Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.34019 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14751-2018 proposto da:

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 142, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GALGANO, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE DALIA;

– ricorrente –

contro

M.G., M.F., M.S., M.C., nella qualità di eredi di I.A., tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NUNZIA CACCAVALE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1905/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/05/2017 R.G.N. 7302/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 5 maggio 2017, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata con cui il ***** era stato condannato al pagamento in favore degli eredi di I.A., intervenuti nel corso del giudizio di primo grado, della complessiva somma di Euro 127.993,23 per un rapporto di lavoro di portierato intercorso con la dante causa dal 1970 al 1998;

2. la Corte, per quanto riguarda il motivo di impugnazione “relativo alla mancata prova circa la legitimatio ad causam di M.G., C., F. e S.”, ha rilevato quanto segue: “In seguito alla costituzione volontaria dei signori M., avvenuta all’udienza del 5 aprile 2006 mediante deposito di un atto di costituzione volontaria ex artt. 299,303 e 302 c.p.c. – nel quale gli stessi venivano indicati quali germani M. e eredi della madre I.A. – e deposito del certificato di morte di I.A., il procuratore di parte resistente prendeva atto di quanto dichiarato e chiedeva rinvio per esame e per la comparizione delle parti, il giudice, preso atto di quanto dichiarato, rinviava per la comparizione delle parti all’udienza dell’11/10/2006. All’udienza dell’11/10/2006 il procuratore di parte convenuta nulla osservava né eccepiva in ordine all’atto di intervento volontario dei signori M. nella qualità di eredi della signora I.A.. L’udienza si concludeva con l’ammissione della prova per testi, così come richiesta dalle parti, e il rinvio all’udienza del 18 aprile 2007. Dall’udienza del 18 aprile 2007 fino all’udienza del 16 settembre 2009 viene espletata attività istruttoria. Al termine dell’udienza del 16 settembre 2009 il giudice rinvia per la discussione all’udienza del 10 febbraio 2010, concedendo termine fino al 10 giorni prima dell’udienza per il deposito di note. Il condominio convenuto depositava il 30 gennaio 2010 note con le quali per la prima volta eccepiva la carenza di prova di legigimatio ad causam dei signori M.. All’udienza del 10 febbraio 2010 parte ricorrente allegava al fascicolo di parte lo stato di famiglia datato 3 febbraio 2010”;

la Corte ha quindi osservato: “correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto non contestata l’affermata qualità di eredi dei signori M., in quanto figli di I.A., infatti sono state numerose le udienze svolte in seguito alla produzione dell’atto di costituzione volontaria da parte dei signori M., costituzione nella quale si dichiaravano germani e figli della ricorrente I.A. e in nessuna di tali udienze è stato mai eccepito il difetto di legittimazione, o meglio, il difetto di prova di tale legittimazione. Soltanto con le note conclusionali depositate il 30 gennaio 2010, per la prima volta, il convenuto condominio eccepiva la mancanza di prova della qualità di eredi in capo ai fratelli M.. Tale tardività nell’eccepire la qualità di erede degli intervenuti è da considerare alla stregua di non una non contestazione”; la Corte territoriale aggiunge poi ché, “come correttamente rilevato dal giudice, in occasione della prima contestazione fatta dal convenuto con le note conclusionali depositate il 30 gennaio 2010, in risposta a tale eccezione i ricorrenti signori M. hanno depositato uno stato di famiglia, documento idoneo a provare la loro qualità della ricorrente deceduta”;

3. la Corte di Appello ha poi ritenuto “corretta la ricostruzione del rapporto esistente tra la I. e il Condominio sulla base dell’istruttoria svolta”, così come operata dal primo giudice, concordando in conclusione che “e’ risultato provato che per il periodo indicato in ricorso la Sig.ra I. ha svolto l’attività di portiera presso il *****”;

4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso il Condominio soccombente con 4 motivi; hanno resistito con controricorso gli eredi I. indicati in epigrafe;

entrambe le parti hanno comunicato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il primo motivo del ricorso denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 110,115,299 e 300 c.p.c. e art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”; si critica la sentenza impugnata per aver confermato la decisione di primo grado “sulla presunta non intervenuta contestazione da parte della difesa del Condominio”; si richiamano diffusamente i principi stabiliti da Cass. SS.UU. n. 2951 del 2016, rammentando che la prova della titolarità attiva del rapporto dedotto in giudizio è onere della parte istante e la sua contestazione non rientra tra le eccezioni in senso stretto, bensì nelle mere difese, quindi rilevabile in ogni stato e grado del processo; si considera “irriducibilmente inconciliabile l’affermazione con cui la Corte di Appello, da un lato, sostiene l’applicabilità del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., per non avere la difesa del Condominio immediatamente contestato la costituzione in giudizio dei soggetti “qualificatisi” quali eredi (peraltro unicamente depositando il certificato di morte dell’originaria ricorrente) e dall’altro si assume che “in risposta a tale eccezione i ricorrenti signori M. hanno depositato uno stato di famiglia documento idoneo a provare la loro qualità di figli della ricorrente deceduta”; si rivendica il “pieno dirittoòanche difensivo del Condominio… di scegliere il silenzio fino alla data della discussione”;

Con il secondo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 415 c.p.c., comma 1, art. 421 c.p.c., e art. 437 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”; si censura la decisione impugnata per non avere dato riscontro alla contestazione del Condominio circa la violazione dell’art. 421 c.p.c. ad opera prima del Tribunale e poi della Corte di Appello per avere acquisito impropriamente lo stato di famiglia;

analogo aspetto viene censurato con il terzo motivo, in cui si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando che, comunque, detto documento non era idoneo a “fondare la prova della titolarità del diritto controverso in capo ai soggetti ricorrenti”;

2. i motivi, esaminabili congiuntamente per reciproca connessione, non possono trovare accoglimento;

2.1. la sentenza impugnata non è in difformità con i principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte (n. 2951 del 2016) richiamata dalla stessa parte ricorrente e che ha sancito, tra l’altro, che la questione della titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio attiene al merito della causa e, di conseguenza, compete al sovrano apprezzamento del giudice al quale l’accertamento del fatto appartiene; inoltre detta sentenza aggiunge che la titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare, ma la prova può essere data in positivo dall’attore, ma “anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità”;

chiaramente la valutazione sia in ordine alla prova fornita in positivo dall’attore, sia avuto riguardo al comportamento processuale del convenuto, cdmpete al giudice del merito e non si presta ad un sindacato della Corte di legittimità al di fuori dei limiti in cui esso è consentito;

2.2. nella specie, per quanto riguarda il primo aspetto, sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno ritenuto di poter evincere la prova della legittimazione degli eredi da un documento depositato successivamente al momento in cui era stata eccepita dal Condominio, per la prima volta, “la carenza di prova di legitimatio ad causam dei signori M.”, acquisizione sicuramente giustificata dall’evolversi della vicenda processuale (cfr. Cass. SS.UU. n. 8202 del 2005) e dalla condotta del convenuto non improntata ai canoni di lealtà e probità che invece impongono alle parti di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, anche per esigenze di ragionevole durata del processo a mente dell’art. 111 Cost.;

in ordine all’idoneità del documento a ritenere provata detta qualità, si tratta evidentemente di un apprezzamento di merito, come comprovato dal richiamo di parte ricorrente alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

infatti, come di recente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio; parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che ò il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;

2.3. quanto al comportamento processuale i giudici del doppio grado hanno concordemente ritenuto – del tutto plausibilmente – che la contestazione circa la qualità di eredi dei figli della I., operata dalla difesa del Condominio solo con la memoria di discussione a circa 4 anni dal momento in cui si erano costituiti gli eredi, dopo diverse udienze anche istruttorie, rappresentasse una linea di difesa incompatibile con la negazione della titolarità del rapporto in capo ai successori della dante causa, perché certo non vi era ragione di consentire una lunga istruttoria in confronto di soggetti che non si reputavano poter essere parti del processo;.

si rammenta, in proposito, che colui il quale si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti, ha l’onere di provare detta qualità ma, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il mancato adempimento di tale onere, ove nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione, e neppure in sede di precisazione delle conclusioni, non può essere fatto valere per la prima volta solo nella comparsa conclusionale (cfr. Cass. n. 15031 del 2016, con la giurisprudenza ivi richiamata);

tanto in coerenza con il principio di “tendenziale irreversibilità” della non contestazione più volte ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 11353 del 2004 e n. 8202 del 2005; in proposito, tra le successive conf. v. Cass. n. 3951 del 2012), stante la struttura del processo che, nel rito del lavoro, è finalizzata a far sì che all’udienza di discussione la causa giunga delineata in modo compiuto;

per quanto riguarda, in particolare, il figlio che aziona in giudizio un diritto del genitore, del quale afferma essere erede, ove sia stato contestato il suo essere erede, ma non specificamente il rapporto di discendenza con il “de cuius”, non deve ulteriormente dimostrare l’esistenza di tale rapporto producendo l’atto dello stato civile, attestante la filiazione, ma è sufficiente, in quanto chiamato all’eredità a titolo di successione legittima, che abbia accettato, anche tacitamente, l’eredità, di cui costituisce atto idoneo l’esercizio stesso dell’azione (cfr. Cass. n. 22223 del 2014; conf. Cass. n. 6745 del 2018); trattandosi di erede necessariamente chiamato all’eredità con successione legittima, che, agendo per il recupero di un credito del de cuius, tacitamente ha accettato l’eredità, sussiste coincidenza tra soggetto che ha agito in giudizio e soggetto che si è affermato titolare del diritto controverso (v. Cass. n. 16002 del 2008);

2.4. pertanto nessuna delle censure proposte con i primi tre motivi di ricorso merita accoglimento;

3. con il quarto mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., in relazione sia al n. 3 che al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; si sostiene con varie argomentazioni “la mancanza di qualunque prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e segnatamente quello di portierato”;

la censura è inammissibile sia perché invoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa di “doppia conforme”, sia perché, sotto la formale deduzione della violazione o falsa applicazione di legge, nella sostanza pretende un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto, quando ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);

invero, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto (Cass. n. 4037 del 2021; Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009, alle quali tutte si rinvia per ogni aspetto relativo);

4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese a carico della parte soccombente, liquidate come da dispositivo;

occorre altresì dare atto poi della sussistenza, pera) ricorrente, dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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