LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4194-2020 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, emesso il 20.11.2019, R.G.N. 78405/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
C.L. cittadino del Gambia, chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale:
a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
b) in via subordinata, quello della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
la Commissiohe Territoriale rigettava l’istanza;
avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Roma, che ne disponeva la parziale riforma, pervenendo all’accoglimento della domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e rigettando le ulteriori istanze;,. tanto sul rilievo della assenza di allegazione di condizioni di rischio per la incolumità del richiedente in caso di rientro, in connessione a situazioni di violenza generalizzata ovvero di sottoposizione a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti;
il provvedimento è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su due motivi;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge -con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. il primo motivo prospetta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame in tema di protezione sussidiaria, da accordare nel caso in cui sussistano fondati motivi per ritenere che, se il richiedente rientrasse nel paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, non potendo ” avvalersi di adeguata protezione;
in tal senso si deduce che ai fini della valutazione della concessione della protezione sussidiaria, il giudicante ha l’obbligo di verificare la situazione attuale del Paese di provenienza ma che, nella specie, questo accertamento era mancato;
2. il secondo motivo attiene alla violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 126 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;
si deduce che l’assoluta assenza di attività istruttoria in ordine alle condizioni del Paese di origine determina una ipotesi di motivazione apparente;
3. i motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, palesano profili di inammissibilità;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione;
risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (vedi Cass. 29/11/2016 n. 24298, Cass. 5/8/2020 n. 16700);
nello specifico il ricorrente si è limitato ad esprimere un riferimento del tutto generico alle fonti informative che si ritiene siano state ingiustamente tralasciate dai giudici di seconda istanza al fine di verificare la situazione di rischio in cui sarebbe incorso in caso di rientro in patria, non adempiendo neanche all’onere di specifica impugnazione della statuizione con la quale il giudice di seconda istanza aveva accertato l’omessa allegazione del rischio di sottoposizione a “pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel Paese d’originé (art. 14, lett. a e. b)” né del “rischio per la propria incolumità o sicurezza connesso a situazioni di violenza generalizzata in Patria (art. 14 lett. c)”, così rendendo definitiva la statuizione non censurata (vedi, al riguardo, ex plurimis, Cass. 7/9/2017, n. 20910; Cass. 3/5/2019, n. 11706);
il ricorso va pertanto, dichiarato inammissibile;
nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede;
si dà infine atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto giacché le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10 (vedi ex aliis, Cass. 8/2/2017 n. 3305).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021