato sulla oggettiva contraddittorietà del racconto ed adeguatamente motivato.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame di fatti decisivi.

L’intero motivo torna a censurare il giudizio di inattendibilità del racconto fatto dal richiedente.

Deduce il ricorrente, nell’illustrazione del motivo, che le incongruenze del racconto rilevate dal Tribunale in realtà non erano tali; che l’esame delle prove da parte del Tribunale non è stato completo; e che per tale ragione il tribunale avrebbe violato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2.1. Il motivo è inammissibile, per due ragioni.

La prima ragione è che il giudizio di attendibilità è un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, e che la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nel caso di specie viene solo nominalmente invocata, ma niente affatto illustrata.

La seconda ragione è che il Tribunale ha dato rilievo, tra gli altri argomenti, al fine di ritenere inattendibile il richiedente, al significativo mutamento delle versioni da lui fornite dapprima dinanzi alla Commissione, e poi davanti al Tribunale: e tale rilievo, che sarebbe stato di per sé sufficiente a radicare il giudizio di inattendibilità, non viene investito dal ricorso.

3. Anche il terzo motivo di ricorso è una commistione di varie censure, così riassumibili:

-) ha errato il Tribunale nel ritenere insussistente, in Bangladesh, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) ha errato il Tribunale nel rigettare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sotto quest’ultimo profilo, deduce il ricorrente che erroneamente il Tribunale ha escluso la esistenza in Bangladesh di una violazione sistematica dei diritti umani, e che la “instabilità politico-sociale del paese di origine” o la povertà di esso giustificherebbero di per sé il rilascio della protezione umanitaria, dinanzi ad una già raggiunta integrazione sociale del paese ospitante.

3.1. Nella parte in cui lamenta l’erroneità del giudizio con cui il tribunale ha ritenuto insussistente in Bangladesh è una situazione di violenza indiscriminata derivante da armato il motivo è infondato, per le ragioni già indicate in precedenza.

3.2. Nella parte in cui lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.

Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.

3.3. Da ciò discendono due corollari.

Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dalla persona che chieda la protezione umanitaria impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.

E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.

3.4. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertata d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente (a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente).

3.5. Ciò premesso in punto di diritto, rileva la Corte che nel caso di specie il Tribunale, dopo avere escluso – con giudizio non sindacabile in questa sede la sussistenza di condizioni soggettive di vulnerabilità, ha escluso altresì la sussistenza nel caso di specie di condizioni oggettive di vulnerabilità, così motivando: “per quanto riguarda i fattori oggettivi (di vulnerabilità) si osserva che la situazione del Bangladesh (come quella di molti altri paesi, asiatici e non) presenta certamente significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona. Tali criticità, tuttavia non sembrano tali da dare luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.

3.6. Così motivando, il Tribunale è effettivamente incorso nelle mende censurate dal ricorrente, e tra le altre due in particolare.

Il primo errore è consistito nell’avere rigettato la domanda di protezione umanitaria senza avere previamente accertato ex officio se le condizioni il Paese di provenienza del richiedente espongano quest’ultimo, in caso di rimpatrio, al rischio di una violazione dei suoi diritti inviolabili al di sotto del nucleo irriducibile, come stabilito dalle SS.UU. di questa Corte con la già ricordata sentenza n. 29459/19.

Infatti le informazioni sul Paese di provenienza, pur acquisite dal Tribunale, per come riassunte nel decreto impugnato riguardano unicamente le circostanze rilevanti ai fini della concessione della protezione sussidiaria (e cioè la sussistenza o meno di un conflitto armato generalizzato).

Il decreto tuttavia non dà conto se quelle fonti si occupino anche della condizione dei diritti umani essenziali in Bangladesh, e quale situazione ne emerga.

Il secondo errore è consistito nell’avere adottato una motivazione inferiore a quel “minimo costituzionale” al di sotto del quale, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, i provvedimenti giurisdizionali devono ritenersi nulli ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Affermare, infatti, da un lato che nel paese di provenienza del richiedente asilo esistono “significative criticità” nel rispetto dei diritti inviolabili, ed aggiungere dall’altro lato che tali criticità non diano luogo ad una “vera e propria emergenza umanitaria”, è affermazione inesaustiva e ambigua.

E’ inesaustiva, perché l’espressione “significative criticità” ha un contenuto semantico di sconfinata latitudine, potendosi spingere ad abbracciare le ipotesi più disparate: violazione della libertà di espressione, limitazione dell’habeas corpus; privazione del diritto alle cure, e via dicendo.

La suddetta espressione è altresì ambigua, in quanto la violazione dei diritti umani che legittima una domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non necessariamente deve essere di intensità tale da raggiungere il grado di “emergenza umanitaria generalizzata”.

4. Il decreto va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Brescia, in differente composizione, il quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indagando ex officio sulla esistenza o meno in Bangladesh di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, e sulla possibilità che il richiedente in caso di rimpatrio possa esservi esposto.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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