LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 30198/19 proposto da:
-) D.A., elettivamente domiciliato a Roma, viale Angelico 38, presso l’avvocato Marco Lanzilao che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Brescia 6 settembre 2019 n. 4513;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Rossetti Marco.
FATTI DI CAUSA
1. D.A., cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo che, a causa della propria militanza politica, era stato per rappresaglia falsamente accusato di omicidio.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento D.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Brescia, che la rigettò con decreto 6.9.2019.
Il Tribunale ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non potesse essere concessa in quanto nella specie non sussistevano requisiti né soggettivi, né oggettivi, tali da rendere “vulnerabile” il richiedente.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da D.A. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente censura il decreto del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il suo racconto sostiene che il Tribunale avrebbe “non correttamente motivato” la propria conclusione.
1.1. Il motivo è inammissibile perché censura un apprezzamento di fatto, per di più ampiamente motivato.
2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Deduce che il Tribunale, avendo egli stesso accertato la sussistenza di “instabilità politica e gravi scontri” nel Bangladesh, non avrebbe poi potuto rigettare la domanda di protezione sussidiaria ai sensi della norma sopra indicata.
2.1. Il motivo è infondato.
La protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lettera c), infatti, può essere giustificata da una situazione di conflitto armato, e non genericamente dall’instabilità politica o da tumulti di piazza.
3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.
Deduce che il permesso di soggiorno per motivi umanitari spetta a tutti coloro che, in caso di rimpatrio, sarebbe esposti al rischio di una violazione dei loro diritti fondamentali al di sotto del minimo irrinunciabile; che tale situazione sussisterebbe in Bangladesh a causa della povertà estrema di quel paese; che il tribunale non avrebbe assolto il dovere di accertare d’ufficio tali circostanze.
3.1. Il motivo è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).
Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.
Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.
3.2. Da ciò discendono due corollari.
Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dalla persona che chieda la protezione umanitaria impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.
E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.
3.3. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertata d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente (a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente).
3.4. Ciò premesso in punto di diritto, rileva la Corte che nel caso di specie il Tribunale, dopo avere escluso – con giudizio non sindacabile in questa sede la sussistenza di condizioni soggettive di vulnerabilità, ha escluso altresì la sussistenza nel caso di specie di condizioni oggettive di vulnerabilità, così motivando: “per quanto riguarda i fattori oggettivi (di vulnerabilità) si osserva che la situazione del Bangladesh (come quella di molti altri paesi, asiatici e non) presenta certamente significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona (…). Tali criticità, tuttavia non sembrano tali da dare luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.
3.5. Così motivando, il Tribunale è effettivamente incorso nelle mende censurate dal ricorrente, e tra le altre due in particolare.
Il primo errore è consistito nell’avere rigettato la domanda di protezione umanitaria senza avere previamente accertato ex officio se le condizioni il Paese di provenienza del richiedente espongano quest’ultimo, in caso di rimpatrio, al rischio di una violazione dei suoi diritti inviolabili al di sotto del nucleo irriducibile, come stabilito dalle SS.UU. di questa Corte con la già ricordata sentenza n. 29459/19.
Infatti le informazioni sul Paese di provenienza, pur acquisite dal Tribunale, per come riassunte nel decreto impugnato riguardano unicamente le circostanze rilevanti ai fini della concessione della protezione sussidiaria (e cioè la sussistenza o meno di un conflitto armato generalizzato).
Il decreto tuttavia non dà conto se quelle fonti si occupino anche della condizione dei diritti umani essenziali in Bangladesh, e quale situazione ne emerga.
Il secondo errore è consistito nell’avere adottato una motivazione inferiore a quel “minimo costituzionale” al di sotto del quale, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, i provvedimenti giurisdizionali devono ritenersi nulli ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Affermare, infatti, da un lato che nel paese di provenienza del richiedente asilo esistono “significative criticità” nel rispetto dei diritti inviolabili, ed aggiungere dall’altro lato che tali criticità non diano luogo ad una “vera e propria emergenza umanitaria”, è affermazione inesaustiva e ambigua.
E’ inesaustiva, perché l’espressione “significative criticità” ha un contenuto semantico di sconfinata latitudine, potendosi spingere ad abbracciare le ipotesi più disparate: violazione della libertà di espressione, limitazione dell’habeas corpus; privazione del diritto alle cure, e via dicendo.
La suddetta espressione è altresì ambigua, in quanto la violazione dei diritti umani che legittima una domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non necessariamente deve essere di intensità tale da raggiungere il grado di “emergenza umanitaria generalizzata”.
4. Il decreto va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Brescia, in differente composizione, il quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indagando ex officio sulla esistenza o meno in Bangladesh di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, e sulla possibilità che il richiedente in caso di rimpatrio possa esservi esposto.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021