LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3052-2020 proposto da:
O.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE CAROTTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI VINCENZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. 10691/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 12/12/2019 R.G.N. 5965/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
Il Tribunale di Venezia, con decreto del 12.12.19, rigettava la domanda di protezione internazionale richiesta da O.A., cittadino nigeriano, giustificata dal suo rifiuto di prendere il posto del padre come capo dei combattenti presenti in loco, con padre e fratelli uccisi e minacce e percosse da parte di un gruppo cultista Eiye, con denuncia alla locale Polizia, rimasta senza esito.
Per la cassazione di tale decreto propone ricorso l’omotosho, affidato a tre motivi, cui resiste il Ministero dell’Interno con controricorso unicamente diretto alla eventuale discussione orale della controversia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
Il ricorso deve dichiararsi inammissibile.
Ed invero, come recentemente statuito da Cass. sez.un. 15177/21, deve ritenersi che “D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato), introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, applicabile nella fattispecie), nella parte in cui prevede che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato e che a tal fine il difensore certifica la data del rilascio in suo favore della procura medesima” richiede, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale, regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso” nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore. Ne consegue che tale procura speciale deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi sia la data della procura successiva alla comunicazione, che l’autenticità della firma del conferente”.
Questa Corte, del resto, aveva già correttamente affermato che in materia di protezione internazionale, la data del conferimento della procura alle liti per proporre il ricorso per cassazione, al fine di assolvere al requisito della posteriorità alla comunicazione del decreto impugnato ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, deve essere certificata dal difensore, titolare di una speciale potestà asseverativa conferita “ex lege”; ne consegue che è inammissibile il ricorso nel quale la procura (nella specie, apposta a margine dell’atto) non indichi la data in cui essa è stata conferita, non assolvendo alla funzione certificatoria la sola autentica della firma, né il citato requisito potendo discendere dalla mera inerenza all’atto stesso (Cass. ord. n. 1043/20).
L’art. 46, p. 11, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, prevede che “Gli Stati membri possono altresì stabilire nel diritto nazionale le condizioni che devono sussistere affinché si possa presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato o rinunciato al ricorso di cui al paragrafo 1, nonché le norme procedurali applicabili”. L’art. 28 della stessa direttiva dispone, poi, che gli Stati membri possono presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda di protezione internazionale o rinunciato a essa, in particolare quando è accertato che il richiedente è fuggito o si è allontanato senza autorizzazione dal luogo in cui viveva o era trattenuto, senza contattare l’autorità competente in tempi ragionevoli. Deve allora considerarsi che nella specie la procura difetta di qualsivoglia indicazione della data, e tanto meno della sua certificazione da parte del difensore, sicché deve ritenersi nulla.
Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile, (Ndr: testo originale non comprensibile).
Non essendovi stata alcuna attività difensiva del Ministero, non vi è luogo per provvedere sulle spese del presente giudizio.
Trattandosi di nullità (e non di inesistenza) della procura, il raddoppio del contributo unificato grava sul ricorrente (arg. da Cass. sez.un. 15177/21).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021